La voce: la rivista italiana fondata da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini
Agli esordi del Novecento tutte le riviste giovanili avvertono l’esigenza di un impegno maggiore che corrisponde alla consapevolezza che gli intellettuali possono ancora avere nella realtà del tempo una valida funzione.
Il movimento dunque dei giovani scrittori si profila come una sorta di avanguardia che sul piano culturale mira a soppiantare i vecchi stilemi della cultura positivista con nuovi canoni e sul piano politico intende ricoprire un tangibile ed effettivo spazio politico culturale.
In questo contesto si colloca l’esperienza de La Voce, nata per iniziativa dello scrittore e docente universitario Giuseppe Prezzolini nel Dicembre 1908 come settimanale che sollecitava gli intellettuali a muoversi concretamente ed in maniera fattiva nella realtà contemporanea portando nuovamente in auge la loro funzione.
Lo scrittore e poeta Giovanni Papini subentra nel 1912 per poi lasciare la direzione nuovamente a Prezzolini nel 1914.
In nome di questa condivisa esigenza, La Voce accorpava ideologie differenti, i cui portatori però erano accomunati dalla volontà di influire sulla realtà imponendo i loro valori culturali.
Questa necessità si tradusse di fatto nel rifiuto della retorica fine a se stessa, prediligendo la minuziosa e accurata osservazione delle problematiche sociali, culturali e politiche della società contemporanea, osservazione gestita con criteri antiaccademici e con stile svelto, incisivo e moderno.
Le problematiche venivano esibite difatti con un linguaggio agile e scevro di eloquenza oratoria.
Sarà in particolare Giuseppe De Robertis, dal 1916, ad adottare pienamente un atteggiamento di rifiuto della critica tradizionale, preferendo confrontarsi e compromettersi responsabilmente sulla scena letteraria con una spiccata compartecipazione all’opera degli scrittori.
Il critico non è più un asettico osservatore, ma sa leggere l’opera, la rivive elargendo consigli e suggerimenti. Inizia così a profilarsi la figura di un tipo di critico “militante” non nell’accezione civile del termine ma da un punto di vista letterario.
“La critica, s’è detto, vien dopo la poesia. La critica viene insieme con la poesia. Partecipa della natura della poesia. È costruttiva, a un’epoca di grandi costruzioni poetiche, e mondi ideali vasti…
Perché chi fa critica o poesia non può sfuggire alla legge del suo tempo. E s’è badato finora a studiare i poeti come creatori: espressione di un momento storico, e formazione spirituale. Si sono lasciati in disparte i critici; guardando ai resultati della loro fatica: giudizi e valutazioni; non a quel che in essa portavano di facoltà originali, stati d’animo, sostanzialmente affini all’altre virtù poetiche istintive.
Non contano le omissioni, se s’ha da ricostruire una legge. Quel che conta è creare una base alla poesia moderna, mostrandone l’alto valore, sopra tutto per la schiettezza e la genuinità di questa forza vergine dissepolta: e additare tutti gli errori e disguidi che possono nascere da certe anticipazioni e idealismi affrettati…
Il commento spiega la parola. E la parola, in arte, è viva di per sé.
Con impeto interpretativo…
Costruire, in critica, significa mettere in valore le parti vitali di un’opera. Sceglierle, definirle, porle in gioco.”[1]
Written by Manuela Muscetta
Note
[1] Giuseppe De Robertis, Saper leggere, in “La Voce”, pp.488-98