“Autobiografia di Alice B. Toklas” di Gertrude Stein: lo scrivere rovesciato come moto autocelebrativo
La casa editrice Einaudi nel 1938 pubblicava per la prima volta in Italia, nella traduzione di Cesare Pavese, Autobiografia di Alice B. Toklas, quella che è riconosciuta come l’opera, forse, migliore di Gertrude Stein, di certo quella che ebbe maggior successo tra le numerose da lei scritte.
Quest’anno Marsilio, nella collana Letteratura universale, ripubblica l’opera, con la cura e traduzione di Alessandra Sarchi. Dell’edizione Einaudi ci mancano le illustrazioni, ma guadagniamo un’iconica, allusiva copertina di due figurini femminili di Paul Poiret, ben lontani dall’immagine reale della coppia Stein-Toklas, ma assolutamente in tono con la rievocazione, artistica e intellettuale, del Primo Novecento Parigino di cui le pagine dell’Autobiografia si sostanziano.
Gertrude Stein (Allegheny-Pennsylvania 1874- Parigi 1946) proveniente da ebraica famiglia borghese, esperta del mondo quale viaggiatrice in Europa e America, dopo aver abbandonato gli studi di medicina, stabilitasi a Parigi dal 1903, col fratello Leo, diviene collezionista d’arte e animatrice di un cenacolo artistico e letterario che raccoglie esponenti delle avanguardie.
Dalla sua casa in Rue de Fleurus sono passati E. Emingway, F.S. Fitzgerald, H. Matisse, P. Picasso, J. Cocteau, solo per citarne alcuni. Convive con Alice Toklas, anche lei espatriata americana e sua compagna fedele. Scrive molto Gertude Stein, ma con poco successo, il confronto con le penne dei suoi ospiti amici, ma anche “rivali” letterali, allora come oggi, sarebbe impietoso. Il suo genio, la sua capacità attrattiva, un certo carisma che ne rendono importanti i consigli e le opinioni, non ne hanno fatto, però, un’autrice di successo. Cosa che non fece che accrescerne la già smisurata ambizione e l’altrettanta grande frustrazione.
Tra le sue opere, molte delle quali segnate dallo sperimentalismo, dalla destrutturazione della trama tradizionale, sotto il segno del concetto di tempo J. Joyce e H. Bergson, ricordiamo – dopo Quod erat demonstrandum, del 1903, pubblicato postumo e ancora tradizionale, invero- Tre esistenze (Three lives, 1908), C’era una volta gli Americani (The Making of americans, 1906-8, pubblicato nel 1925), Teneri boccioli (Tenders buttons, 1914), Geografia e commedie (Geography and Plays, 1922), Lucy Church amiably del 1930, Ida del 1941.
Invece è nel 1933 che la Stein scrive l’Autobiografia di Alice B. Toklas. Un esperimento anche questo, ma il più riuscito, non perché sia qualitativamente migliore la sua scrittura o di grande impatto il contenuto dell’opera. Ma perché ci restituisce, insieme al ricordo di una figura certamente potente e influente nella Parigi dei primi decenni del Novecento, anche uno spaccato vivo, ricco di aneddoti, della sua “corte”, delle figure che la frequentavano, delle atmosfere di quell’ambiente.
La scrittura resta, sostanzialmente monotona, il tono sentenzioso e perentorio resta un contrassegno, ma geniale è la volontà-capacità di autocelebrarsi, costruendo un ampio ritratto di sé, usando l’espediente di scrivere di suo pugno l’autoritratto della compagna, Alice, inserendovisi in primo piano, compiacendosi e autocitandosi (nell’opera sono state contate circa 760 citazione del nome Gertrude Stein!).
Ma chi è Alice Toklas? Anche lei proveniente dalla media borghesia ebraica americana, anche lei abbandona gli studi intrapresi – quelli musicali – e si trasferì a Parigi, dove conosce Gertrude nel 1907, di cui diviene confidente, amica, amante, cuoca, ma anche segretaria e attenta critica dell’edizione delle sue opere, standole accanto fino alla morte.
La vera Alice? Esile, ma tenace, capace di tenere le redini del rapporto e lavorare dietro le quinte. Anche se forse resterà per noi quella che compare in numerosi scatti fotografici, un po’ in secondo piano, spesso, accanto all’amata Gertrude che, a differenza di lei, è imponente nelle forme ed esorbitante nella personalità pubblica.
Qui, però, compare a ogni parola Gertrude: la scrittura è tutta sua, laddove abolisce l’uso della punteggiatura, poiché la considera inutile. Abolizione arbitraria, come dice Alessandra Sarchi, che rende difficile la lettura e la comprensione al moderno lettore. Una scelta, dettata dalla necessità di rendere più fruibile il testo, quella che ha portato a introdurre i segni d’interpunzione in questa nuova edizione poiché quasi del tutto assenti nel testo originale.
Un rapporto sicuramente complesso, dai risvolti psicologici variegati e non sempre in superficie. Un rapporto che, nella sua realtà quotidiana e nella sua sostanza, resta e resterà sconosciuto ai lettori. Resta, invece, una Stein che non si pone scrupoli nel mettere sulla bocca o, meglio, sulla penna di Alice parole che continuamente innalzano Gertrude, la pongono in primo piano, sino a definirla come la più grande scrittrice vivente in lingua inglese!
“(…) incontrai Gertrude Stein. Mi colpirono la spilla di corallo che portava al collo e la sua voce. Posso dire che solo per tre volte nella mia vita ho incontrato un genio e ogni volta dentro di me è suonato un campanello e non mi sbagliavo; posso dire altresì che in ognuno di quei tre casi è stato ben prima che ci fosse un generale riconoscimento delle loro qualità geniali. I tre geni di cui vorrei parlare sono Gertrude Stein, Pablo Picasso e Alfred Whitehead. Ho incontrato molte persone notevoli, ma ho conosciuto solo tre geni assoluti e in tutti e tre i casi un campanello d’allarme mi ha avvertito. In nessuno dei tre casi mi sono sbagliata. Così è cominciata la mia nuova, intensa, vita.”
La chiavi per una lettura, anche in chiave positiva, dell’opera ce la dà Alessandra Sarchi, nella prefazione. L’attenzione della Stein per i dettagli fa sì che si possano conoscere molti retroscena e aspetti della vita quotidiana di personalità famose, artisti e letterati, altrimenti difficilmente ricostruibili, come il modo di vestire o di mangiare, gli arredamenti delle loro case, degli studi, i locali frequentati.
Anche il mondo editoriale viene raccontato con dovizia di particolari, nomi, luoghi, incontri, trattative, antipatie e compiacenze. Così, Gertrude “ci catapulta direttamente nella modernità editoriale più feroce: numero di copie vendute, vetrine di librerie occupate, riviste che rifiutano di pubblicare articoli senza una motivazione. Accadeva nei primi anni del Novecento e accade ancora oggi.”
Acutamente la Sarchi sottolinea come la Stein fu vera avanguardia quale autore che si autopromuove (grazie alla creazione di quella che si configura – in sintesi – come una sorta di autoapologia) anticipando, di fatto, un fenomeno oggi ampiamente diffuso.
Written by Katia Debora Melis