“Conversazioni poetiche” antologia di autori vari: la prefazione curata dalla poetessa Giuseppa Sicura
“Conversazioni poetiche” è un’antologia di dodici raccolte di poesia edita nel dicembre 2021 dalla casa editrice Tomarchio Editore.
L’antologia consta di 260 pagine e vede la partecipazione di Roberta Sgrò con “Di lamponi al risveglio, su note silenziose”, Giovanna Fracassi con “Il canto della memoria”, Gabriella Mantovani con “Preziosi momenti”, Roberto Chimenti con “Eco non muore”, Indiana con “Le ombre della vita”, Dennys Cambarau con “Inter Sidera Nos”, Caterina Muccitelli con “Frammenti”, Francesca Santucci con “La notte e il giorno”, Elena Papa con “Gioventù”, Antonietta Angela Bianco con “Emozionando la vita”, Teresa Viola con “Stelle a strisce”, Rosario Tomarchio con “La mia isola”.
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo in anteprima la prefazione curata dalla poetessa Giuseppa Sicura.
Prefazione di Giuseppa Sicura
In un mondo che ha fatto della materialità il cardine del progresso umano, scrivere oggi di poesia potrebbe sembrare anacronistico, come voler occuparsi del nulla. La nostra società, complessa e frenetica, non ha tempo per soffermarsi a meditare, a scrutare l’animo umano e le sue emozioni; la poesia invece è di questo che si nutre. È un atto creativo che richiede tempo e silenzio, perciò è opinione diffusa che potesse avere la sua valenza nell’infanzia del mondo, non adesso che viviamo sotto la tirannia delle ore e del rumore.
Credo che la poesia non sia un trastullo per bambini ed anche oggi che il mondo vive l’età matura, dell’informatica e dei social, a maggior ragione, l’essere umano ne ha bisogno: è un contraltare di bellezza, un balsamo che allevia le brutture del mondo, un’oasi di respiro per il pensiero e la riflessione, una tregua all’ansia e alle corse giornaliere.
Per creare poesia serve l’ispirazione, ma di questa parola si sono quasi perse le tracce. È vero che il tempo delle Muse è finito e che Euterpe, Erato e Calliope vivono solo nei no-stri ricordi scolastici. Oggi tutto è più terrestre, concreto, e allora diamo i nomi giusti alle cose e diciamo che nella poesia, così come in ogni opera artistica, l’ispirazione può giungere da qualsiasi cosa, persona o fatto, da una lettura, da un pensiero o da un’emozione, in ogni momento e spesso arriva inattesa e genera nell’artista la necessità di esprimersi e sarà proprio questa necessità la molla di tutto, una forza interiore che farà dimenticare fatiche ed ostacoli.
L’ispirazione fornirà al poeta l’idea, chiara o confusa, sul contenuto della sua espressione, ma quel contenuto non potrà mai essere opera d’arte se non interverrà l’intuito che, schioccando una fulminea scintilla, saprà indicargli la forma da imprimere alle parole e ai versi.
La poesia è pertanto il luogo in cui impera la forma: “L’arte è la risoluzione del contenuto nella forma” (Benedetto Croce) in un tutto inscindibile e, se questa fusione non avviene, non possiamo parlare d’arte e neanche di poesia.
L’intuizione è la vera essenza di ogni espressione artistica: è un processo inconscio del pensiero, energia che dà forma alle idee poetiche che avranno vita assoluta. È necessario però che tali idee, per essere comprensibili, prendano la forma della concretezza, per cui il poeta deve trovare un “correlativo oggettivo” (Thomas S. Eliot, “Il bosco sacro”), cioè tradurle in oggetti o in situazioni concrete, creandone l’immagine. Una concezione condivisa anche da Eugenio Montale che attribuirà un forte valore simbolico alle cose concrete, tanto che i critici definiranno la sua come “poetica dell’oggetto”. E quale figura retorica meglio della metafora, per creare immagini concrete?
“Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.” – Eugenio Montale da “Ossi di seppia”
Charles Baudelaire, il padre della modernità, celebrava già nelle sue opere il “culte des images” ed oggi, che dalle immagini viviamo giornalmente sommersi, la poesia, più di qualsiasi altra cosa, può rivendicare, a pieno titolo, il proprio spazio. Non si tratta però di scatti fotografici che raccontano la realtà; quelle della poesia, pur sotto forma concreta, sono immagini interiori, espressioni di sentimenti e sensazioni, racconti/visioni dell’anima.
Ancor prima Giacomo Leopardi teorizzava l’esistenza di una “doppia vista nel poeta”, quella della pupilla e quella dell’anima (Zibaldone) e più avanti Italo Calvino specificava che le immagini nascono prima delle parole e incombo-no sul poeta come una sorta di pioggia “prima sotto forma di bassorilievi che sembrano muoversi e parlare, poi come visioni proiettate davanti ai suoi occhi, come voci che giungano al suo orecchio, e in fine come immagini pura-mente mentali” (Lezioni americane, “La visibilità”).
In questi involucri concreti, che sono le immagini, i poeti e tutti gli artisti ci lasciano testimonianza delle età che hanno attraversato; pertanto con loro il mondo è come rinascesse continuamente sotto forma di poesia e, nonostante spesso si diffonda un vociare che la dà per morta, lo constatiamo ogni giorno che l’attempata signora, come in tanti vorrebbero dipingerla, è invece più viva e giovane che mai e si fa leggere e sentire.
Oggi i social sono invasi da post di poesie di ogni genere, di reading in diretta, di eventi dove la poesia è regina assoluta. E i concorsi di poesia? Infiniti! E le edizioni di poesia? Numerose! E non dobbiamo meravigliarci se non è tutto oro quello che luccica: è normale!
Quando un fenomeno elitario si espande il valore può subire qualche flessione negativa, ma se questa maggiore presenza è un segno di democrazia e libertà, ben venga anche qualche verso sgangherato o banale, ben venga la poesia di massa. Al tempo e ai critici (se non resteranno blindati nelle grandi case editrici o nelle aule universitarie) il compito della cernita per i posteri.
Arginare i difetti e risollevare il livello della poesia odierna si può, ma richiede il passaggio di tanto tempo e di alcune generazione. Bisognerebbe soprattutto acquisire quell’abitudine di cui molti ancora ignorano l’efficacia per la formazione e la crescita di un poeta: la lettura assidua ed attenta di poesie dei grandi poeti, dai classici ai contemporanei. Non temiamo di essere influenzati, dobbiamo nutrirci di poesia ogni giorno e fidarci dei grandi che sanno darci sempre buoni consigli.
La lettura è una fucina d’ispirazione, allarga la nostra visuale sul mondo e stimola l’intuizione.
Ma a che serve la poesia?
“Io qui non vengo a risolvere nulla.
Io sono venuto qui per cantare
e per sentirti cantare con me” – Pablo Neruda da “Ode alla pace”
La poesia non risolve nulla. Se sei povero non ti arricchisce, né ti sfama se hai fame, non ti rende la persona che hai perduto, non firma trattati di pace. Eppure senza la poesia, farai più fatica a sopportare tutto ciò e sarai più solo e disperato.
La poesia non è qualcosa di materiale, né ci offre alcunché di reale; è impalpabile e indefinibile ma, se è vera poesia, deve trasmetterci delle emozioni. Non può lasciarci indifferenti. Deve farci palpitare, scuotere le viscere o il pensiero e allora ci sentiremo, anche nel dolore, ancora vivi e in comunione con gli altri.
A comprovare la vitalità odierna della poesia ricordiamo che persino l’Unesco, nel 1999, ne ha riconosciuto il ruolo privilegiato “nella promozione del dialogo interculturale, della diversità linguistica, della comunicazione e della pace”, oltreché un ruolo/base in tutte le altre forme della creatività letteraria ed artistica.
La scelta del primo giorno di Primavera, come giornata mondiale della poesia, non è certo dovuta al caso, ma è volutamente simbolica e l’Unesco non avrebbe potuto trovare un binomio più perfetto.
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