Hans Ruedi Giger: gli incubi, i labirinti interiori, i pozzi e le mutazioni genetiche
Nato a Chur (Svizzera) nel 1940, figlio di un farmacista, Hans Ruedi Giger sembra avere sin dall’infanzia una fantasia piuttosto viva, particolarmente attratta da tutto ciò che può incutere terrore.
Il “castello degli orrori” organizzato per sedurre le ragazze, ricavato da un buio corridoio del retrofarmacia, come quelli del luna park assiduamente frequentato dal giovane, come le scale della cantina, sembrano essere le porte di accesso verso un’altra dimensione.
Addentrandosi nei labirinti interiori, Giger porta alla luce una alla volta tutte le creature che incontra nei suoi viaggi notturni in una dimensione dove orrore e angoscia sono le uniche emozioni. In questa oscura regione dell’anima, l’umano ha un volto estraneo, alieno, su cui è dipinto un ghigno malefico.
Un venefico processo di corruzione corrompe tutta la materia vivente. Teschi, scheletri, ossa sono ciò che si incontra quando si sprofonda negli oscuri meandri che conducono fino alle più ignote regioni dell’inconscio: un esempio è dato dalla serie dei Pozzi disegnati dall’artista svizzero.
Come i primi disegni dei Bambini atomici, esseri mutanti che hanno conservato soltanto lo scheletro dell’essere umano, tutte le creature di Giger sono il prodotto di una mutazione genetica e di un processo di ibridazione che accomuna ogni specie vivente. Dalla serie di Noi bambini atomici, realizzati a china nel 1964 e pubblicati sul giornale della scuola di artigianato di Chur, frequentata dall’artista svizzero, nascono infatti tutte le successive figure d’incubo di Giger: i corpi di queste figure sono costruiti secondo un processo di ibridazione che ricorda alcune figure surrealiste.
I Bambini atomici, che compaiono ad esempio in Paesaggio X (1972), Paesaggio XVIII (1973) e Paesaggio XXVIII (1974), recano il segno di una catastrofe, di un’esplosione nucleare che ha alterato il patrimonio genetico dell’umanità, facendo nascere mostruosi ibridi, che abitano lande spettrali e monocromatiche: la loro nascita segna la contaminazione tra la dimensione umana e quella tecnologica.
Contenute all’interno di una misteriosa Macchina procreatrice (1965), queste larve umanoidi vengono espulse come proiettili. Come i Biomeccanoidi, protagonisti delle serigrafie del 1968 e di alcune sculture dello stesso periodo, queste creature appartengono a un mondo in cui la tecnologia è lo strumento dell’orrore.
Gli esseri mostruosi di Giger abitano una realtà che può essere fredda e deserta come la metropoli americana della serie N.Y. City (1981), oppure brulicante di una vita notturna e aliena, come in Hommage a Böcklin (1977) e in Cateratta (1977).
Gli scenari naturalistici con monti, vallate e fiumi, che richiamano i luoghi in cui l’artista è cresciuto, mostrano in queste opere il loro volto oscuro: una mutazione ha colpito non solo gli esseri umani, ma anche l’ambiente in cui vivono, vale a dire una natura ostile e spaventosa.
Un mondo inconoscibile, popolato da creature aliene che minacciano l’esistenza degli esseri umani, come nel film Alien di Ridley Scott (1978) è lo scenario degli incubi di Giger. La mostruosa creatura di Alien, quella sorta di vampiro spaziale che succhia la vita degli umani, è creata da Giger e riassume, come spaventosa metafora, un suo incubo personale. Dall’uovo spaziale viene alla luce la creatura aliena, incarnazione del Male, che assale gli esseri umani distruggendoli.
Per Giger, questo mondo futuro è il regno dell’incubo. La temperatura terrestre è aumentata facendo sciogliere i ghiacci e causando terribili inondazioni; molti non riescono più a sopportare questo succedersi di catastrofi e scelgono di suicidarsi. Mentre gli umanoidi controllano i luoghi più importanti del pianeta, alcuni iniziati, sotto il comando di un Grande Vecchio, preparano il giorno in cui le antiche divinità assumeranno il controllo totale della Terra.
Descritte nei vecchi libri di magia come il Necronomicon, queste divinità dormono nelle viscere della terra e nelle profondità marine. Al comando del dio Cthulhu, creato da Lovecraft (1917-1936), queste legioni divine, risvegliate dal loro sonno, prenderanno il potere.
In questa realtà futura ogni rapporto porta il segno oscuro della violenza e della perversione. L’erotismo raffigurato nelle opere del pittore svizzero, come quello descritto in molti racconti fantastici, ha in sé inscritto il segno di una diabolica violenza. Un freddo orrore accompagna queste immagini, al fondo delle quali si può intravedere una solitudine e un vuoto angosciosi. Eros soccombe dinanzi a Thanatos.
Mentre il maschile compare solo in forma fallica o prendendo le sembianze di diabolici capri, un terribile femminile domina l’universo di Giger.
Si tratta di un femminile fallico che riunisce in sé l’aspetto umano, animale, vegetale. Un femminile che ricorda i draghi e i mostruosi serpenti primordiali come ad esempio la Tiamat babilonese.
L’aspetto terribile del femminile emerso nelle opere preraffaellite e simboliste con il mito della donna-vampiro si manifesta qui pienamente.
In Li I (1974) e Li II (1974) il viso femminile, con un serpente sulla fronte, è circondato da capelli somiglianti a code, come in certe figure anguicrinite della mitologia greca, ed è accompagnato da creature dal volto di teschio e dai corpi simili a ragni o scorpioni: in queste figure riprende forza l’arcaico potere della Grande Madre Uroborica, Signora della vita e della morte, delle piante e degli animali.
Nelle opere di Giger sembra scatenarsi l’inesorabile potere della distruzione e della morte: qui la morte si alimenta da sé partorendo le sue mostruose creature che finiscono per essere le uniche abitatrici del pianeta.
L’immaginario di Giger, che ricorda gli incubi postatomici descritti da Kurosawa in Sogni (1990), attraversa la pittura e il cinema. L’interrotta collaborazione per il film Dune e quella tra Ridley Scott e il pittore svizzero per il film Alien, per il quale Giger ottenne una nomination agli Oscar, sono il luogo in cui l’immaginario dell’artista fiorisce appieno, affrancato dall’immobilità del disegno e della pittura: i suoi mostri non soltanto si muovono nello spazio, ma i suoi terrificanti scenari divengono reali, seppur nello spazio illusorio del cinema.
“In space no one can hear you scream.” – Così recita la tagline del film Alien (1979).
Chi può udire il tuo grido di terrore nello spazio profondo?
Un grido che si perde nell’attimo stesso in cui nasce dal cuore e giunge alla bocca.
Ma l’orrore resta, ed è in agguato nell’ombra, come Alien: sibilante, insidioso, letale, vampirico.
Ecco ciò che fece Giger, scomparso il 12 maggio 2014 a seguito di una caduta, con la sua arte: afferrò con lo sguardo dell’anima quel terrore e lo portò dall’ombra alla luce.
O, forse, lo illuminò di una nuova ombra.
Written by Alberto Rossignoli
Bibliografia
Aldo Carotenuto, “Il fascino discreto dell’orrore. Psicologia dell’arte e della letteratura fantastica”, Tascabili Bompiani, Milano, giugno 2002;