Martin Luther King, uomo simbolo di una giusta causa
“Noi siamo qui stasera per dire che siamo stanchi di essere segregati e umiliati. Non abbiamo altra scelta che la protesta. Ma non seguiremo l’esempio del Ku Klux Klan e degli estremisti che si battono per la perpetuazione dell’ingiustizia nella comunità…” – Martin Luther King junior
Figura altamente carismatica, assunto alla memoria collettiva come simbolo delle battaglie per i diritti civili dei neri, Martin Luther King nasce ad Atlanta il 15 gennaio 1929. È dunque in data odierna che ricorre la venuta al mondo di un uomo votato alla pace e all’uguaglianza fra gli uomini. Attributo che gli è stato ampiamente riconosciuto: è il 1964 quando la Svezia gli assegna il Premio Nobel per la pace.
Riconoscimento che va a confermare il valore di una persona che ha investito la sua vita in una giusta causa: il bisogno e il diritto di riscatto della popolazione nera negli Stati Uniti.
“Noi sgobbiamo in dodici per tutta la settimana, eppure siamo sempre pieni di debiti e viviamo in una capanna…” – Martin Luther King senior
Figlio di un pastore della chiesa battista, Martin Luther King junior cresce in una città gravida di razzismo; avvolta da un’atmosfera carica di disprezzo manifestato in maniera esplicita per un futile motivo: la diversa pigmentazione fra neri e bianchi.
È dunque la segregazione razziale l’imperativo con cui Luther King deve convivere, e come lui la gente della sua stessa etnia.
Il suo ambiente domestico, invece, è permeato da un clima in cui si avverte la necessità di un cambiamento: Martin Luther King senior è già leader per i diritti civili, motivo per cui l’abitazione dei King è spesso raggiunta da telefonate minatorie da parte del Ku Klux Klan: dovrà trascorrere un lungo periodo affinché i neri ottengano uguali diritti, o quasi, a quelli dei bianchi.
“Perché il padrone non lavora eppure abita in una casa di mattoni e prende metà del raccolto?” – Martin Luther King senior
La scelta di vita di Martin Luther King prosegue sulla scia delle orme paterne: a un certo punto anch’egli diventerà pastore della chiesa battista. Non prima però, aiutato da una mente brillante, di aver acquisito un eccellente curriculum scolastico.
È il 1948 quando raggiunge la Pennsylvania per iscriversi alla scuola di teologia, dove termina gli studi con una menzione d’onore. Che, grazie a una borsa di studio, gli apre le porte dell’università di Boston con una laurea in filosofia conseguita nel 1954.
Come molti giovani, King divide il suo tempo fra lo studio, la discussione di temi sociali e il fascino che esercita sulle sue coetanee. Fino a quando incontra Coretta Scott, che nel 1953 diventa sua moglie; a quel punto Luther King non ha dubbi: Coretta è la donna con cui desidera dividere la vita.
Terminati gli studi di filosofia deve scegliere se abbracciare l’insegnamento o dedicarsi a un’attività socialmente utile. Ed è su questa seconda opzione che cade la sua scelta, con il desiderio di svolgere il suo servizio nel Sud, a Montgomery (Alabama), lì dove la segregazione è più forte.
Con la volontà di dare un contributo più incisivo alla causa contro la discriminazione razziale. Che si esplicita fin dal suo sermone d’esordio, il quale lo conferma un predicatore d’eccellenza.
Nelle intenzioni di Luther King c’è l’urgenza di risvegliare la coscienza degli afroamericani, e spingerli a una reazione assumendo la resistenza passiva quale metodo di lotta. Solo così la condizione della popolazione nera, sottoposta a soprusi di ogni genere dai bianchi sarebbe cambiata.
“Non prendete l’autobus per andare in città, al lavoro, a scuola o in qualsiasi altro posto lunedì 5 dicembre…” – E. D. Nixon, facchino, attivista della NAACP (Associazione fondata nel 1909 in difesa del linciaggio subìto dalla popolazione nera)
Nel 1955 è un episodio, più determinante di altri, che esorta il leader a procedere sul percorso già intrapreso: il rifiuto di Rosa Parks, sarta e donna nera, di cedere a un bianco il suo posto a bordo del mezzo pubblico su cui si trova.
