“Momo” di Michael Ende: condividere il proprio tempo è moltiplicarlo

Il titolo del primo capitolo di questo celebre romanzo di Michael Ende dà l’idea di quella che sarà la storia che sarà raccontata: Una città grande e una ragazzina piccola.

Momo di Michael Ende
Momo di Michael Ende

Noi abbiamo della grandezza una visione in un certo senso spaziale, legata alle tre dimensioni solite.

Uno dei monumenti che vorrei maggiormente visitare è il Tāj Maḥal, che è da molti considerato come una delle sette meraviglie del mondo. Oppure le Piramidi della valle di Giza. Eppure sento che l’emozione sarà inferiore alle aspettative. Conosco le loro immagini da anni, per cui quando sarò nei loro pressi probabilmente avvertirò la sensazione di un deja vu.

Lo stesso non mi capitò quando, insieme ad alcuni amici miei, mi capitò di giungere a Vigolo Marchese, microscopica frazione di Castell’Arquato, e di entrare nella stupenda Chiesetta di San Giovanni, nonché nel limitrofo e quasi magico Battistero. Ricordo che in quell’occasione ci riuscì anche di scambiare due parole col sacerdote che era lì presente. Fu per me un’inaspettata scoperta della Bellezza, come quando ci capitò di visitare la chiesetta del borgo matildico di Toano, deserta e chiusa, ma anche qui un prete fiducioso ci aveva consegnato le chiavi, che noi gli riportammo poco dopo, ebbri di Felicità. Qualcuno forse avrà da ridire di queste iniziali maiuscole con cui ho iniziato quelle due paroline e allora fa gioco ricordare il proverbio arşân tót i cujòun a gh ân la só pasiòun, tutti i coglioni hanno la loro passione.

Qualcun altro potrebbe dire che me la sto prendendo un po’ comoda, che il mio compito istituzionale è di scrivere recensioni e non di parlare di me e dei miei trascorsi turistici. A quel ficcanaso risponderei che, per prima cosa, io non confido in certi tipi di istituzioni (in altre sì) e, per seconda cosa, a noi recensori (ammesso che io lo sia) il tempo non fa che abbondare.

Una questione che, seppur spinosa, mi fa però dormire la notte. L’unico Momo (che in greco significa biasimo, diffamazione) che conoscevo era un nume stravagante che non si adeguava al volere di Giove e che si ribellava a quanto lui si proponeva di fare: una specie di dissidente con le idee chiare, che apparivano agli altri confuse. Il suo stile di vita era quello del vagabondo, padrone del proprio destino e del proprio tempo, che gli pareva eterno e che forse lo era. Egli non aveva nulla da perdere, perché non aveva nulla che interessava gli altri. Amava ironizzare sul prossimo, che cercava per questo di evitarlo. In questo consisteva la sua libertà: la solitudine e la libertà di ridere. Mentre gli altri stentavano a sopravvivere, lui cantava e ballava. Gli altri odiavano la menzogna, e ci vivevano in mezzo. Lei la sapeva gestire e la consumava a chilometri zero.

Ma che c’entra quel Momo con la protagonista di questa favola? Un giorno lo chiederò all’autore che inventò quella storia, Leon Battista Alberti, ma soprattutto a Michael Ende, autore di questa.

Momo è una favola incentrata su una bambina piccola piccola che più inoffensiva non potrebbe essere. Dieci, undici anni? Forse anche lei ignora la propria età.

Nessuno sa da dove venga, ma tutti concordano sul fatto che, una volta conosciuta, se non ci fosse, sarebbe dura farne senza.

Appena la vedono tutti si offrono di accudirla, di pensare a lei e di darle un po’ di ristoro.

Vero è che tutti abbiamo poco spazio e che quasi tutti abbiamo un bel mucchio di figli da sfamare, ma pensiamo che se ne arriva uno in più non fa una gran differenza. Che te ne pare?” – qualcuno le dice.

“‘Grazie’, disse Momo e sorrise per la prima volta. ‘Molte grazie! Ma non potete lasciarmi stare qui?’”

La sua richiesta fu accettata ma “tutti insieme si sarebbero presi cura di lei, il che sarebbe stato più facile che per uno solo di loro.”

