iSole aMare: Emma Fenu intervista Alessandra Pilloni fra profumi, inquietudini e nostalgie
La rubrica “iSole aMare” si propone di intervistare isolani che della propria condizione reale e metaforica abbiano fatto cultura, arte e storia ponendosi in comunicazione con il mondo: nessun uomo è un’isola o forse lo siamo tutti, usando ponti levatoi?
“Sono l’Isola. Ma sono magica e infinita: non mi puoi cingere tutta.
Non mi puoi spostare, non mi puoi unire alla terraferma, non puoi possedermi. Puoi solo essere accolto, sederti alla mensa del mio corpo di sabbia e granito, mangiare dalla mia bocca le bacche del piacere e della nostalgia, fino a inebriarti, fino ad essere anche tu me. Ed allora ti fermerai per sempre, mi guarderai nelle pupille di basalto immerse nel cielo degli occhi e diverrai pietra.
Sarò la tua Medusa, con filamenti trasparenti danzerò per te negli abissi, ti brucerò di passione e non sarai più libero, nemmeno quando te ne sarai andato lontano, remando fino allo sfinimento, e il mare fra noi sarà un siero diluito con sangue di memoria e con lacrime di speranza.
Tu mi hai toccato, ora ti tendo le mani io.
Tu mi hai baciato, ora cerco il tuo sapore su di me.
Tu mi hai guardato: ora scruto l’orizzonte come una Didone abbandonata.
Tu mi hai annusato: ora raccolgo dalle fauci del maestrale il tuo polline per i miei favi.
Tu mi hai seguito: ora calo un ponte levatoio solo per te.
Tu mi hai atteso, ora ti attendo io.” – Emma Fenu ‒ “L’isola della passione”
Isole Amare.
Terre Femmine dispensatrici di miele e fiele, con un cuore di granito e basalto e capelli bianchi di sabbia che si spandono nel mare come le serpi di Medusa che, secondo la leggenda, un tempo della Sardegna fu sovrana.
Isole da Amare.
Terre Madri e Spose che squarciano il cuore di nostalgia, tirando il ventre dei propri figli con un cordone ombelicale intrecciato di mito, memoria e identità.
iSole aMare.
Sole che scalda e dà vita oppure che brucia e secca, negando l’acqua.
Mare che culla e nutre oppure che disperde e inghiotte, imponendo l’acqua.
La rubrica “iSole aMare” si propone di intervistare isolani che della propria condizione reale e metaforica abbiano fatto cultura, arte e storia ponendosi in comunicazione con il mondo: nessun uomo è un’isola o forse lo siamo tutti, usando ponti levatoi? A questa domanda implicita i nostri ospiti, attraverso parole, note e colori, saranno invitati a rispondere.
La rubrica è stata inaugurata da Paolo Fresu, hanno seguito Claudia Zedda, le fondatrici di Libriamoci, Pier Bruno Cosso, Grazia Fresu, Cristina Caboni, Maria Antonietta Macciocu, le sorelle Francesca e Marcella Bongiorno, Franca Adelaide Amico, Anna Marceddu, Silvestra Sorbera, Nadia Imperio, Anna Santoro, Salvina Vilardi, Marina Litrico, Tatiana Pagano, Gavino Puggioni, Gabriella Raimondi, Giuseppina Torregrossa, Francesca Mereu, Francesca Guerrini, Claudia Musio, Paola Cassano, Giulia Baita, Olimpia Grussu, Cristina Muntoni, Valeria Pecora, Graziella Pinna Arconte, Carla Mura, Alessandra Derriu, Claudia Sarritzu, Gian Mario Virdis, Laura Congia, Paolo Montaldo, Giovanna Uccheddu, i fondatori di Sicci Creations (Andrea Mureddu ed Emanuela Carboni), Alessandro Cocco, Patrizia Boi, Enzo Mugoni, Francesca Colombino, Marco Farina, Eleonora Grussu, Giovanni Cherchi, Daniela Orrù, Manuela Congiu, Anna Fresu, Elisa Pistis, Federica Cabras, Giuseppina Carta, Ilse Atzori, Gina Tondo, Clelia Martuzzu, Francesco Paolo Catanzaro, Patrizia Floris, Zaira Zingone, Alessandra Derriu, Elisabetta Spanu Rosario Tomarchio, Gigliola Cuccu, Dennys Cambarau, Giuseppa Sicura, Franco Carta, Gabriella Zedda, Mary Ibba, Lilli Sanna, Francesca Petrucci, Annalisa Atzeni, Salvatore Turiano e Simona Melis.
