“Della morale e della politica” di Gabrielle Suchon: libertà, scienza e autorità attraverso gli occhi di una donna
“Il Seicento francese consegna alla storia personalità di grande rilievo storico e culturale che hanno riempito le cronache di allora e, successivamente, anche le enciclopedie…”

Pubblicato in una prima edizione nel 1693, il Trattato Della morale e della politica di Gabrielle Suchon, a distanza di oltre tre secoli rappresenta un’occasione di commento su di un dibattito dal contenuto importante, uno dei quali è il ruolo occupato dalla donna nella società francese del Seicento.
Età in cui il mondo femminile era oggetto di discriminazioni notevoli: una fra tutte, quella che più si evince, è inerente alla mancanza di istruzione delle donne. Problematica che l’autrice affronta con particolare enfasi, segnalando di quanto la questione sia, allora come oggi, di rilievo.
Edito nel 2021 dalle Edizioni Paoline, il testo si offre ad una lettura gradevole e agibile, favorita da un registro di scrittura fluente, nonostante la speculazione sia piuttosto impegnativa.
Tuttavia, per far proprie le riflessioni dell’autrice è necessario un approccio attento, il quale incoraggia il lettore, o più probabilmente la lettrice, ad accostarsi al Trattato con trasporto e un ovvio interesse.
“Non ho avuto altra intenzione in tutto questo trattato che ispirare alle donne sentimenti nobili e magnanimi, affinché possano proteggersi da una costrizione servile, da una stupida ignoranza e da una dipendenza bassa e degradante…”
Il nome di Gabrielle Suchon è stato trascurato per molto tempo, sebbene il suo pensiero sia significativo nel panorama filosofico e teologico del Seicento. Riconosciuta come un’autorevole intellettuale, la teologa ha contribuito ad ampliare un’indagine meritevole di attenzione: quella sulla questione femminile.
Ma chi era Gabrielle Suchon? A raccontarlo è l’abate Philibert Papillon, autore nel 1742 di un’opera sugli scrittori della Borgogna, il quale ha raccolto notizie biografiche, relative alle origini della teologa, non molte per la verità, arrivate fino ai giorni nostri.
“Essa fu per qualche anno religiosa domenicana, dopo di che fece appello contro i suoi voti. Ebbe abbastanza coraggio da intraprendere il viaggio fino a Roma, senza comunicare il suo progetto a nessuno. Il papa le accordò un rescritto contro i suoi voti, al quale i suoi parenti si opposero. Una sentenza del parlamento di Digione la condannò a rientrare nel suo monastero. Ma essa eluse questa sentenza; non so come. Essa restò presso sua madre e morì a Digione il 5 marzo 1703”.
Tradotto egregiamente da Maria Pia Ghielmi, docente di Teologia spirituale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, il testo si offre sia come un affresco della società francese, inclusa la discussione a cui si sono prestati alcuni pensatori dell’epoca, i quali hanno affrontato la querelle des femmes, sia per illustrare la posizione che una donna dovrebbe ricoprire all’interno della comunità di appartenenza.
Il Trattato, oggetto di questo commento, è suddiviso in tre sezioni: libertà, scienza e autorità.
Ognuna delle quali include importanti considerazioni sviluppate alla luce della formazione religiosa della Suchon, con una visione rivolta alla tradizione cristiana e supportata da riferimenti dell’Antico come del Nuovo Testamento, oltre a rimandi ai Padri della Chiesa: Agostino, Girolamo e Giovanni Crisostamo. Senza trascurare i teologi classici, Tommaso D’Aquino e Bernardo di Chiaravalle, fra questi; ed il ricorso ai classici greci e latini, Aristotele, Seneca e Plutarco.
E riferendosi anche ad autori a lei coevi, che sono intervenuti nel dibattito in difesa della donna.
L’autrice del Trattato riferisce inoltre di esempi di donne appartenenti alla tradizione cristiana, il cui pensiero è da interpretarsi in una prospettiva opposta all’antifemminismo diffuso e proclamato in altri testi relativi a quel periodo.
“Seneca, nel libro indirizzato a suo fratello, assicura che ciascuno desidera vivere felicemente, ma che nessuno può sapere ciò che fa la vita felice, perché se si sbaglia una volta a mettersi nel giusto cammino, invece di giungere alla felicità, ci si allontana tanto più da essa quanto più velocemente si corre…”
È fin dalla premessa del Trattato, che il lettore, o la lettrice, hanno la misura dell’ampia cultura posseduta dalla filosofa e della vastità del suo pensiero. Da cui un invito alla consapevolezza, rivolta in primis alle donne, deputate a prendere coscienza della condizione di discrimine di cui sono oggetto, e ad agire in funzione di un indispensabile cambiamento.