Così Momo fu adottata dalla comunità tutta, e tutti presero a volerle bene e a ricercarla come compagnia anche perché “quello che la piccola Momo sapeva fare come nessun altro era: ascoltare.”

Il che non è picciol cosa:Ben poche persone sanno veramente ascoltare. E come sapeva ascoltare Momo era una maniera assolutamente unica.”

I bambini del rione andavano sempre da lei.Da quando c’era Momo trovavano più gusto ai loro giochi; non c’era un istante di noia, ecco.

Non che fossero cambiate le modalità del gioco, eppure, con la sua presenza “ai ragazzi venivano le più belle fantasie. Ogni giorno inventavano nuovi giochi, uno più appassionante dell’altro.” Quel che ora non difettava a nessuno era la fantasia.

“… come lì da Momo, non si poteva da giocare da nessun’altra parte.”

Momo aveva tanti amici, di tutte le età, ma due le erano più legati. Uno era un uomo anziano e un po’ macilento, chiamato Beppo Spazzino, per via del suo mestiere di operatore ecologico. Uno che parlava poco, anzi, pochissimo, e solo se aveva qualcosa che bisognasse pur dire, uno che viveva di silenzi lunghissimi. “Soltanto Momo era capace di attendere a lungo e di capirlo. Sapeva che lui si prendeva tanto tempo per non dire mai qualcosa di insincero.” – una rarità d’uomo.

Un giorno questo filosofo di poche e stentate parole spiega a Momo cos’è il tempo psicologico. Si vuole andare da qualche parte “e allora si comincia a fare in fretta. E ogni volta che alzi gli occhi vedi che la strada non è diventata di meno.”

E ti pare di non farcela più ma “non è così che si deve fare”.

Fai conto di uscire senza alcun pensiero e di camminare senza fretta verso un luogo delizioso (come potrebbe essere un desco ospitale presso cui potresti desinare in buona compagnia). E ti accorgi di non avere la mascherina protettiva! Allora fai un rapido dietro front e a fatica, quasi agonizzante (sto esagerando) riesci a rincasare e a procurarti quel che cerchi e ti rimetti subito in corsa, ma ora sai che sei un po’ in ritardo e ti affretti sempre di più. E quando arrivi, senti che anche stavolta sei sopravvissuto ma che non sempre ti andrà così bene!

Dice Beppo:Si deve soltanto pensare al prossimo passo, al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di scopa. Sempre e soltanto al gesto che vene dopo.”

C’è poi Gigi Cicerone, un fantasioso ragazzo che attira i turisti all’antico anfiteatro cittadino e propina loro ogni sorta di balla venduta per verità. Da quando c’è Momo, “le storie di Gigi, da pedestri che erano, s’erano fatte alate.”

Mi domando cosa significherebbe per uno scrittore avere in casa questa prodigiosa infante. Il pensiero mi affascina senza spaventarmi. Da quello che ho capito, lei non impone le storie, ma ti sa indicare dove le hai rintanate nella tua mente.

In tutte le favole (e questa cos’è, sennò?) c’è della gente cattiva. Qui c’è la cattiveria che non ha nome né corpo, che, volendo, si può anche chiamare “Nr. XYQ/384/b” oppure in qualche altro astruso modo, ma che solo uno come un pazzo riesce a pronunciarlo senza fremere.

Quell’essere non ha corpo perché non ha anima, anche se è animato da qualcosa che non si capisce cosa sia. È un fantasma che non è mai stato vivo, né che mai lo sarà. Eppure esiste e si aggira fra di noi, insieme alle sue maledette copie: i cosiddetti Signori Grigi.

Loro sanno imbrigliare lo spirito di uomini e donne, spiegando loro, usando la massima chiarezza matematica unita alla minima espressione umana, che il tempo ha un costo e che solo una banca del tempo te lo può immagazzinare, per poi rendertelo, ma ho dei seri dubbi, un giorno, chissà, l’importante è di credere in tale efferata menzogna.

Ecco i loro slogan:Tempo risparmiato è tempo raddoppiato”, “I risparmiatori di tempo vivono meglio”, “Il futuro appartiene ai risparmiatori di tempo!”, “Migliora la tua vita… risparmia il tempo!”, “Il tempo è prezioso – non perderlo!”, “Il tempo è denaro – risparmialo!”.

