Giuseppe Ungaretti tra avanguardia e classicismo
L’esperienza letteraria di Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto 8 febbraio 1888 – Milano 1° giugno 1970) appare originale ed intrinsecamente contraddittoria forse perché non può scindere dalla stagione avanguardistica degli anni Dieci e dalla conseguente crisi delle avanguardie.

Queste due tendenze, quella di stampo tradizionalista e quella maggiormente avanguardistica, collimano con la sua personalità che appare alla perenne ricerca di equilibrio ed al contempo trasgressione.
Solo la poesia armonizza la loro compresenza sublimando l’atto poetico ad atto rivelatore della verità.
La sua produzione giovanile (Il porto sepolto 1916, Allegria di naufragi 1919) che confluisce nell’edizione definitiva de L’Allegria (1931), trasla una necessità biografica ed un’urgenza realistica mediante una tensione espressionistica che rinnega ogni canone tradizionale della poesia.
La veste biografica alla base può essere individuata nell’esperienza della vita di guerra nelle trincee che alludendo ad una condizione comune (come quella dei soldati) carica la parola di un portato di identità collettiva.
“Cessate d’uccidere i morti,/ Non gridate più, non gridate/ Se li volete ancora udire,/ Se sperate di non perire./ Hanno l’impercettibile sussurro,/ Non fanno più rumore/ Del crescere dell’erba,/ Lieta dove non passa l’uomo.”[1]
Il successivo Sentimento del tempo (prima edizione1933) comporta scelte e moduli espressivi più canonici comportando di fatto un ritorno alla poesia pura e un distanziamento da quella urgenza di vissuto che tanto aveva animato le sue prime manifestazioni poetiche.
È una normalizzazione espressiva quella che caratterizza Sentimento del tempo e che si traduce in un raffinato preziosismo aulico.
“Corre sopra le sabbie favolose/ E il suo piede è leggero./ O pastore di lupi,/ Hai i denti della luce breve/ Che punge i nostri giorni./ Terrori, slanci,/ Rantolo di foreste, quella mano/ Che spezza come nulla vecchie querci,/ Sei fatto a immagine del cuore./ E quando è l’ora molto buia,/ Il corpo allegro/ Sei tu fra gli alberi incantati?/ E mentre scoppio di brama,/ Cambia il tempo, t’aggiri ombroso,/ Col mio passo mi fuggi./ Come una fonte nell’ombra, dormire!/ Quando la mattina è ancora segreta,/ Saresti accolta, anima,/ Da un’onda riposata./ Anima, non saprò mai calmarti?/ Mai non vedrò nella notte del sangue?/ Figlia indiscreta della noia,/ Memoria, memoria incessante,/ Le nuvole della tua polvere,/ Non c’è vento che se le porti via?/ Gli occhi mi tornerebbero innocenti,/ Vedrei la primavera eterna/ E, finalmente nuova,/ O memoria, saresti onesta”.[2]
In questo componimento le due tendenze della poetica ungarettiana, quella frammentaria giovanile e quella elegante dell’età adulta, si sovrappongono producendo un risultato armonioso ed elegiaco.
Considerato come anticipatore dell’ermetismo, termine divenuto un vero e proprio movimento letterario italiano nel Novecento adottato nel 1936 dal critico letterario ed accademico Francesco Flora, rimandando propriamente alla concezione mistica ed ad Ermete Trimegisto.
Flora riprende il modello dei poeti del simbolismo francese, del surrealismo e della poesia di Rilke, Eliot. La poesia diventa volutamente analogia di difficile interpretazione che sottolinea il carattere chiuso del versificare e dell’ascolto della “voce divina”.
“La poesia è poesia quando porta in sé un segreto.”: dichiarò in un’intervista nel 1961 in Rai con Ettore di Giovanni.
Written by Manuela Muscetta
Note
[1] Giuseppe Ungaretti, Il dolore, Non gridate più
[2] Giuseppe Ungaretti, Sentimento del tempo, Caino