Come? Potrebbero domandarsi coloro che si approcciano al testo con naturale curiosità.
Come una donna può lottare al fine di abolire pregiudizi e tabù sul mondo femminile radicati nel profondo? Come abbattere principi stabiliti dal sesso maschile senza che, soprattutto in passato, le donne fossero interpellate? E come potrebbero le donne intervenire in un dibattito per manifestare opinioni personali?

Ed è la Suchon, grazie al suo Trattato, a rispondere a questi interrogativi; offrendo indicazioni lucide e animate da raziocinio, che ampliate nel tempo avranno uno sbocco interessante sul percorso abbracciato dall’emancipazione femminile.
Uno degli strumenti di cui le donne dovrebbero avvalersi, secondo la Suchon, uno dei più efficaci se non l’unico per uscire dal tunnel di una condizione di discrimine, è quello di emanciparsi dall’arretratezza imposta dalla società di appartenenza. Quale metodo migliore per affrancarsi dall’iniquità imposta dagli uomini alle donne, se non studiare e acculturarsi, dunque?
Dedicarsi allo studio e sviluppare le proprie conoscenze è un mezzo per poter fare proprie scelte di vita in piena autonomia. Che si possono realizzare anche attraverso una strada che non porti necessariamente al matrimonio, percorso già tracciato dalle convenzioni sociali e complice la famiglia d’origine della donna. Ed è quella del cosiddetto nubilato volontario, come l’autrice del Trattato definisce la vocazione allo stato di nubilato.
Una proposta davvero rivoluzionaria per una stagione in cui le donne cercavano nel matrimonio un motivo di completa realizzazione. Principio questo che non passa inosservato, trovando spazio e attenzione su due riviste dell’epoca. Ed è un risultato importante che l’idea della Suchon sia stata attenzionata, considerando il momento storico in cui interventi come il suo prendevano forma, in contro tendenza rispetto al pensiero comune.
A proposito del nubilato la Suchon aggiunge, che le donne sono subordinate al volere degli uomini perché, soprattutto all’epoca, l’unione matrimoniale non era dettata da un sincero affetto reciproco, fonte di nutrimento di una durevole convivenza fra un uomo e una donna, ma era suggerita da necessità finanziarie. Spesso il matrimonio era un impegno contratto non in seguito a un’autentica vocazione matrimoniale, ma quale risultato di una scelta generata da convenienza economica. Con l’evidente scopo, in molti casi, da parte degli uomini, di mantenere salda la loro autorità e il monopolio sulla volontà della donna.
E ciò, alla luce del fatto che alle donne dell’epoca era preclusa una qualsiasi attività lavorativa tale da farne persone economicamente indipendenti, e non bisognose della situazione patrimoniale del coniuge. Che, secondo la tradizione, provvedeva al suo sostentamento e alle sue necessità materiali. Presupposto, la cui origine era giustificata anche dalla mancata istruzione di molte donne, che le escludeva alla vita culturale dell’epoca.
Da tenere conto, che il pregiudizio sulle capacità intellettuali delle donne era allora dominante.
E non certo attribuibile alla scarsità di talento o alla predisposizione agli studi di queste; ma frutto di una mentalità che le etichettava come intellettualmente inferiori.
Quindi, presa coscienza delle proprie potenzialità, è attraverso l’istruzione che ogni donna dovrebbe affrancarsi dalla situazione discriminatoria in cui l’ha posta la società.
Ed è proprio per evitare situazioni di forzatura, che vedono la moglie subordinata alle decisioni del marito, che l’autonomia in campo finanziario diventa indispensabile, al fine anche di prendere decisioni personali differenti da quelle del coniuge.
È dunque un dibattito quanto mai importante quello affrontato dalla Suchon, che implica la facoltà di un pensiero davvero innovativo e, nonostante le sue riflessioni siano state trascurate a lungo, dà la cifra della forza delle sue idee.
Affrontando una questione di così ampia discussione, grazie ad una logica ferrea, la teologa analizza e poi confuta le argomentazioni messe in campo da altri pensatori. Motivo per cui la si può quindi etichettare una femminista ante litteram, anche perché nel Trattato la Suchon sottolinea con forza le illegittime restrizioni a cui sono sottoposte le donne.
In definitiva, qual è dunque l’escamotage, se di escamotage si può parlare, secondo la teologa, per debellare la pregiudizievole condizione delle donne?
L’istruzione, in tutte le sue molteplici sfaccettature, è il primo passo perché del mondo femminile si abbia una diversa concezione. Soltanto incoraggiando le donne ad emanciparsi dall’ignoranza e dedicarsi con passione allo studio si può evitare la sopraffazione degli uomini.
Un’altra sollecitazione che arriva dalla Suchon riguarda il legame di solidarietà che le donne dovrebbero stabilire fra loro per aiutarsi a vicenda.
