“Io Alchemico” di Andrea Trisciuzzi: la destrutturazione e l’unità, ritrovare un nuovo sé
Andrea Trisciuzzi esperisce, sin da adolescente, se stesso, nella scultura: il padre coglie questo suo innato talento, mentre Andrea si limita a vivere, in maniera simbiotica, il contatto con materia e forma.
Si cimenta, sin da subito, nell’arte sacra: nascono infatti numerose opere votive, che vengono celebrate in molte città italiane e internazionali.
Andrea Trisciuzzi ha un’altra parte di sé, però, che ha la necessità di essere manifestata. Praticando e distinguendosi in molteplici discipline sportive, esplode, indi, la necessità di rivelarsi al pubblico in maniera diversa. Così, nel 2006, ha origine la stagione, dedicata allo sport, che splende in dinamismi plastico/scultorei eleganti ed essenziali. Essi vivificano la presenza dell’essenza del “vincitore”, inteso come sintesi di impegno, di rigore, di fatica fisica e mentale…
Nel 2013 accade, invero, una frattura esistenziale: Andrea inizia a perdere la vista.
Comprensibilmente destabilizzato da questa inattesa fragilità, l’autore attraversa un periodo di grandi sofferenze.
Crollano, infatti, tutti i suoi riferimenti: il certo, il consueto viene meno, come la routine… un vorticoso tsunami travolge, allora, la sua vita, frangendo l’interezza della sua persona.
Interviene poi l’assurdo, in quanto buia e folle realtà, avvincendolo nella sfera della disperazione, del conflitto interiore, dello smarrimento… ma anche nella condizione della forza e della perseveranza.
“Saper dosare la banalità e il paradosso: è tutta qui l’arte del frammento.” – Emil Cioran
Andrea Trisciuzzi afferra, indi, con le proprie mani, con l’udito, con l’olfatto, con la bocca, quegli impazziti apici, inespressi e persi, tra le trame di un misterioso caos: sono gli altri sensi ad intervenire, sollevandolo, paradossalmente, dalla mera realtà quotidiana.
Il palmo diviene intuitivo: l’autore ricerca, addentro il proprio inconscio e altresì sull’adombrato suolo, ogni muto istante formale, annusandone la percezione del nucleo. Essa, intensa e odorosa, si ricongiunge all’idea e all’animo, simultaneamente.
Nasce, in questo modo, la stagione “Io Alchemico”: quei millesimati momenti si trasformano, attraverso una “perlustrazione immanente”, liberata dall’artista romano tra non finite e assurde pareti, in verità scultoree, che involvono il cauto e deciso rivelarsi della mutevolezza.
“Materia prima”, “Trasformazione Alchemica” e “La Sfera di Tiche” sono alcune tra le opere, appartenenti a questo periodo.
Andrea Trisciuzzi ivi sposa più pelli, mesciandole in un linguaggio spagirico multiforme: il sapore delle concretezze si eleva tra i suoni di un pentagramma, composizione euritmica di una silenziosa, seppur roboante evoluzione.
Le tessere alfabetiche, profumate di albe inedite, figurano all’occhio come unità piene e sorprendenti, traduzioni estetiche di un nuovo io.
Andrea Trisciuzzi si abbella in ognuna di esse: ivi appare e il suo rinnovato temperamento e una vita, sinossi di una rivisitata bellezza.
Dalla resa alla rivalsa è il messaggio, intrinseco, sublimato, mirabilmente, dallo scultore: quelle vibranti trame artistiche ne sono intrise e poetano queste lumeggiate e peculiari elaborazioni soprasensibili, deposte al cospetto della sensibilità dell’osservatore.
Quest’ultimo non può non subirne il fascino.
Le tre opere, sopra citate, sono attualmente esposte nel contesto della collettiva spagnola “Frammenti dell’Io”, la cui parte organizzativa e curatoriale è stata seguita dallo storico dell’arte Valeriano Venneri e dalla poetessa e curatrice comasca Maria Marchese.
Written by Maria Marchese
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