Esempio di coraggio inaudito, il diniego di Rosa sarà assunto a simbolo per dare inizio a una lunga ed estenuante battaglia contro la discriminazione sui mezzi pubblici, e momento in cui la lotta di Martin Luther King assume una sorta di ufficialità. Anche se, in seguito a quel gesto rivoluzionario, la sarta viene fatta scendere dal bus e arrestata. Arresto che provoca una protesta collettiva di enorme portata.
Animata da una rabbia, che infiamma gli animi, il malcontento si traduce nel boicottaggio dei mezzi pubblici per oltre 380 giorni. Mentre i neri scelgono di andare a piedi e il boicottaggio continua, il risultato del dissenso è straordinario. Tanto che da quel momento nulla sarà come prima.
Perché la ribellione, peraltro pacifica, di cui Luther King è paladino e mito indiscusso, incrina il rapporto di asservimento dei neri sottoposti alle continue vessazioni dei bianchi. Ed è l’occasione per il reverendo di fondare MIA (Montgomery Improvement Association), un’associazione di cui sarà presidente a vita nominato all’unanimità dalla gente di Montgomery.
“Sarei terribilmente deluso se qualcuno di voi tornasse sugli autobus schiamazzando…” – Martin Luther King
La protesta in questione, animata dalla non violenza quale metodo di lotta, nasce sui fondamenti della dottrina di Gandhi, figura ispiratrice di King e considerato da lui un faro che ne illumina il cammino. Cammino di certo non facile, il quale lo porta a porsi numerose domande. La più importante delle quali è come conciliare il credo cristiano, che predica la pace, con l’azione. Risposte che gli vengono dagli insegnamenti di Gandhi.
Se prima di allora la sua bibbia era il saggio di Thoreau sulla disobbedienza civile, ad accompagnarlo adesso è la dottrina del Mahatma. Tanto che, il trasporto per i suoi ideali lo conduce in India, nel 1959, sulle tracce di Gandhi. Dove, acclamato come un re, tiene discorsi e conferenze.
“Cristo ha fornito lo spirito; Gandhi ha mostrato come renderlo operante.” – Martin Luther King
La cosiddetta non violenza praticata da Gandhi è un metodo di lotta in cui non c’è posto per lo scontro fisico, semmai il cardine su cui poggia è un confronto costruttivo fra parti avverse attraverso il dialogo, dove l’arte della diplomazia la vince sul confronto fisico.
Tornato in America, Luther King è accusato di voler distruggere il tessuto sociale della città di Montgomery. Ed è con un pretesto che il reverendo viene fermato a bordo della sua auto e condotto in carcere. Per il reverendo, il breve soggiorno in prigione è l’occasione per verificare in prima persona il diverso trattamento carcerario dei neri rispetto a quello dei bianchi. Mentre la protesta dei neri pare non volersi sedare, il malcontento porta i manifestanti ad assediare il carcere dove il leader è detenuto.
Bersaglio di un’ostilità senza limiti, King continua a ricevere minacce che prendono forma in una bomba lanciata verso la sua abitazione: è un vero miracolo se la moglie e la figlia ne escono illese.
Il clima infuocato è ormai all’ordine del giorno e sembra non spegnersi, se non fosse che solo grazie alle parole di King gli animi si calmano, incanalando la ribellione in una protesta dai toni pacifici.
Attenzionato dall’FBI, perché ritenuto un pericoloso sovversivo, e sospettato di simpatie comuniste, quello che viene esercitato sul reverendo è un controllo capillare e odioso che si declina in intercettazioni telefoniche altamente minacciose.
Si racconta che Edgard Hoover, all’epoca capo dell’agenzia, fosse ossessionato dalla figura di Luther King, tanto da provare per lui un’avversione viscerale. Che si declina in intimidazioni, durante le quali viene dichiarato un uomo morto e lo si esorta al suicidio. Un clima di odio che prende forma con un attentato da cui esce illeso e per nulla deciso ad abbandonare la causa cui ha dedicato la sua esistenza: è il settembre del 1958.
“Nigger, prima della fine della settimana ti pentirai di essere venuto qui” – fanatico del Ku Klux Klan
Nel 1960 sullo scenario politico fa la comparsa una figura dal volto nuovo: John Kennedy. Sostenuto nelle elezioni presidenziali anche da King, Kennedy sarà un presidente che si apre ad innovazioni importanti a proposito dei diritti civili.