Oggi è il turno, per la rubrica iSole aMare, di Alessandra Pilloni, cagliaritana, ha studiato archeologia preistorica e si interessa di ricerche nell’ambito della cultura femminile, dell’antropologia culturale e della mitologia. Scrive per varie pagine social su queste tematiche e ha vinto diversi concorsi letterari con racconti e poesie.
Lavora nei beni culturali come guida in un parco archeologico ed è attivista per i diritti delle donne e dell’ambiente. Ha pubblicato “Echi dalle Ceneri” insieme a Simona Cordara; una poesia in una antologia della Chance edizioni, un articolo sugli atti del convegno in onore della Gjmbutas.
Identità
Il profumo della legna che brucia nel caminetto e impregna l’aria mi resta addosso nei capelli e quando entro in una casa me lo porto dietro e sembra che io arrivi da un piccolo mondo antico. Quando sentono quell’odore le persone pensano a me. Perché io sto molto all’aperto e specialmente in luoghi ameni di margini e di selvatici. Questo fa parte della mia identità, soprattutto del modo in cui la vedono gli altri. Sanno che sono io senza parole, solo con l’olfatto ma ancora è imprescindibile il loro sguardo esterno. La domanda che mi pongo però è se esiste l’identità a prescindere dallo sguardo esterno. Esisto quando sono sola e nessuno mi vede? E come? Allora ho provato. E ho visto che il gusto delle more mi piace lo stesso e guardare gli animali nel loro ambiente mi ammalia, che i miei pensieri restano buoni e tristi e non sempre hanno voglia di uscire, che sotto i piedi corrono radici e filoni di ossidiana e le storie possono essere raccolte. Quindi qualcosa c’è di sicuro di identitario in tutto questo che esiste anche se non c’è nessuno. Immagino venga un po’ dal sangue e da tutti i geni e i ricordi che mi compongono, dalle cose che ho vissuto e dalle mani che mi hanno insegnato ad attraversare le strade difficili insieme a quelle che invece mi hanno spinto al muro. È un insieme magmatico di mille cose diverse e mutevoli che sobbollono l’identità. Ed è così per le persone ma anche per i gruppi umani, con la differenza che li ci sono cose che ricorrono sincroniche ad unire più individui in somiglianza.
Tradizione
Tutto si muove e muta continuamente. Allora abbiamo bisogno di punti fermi sui quali orientarci e ci dà sicurezza poterci rivolgere a quelli scelti da chi c’è già passato e ha già percorso la strada. Sono indicazioni importanti. Anche se a volte ingabbiano perché si tende a fossilizzarsi li e non uscire mai dal seminato anche quando non va più bene perché non ci corrisponde più. Bisognerebbe trovare un giusto equilibrio.
Innovazione
Qualcosa che semplifica e migliora. Solo che spesso ha delle conseguenze nascoste che si scoprono solo dopo. E allora tornando indietro non sai più se avresti fatto così, ma intanto ormai non puoi più farne a meno.
Isola
Mi chiedo spesso quanto e come ci influenzi essere isolani. Ognuno di noi si entusiasma davanti alla possibilità tutta continentale di andare senza mai fermarsi, saltare su un treno o in un’auto e attraversare regioni e paesi diversi, superare confini come nulla fosse, sentire lingue stonate per le nostre orecchie abitudinarie. Su un’isola resta un desiderio che si infrange contro le onde. Gira e rigira incontri sempre il mare prima o poi a ricordarti che non puoi andare oltre. È forse per questo che resta un’inquietudine febbricitante sottopelle che ti porta ad approfondire in altre direzioni. Non ti rassegni mai. Abbiamo provato per esempio a scavare in profondità le nostre case nelle colline e amiamo ancora oggi entrarci dentro quando possiamo e restare là accovacciati nel grembo della terra a farci nutrire cantando dagli elementi.
Dalle sotterranee lingue di fuoco abbiamo tirato fuori pietra nera lucente che nascondiamo come un amuleto prezioso portatore di oscuri segreti. Impastiamo le sostanze semplici per crearne di nuove e intrecciamo i rituali alle giornate come fossero musica che sta bene su tutto. Altri però hanno il pensiero fisso lì. Quel mare onnipresente lo vogliono solcare ad ogni costo per scoprire cosa nasconde e non basterebbero tutte le stelle del firmamento a placare quella bramosa sensazione di sete esistenziale che ti porta ad andare lontano da tutto ciò che conosci per spingerti un po’ più avanti. Lo sai bene che ha lo stesso gusto del sangue quel desiderio, ne avverti il pericolo nelle narici. Che forse non tornerai mai più lo pensi ogni volta che parti. E invece per lo più ritorni sempre. Intera o a pezzetti che poi le janas ricuciscono insieme.
Written by Emma Fenu
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