Quello proposto dalla Suchon lo si può definire uno spartiacque, dove c’è un prima e un dopo. Un prima dove le donne sono oggetto di soprusi e sottomissione. Un dopo rappresentato da un momento che, grazie all’istruzione, dovrebbe vederle impegnate a rivendicare i propri diritti.
Principi questi, che hanno fatto della Suchon una teologa trascurata anche dalla chiesa ufficiale, di cui lei ha fatto parte. A causa anche delle privazioni, da lei denunciate, di cui le donne sono state oggetto, in quanto escluse da incarichi religiosi riservati ai soli uomini.
Anche se poi si dice essere d’accordo con il pensiero della chiesa, affermando che l’impossibilità delle donne di accedere al sacerdozio è una legge di diritto divino, già presente nell’Antico Testamento, sottolineando che tali limitazioni non dipendono dalle virtù femminili. Semmai dal fatto di non avere alcuna istruzione religiosa, da scoprire nei testi sacri e nello studio dei Padri della chiesa.

Di Martin Lutero, il quale sosteneva che anche le donne potessero confessare e assolvere i peccati, la Suchon afferma che la chiesa ufficiale gli ha inflitto una condanna saggia.
Alla luce di queste affermazioni il suo pensiero può apparire contradditorio, ma a sua giustificazione occorre tenere conto che in fondo la teologa è figlia del suo tempo, e l’origine della sua formazione affonda nel suo passato di ex-religiosa.
È anche plausibile che la Suchon avesse timore dell’accusa di eresia, all’epoca molto probabile per qualsiasi eccesso, e dunque abbia voluto portare avanti una linea più morbida sulla causa femminile, senza esagerazioni che sarebbe state subito notate dall’apparato ecclesiastico.
“Le donne del mio tempo non tenteranno mai di spossessare gli uomini dalla loro autorità…”
Così affermava la teologa nel lontano Seicento, consapevole degli ostacoli che avrebbe incontrato il suo pensiero. Che non solo è stato innovativo allora, ma è stato considerato addirittura rivoluzionario, vista la grande repressione esercitata sia dalla chiesa come dalla società del tempo.
Presa coscienza della difficoltà di far arrivare il suo messaggio alle donne a lei coeve, la Suchon ha affidato ai suoi scritti le sue idee, del tutto moderne che, sulla traccia da lei indicata hanno aperto la strada alle successive generazioni.
In un dibattito che si è poi sviluppato nei secoli seguenti, aprendosi a discussioni, anche controverse, le quali hanno occupato un ampio spazio fin dall’Ottocento, quando i primi movimenti femministi hanno fatto da apripista al fine di interpretare in maniera equa il ruolo delle donne all’interno della società. Per arrivare poi al Novecento, secolo che ha visto la scena occupata dai vari gruppi che si sono attivati per rivendicare diritti prima di allora negati.
Pensiero illuminato e illuminante, quello della Suchon, importante per indicare alle donne il cammino per emanciparsi dall’asservimento al mondo maschile, frutto innanzitutto della ipocrisia e della malafede e a seguire, dell’ignoranza e della superstizione, principi dannosi per il benessere psicologico e fisico del sesso femminile. Creati ad hoc da coloro il cui interesse è sempre stato confinare le donne entro un perimetro assai esiguo, alienandole dalla realtà e sottoponendole a soprusi e discriminazioni di ogni sorta. E, non ultimo, grazie a concezioni obsolete e omologate alle convenzioni sociali, incrementare in loro un sentimento di inferiorità.
Ignorando in questo modo l’universo femminile e le potenzialità intellettive e pragmatiche di cui le donne sono dotate. E ovviamente trascurando l’idea di dar loro le opportunità di esprimere opinioni personali, frutto della capacità di elaborare un pensiero originale.
Trascorso un ampio arco temporale, il Trattato si offre come un prezioso scrigno di considerazioni in un excursus quanto mai interessante che va oltre il tempo appartenuto a Suchon. Che, seppur trascurata per oltre tre secoli, tramite le sue opere ha lasciato un’eredità dal contenuto alto. Di cui ancora oggi, superato l’anno Duemila, il Trattato rappresenta una lettura importante per la modernità custodita nelle parole.
Un grazie a Gabrielle Suchon, quindi, da citare come un’intellettuale che è stata un’antesignana del destino dell’universo femminile.
“Anche se dimostro con forti ragioni e con l’autorità di molte illustri personalità che le donne possono riuscire nelle scienze, avendo la ragione, l’intelligenza e la disposizione degli organi altrettanto perfetta degli uomini, non è mio scopo ispirare loro uno spirito d’orgoglio e di ribellione…”
Written by Carolina Colombi