“Io sono il vostro portavoce, come mi avete chiesto. Ma voglio dire a tutti che se sarò fermato, il nostro lavoro non si fermerà, perché ciò che facciamo è giusto, e Dio è con noi.” – Martin Luther King
La marcia su Washington, rimasta memorabile quale protesta pacifica ma che marca la volontà dei neri di continuare nella ribellione, è del 1963. Durante la quale il leader pronuncia la frase rimasta indelebile nella memoria di molti: ‘I have a dream’.
Ma, sebbene King sia acclamato come leader indiscusso e perciò motivato a portare avanti le sue lotte, cambiare lo status quo non è per nulla facile. Anzi, le autorità esercitano sui neri una maggior repressione; tanto che gli arresti dei manifestanti diventano d’uso quotidiano nonostante le manifestazioni pacifiche, che in modo altrettanto pacifico esprimono la necessità di un cambiamento.
Fin quando nel 1964 un tribunale federale stabilisce che la segregazione è incostituzionale.
A un certo punto, male interpretato, il pensiero di King viene male interpretato da frange estreme, gente che assume atteggiamenti non opportuni ai fini delle battaglie per acquisire equi diritti.
È Malcolm X il personaggio più rappresentativo di questo momento, che vorrebbe indirizzare le rivendicazioni in una protesta più accesa, che contempli anche lo scontro fisico fra le parti in questione. Una protesta non canalizzata secondo il principio della non violenza, che vede Malcolm X, leader del movimento Black Power, cadere sotto i colpi di un fuoco incrociato.
“Non invochiamo la violenza. Voglio che amiate i vostri nemici. Siate buoni con loro. Amateli e lasciate che sappiano che voi li amate…” – Martin Luther King junior
A seguire, è il novembre 1963 quando il presidente John Kennedy viene ucciso in un attentato, la cui verità è rimasta sepolta dal tempo. Uccisione che dà la misura del rinnovamento intrapreso da Kennedy, non ultimo quello dei diritti civili per i neri.
Altro momento tragico e leggendario è la marcia dei neri sulla città di Selma, organizzata in seguito ad atti di violenza sofferti dai neri. Che, in qualche misura segna il tramonto di King.
Sono numerosi i neri, in compagnia di uno sparuto gruppetto di bianchi, che decidono di percorrere circa 80 chilometri per raggiungere Montgomery partendo da Selma.
Vengono però fermati e impedito loro di proseguire da soldati in assetto di guerra.
Luther King intuisce che le truppe guidate dai militari intendono provocare i manifestanti, e sollecita questi ultimi a ritirarsi e non avanzare oltre: è un gesto che pagherà a caro prezzo.
Nonostante il mancato avanzamento dei manifestanti, una carica di uomini si abbatte su di loro senza risparmiargli manganellate e bombe lacrimogene.
Il giorno successivo, fra l’indignazione dell’America tutta, un alto numero di neri viene ricoverato in ospedale. Da più parti viene imputato a King di avere un animo da riformista e non da rivoluzionario, come alcuni avrebbero desiderato.
Ripudiando così un leader considerato troppo moderato.
“Una tragedia americana che non può e non deve essere ripetuta.” – Presidente Lindon Johnson
Quella di Martin Luther King è stata una battaglia lunga ed estenuante, che si conclude con la sua morte il 28 marzo 1968, mentre si trova nella città di Memphis dopo aver pronunciato il suo ultimo discorso. Accade per mano di un cecchino che lo spara uccidendolo.
La sua morte provoca una catena di violenze in tutto il paese, ma non è la fine di un sogno: su esempio dell’operato di King, si può affermare che con il metodo della non violenza è possibile combattere e ottenere giusti diritti all’interno di una società.
Una società che meriti di essere definita imparziale, però.
“Martin Luther King tentò di dirigere le passioni e il Movimento dei negri degli Stati uniti lungo le linee che riteneva più adatte… Come uomo gli accordavo il rispetto che meritava la sua sincerità. Soltanto come leader del pensiero nero dissentivo da lui” – da “I fratelli di Soledad” di George Jackson
Written by Carolina Colombi