Michael Ende
Michael Ende

Li ho riportati tutti, ma devo dire che non è stato un bel modo per impiegare il mio tempo. Ma ormai, l’ho fatto e non ci penso più. Non sempre nella vita si fanno cose belle, l’importante è avere la consapevolezza della ragione per cui le si fa.

Questi violentatori di anime ormai hanno occupato il territorio e quasi tutti gli abitanti della città sono stati turlupinati dalle loro frottole.

Uno di loro decide di avvicinarsi a Momo, per cercar di carpirne l’innocenza. Ora Momo non fa resistenza a quell’uomo, non fa nulla, si limita ad ascoltarlo (tremando un po’).

Momoera sempre riuscita a penetrare nell’altro, a capire cosa volesse dire e chi fosse veramente. Con questo visitatore, no, non ne era capace. Ogni volta che ci provava aveva la sensazione di precipitare nel buio e nel vuoto, come se lì, con lei, non ci fosse nessuno. Non le era mai capitato prima d’ora.”

Alla fine è l’uomo grigio che ha la peggio e le spiattella ogni cosa: “Nessuno deve sapere che esistiamo e cosa facciamo… Abbiamo cura che nessuno possa ricordarsi di noi… Soltanto finché rimaniamo sconosciuti possiamo occuparci dei nostri affari… affari difficili, travagliati, salassare agli uomini il tempo della vita – ora per ora, minuto per minuto secondo per secondo – e i secondi così spillati… tutto il tempo che loro risparmiano, è perduto per loro… noi glielo sgraffigniamo… noi lo immagazziniamo… ci è necessario… ne siamo bramosi…

Orbene, non è chiaro chi siano questi Grey Gentlemen, conosciuti anche come The Men in Grey, eppure, nella loro odiosità, mi fanno pena, poiché si nutrono del tempo umano e ne fanno il peggior uso, quello motivato esclusivamente dal proprio egoismo.

Chi andò per incantare Momo e fu da questa incantato viene processato dai suoi capi perché, a causa sua, tutta l’operazione rischia di andare a monte. Non avrebbe mai dovuto confessare le sue inclinazioni e colpe a quella detestabile smorfiosa. Di fronte alle accuse egli si difende come può, destando pena nel lettore e, se ho capito bene, anche da parte dell’autore. E non può che sparare stupide falsità.

Lei sa perfettamente che non ci può mentire. Ciononostante lei tenta di farlo. Perché?

La risposta non può che essere:È una… abitudine professionale.”

Troppe bugie ha dovuto dire per rubare tempo alle persone, soprattutto ai lavoratori, ché ormai non riesce più a parlare con sincerità.

Momo è una bambina e per questa ragione è un nemico infido che si deve evitare e mai affrontare a viso aperto.

I bambini sono i nostri naturali nemici. Se non esistessero loro, da lungo tempo l’umanità sarebbe in nostro potere. Convincere i bambini a risparmiare tempo è molto più gravoso che convincere gli adulti. Perciò una delle nostre leggi più rigorose dice: Ai bambini tocca per ultimi…

Una tartaruga di nome Cassiopea fa visita a Momo che, in un modo lento ma efficacissimo, la conduce in un luogo dal nome sinistro: “la Casa di Nessun Luogo”, “nel Vicolo di Mai”, dove risiede da tempo incalcolabile un bel tipo di nome “Hora”, che non si sa se ha a che fare col pro nobis oppure con l’ora che volge al desio.

Mastro Hora dice tra le altre cose che Cassiopeaha la facoltà di vedere un po’ nel futuro, non molto una mezz’ora circa.”

Al che: “‘Esatta!’ lampeggiò sulla corazza.”che è il suo modo di comunicare del chelonide.

Momo vuol sapereperché tengono le facce grigie?”.

Risposta immediata di Mastro Hora:Perché mantengono l’esistenza con alcunché di morto. Tu sai che esistono in quanto utilizzano il tempo degli uomini, il tempo vitale degli uomini. Ma questo tempo muore, letteralmente muore, quando lo sottraggono al suo vero proprietario. Perché ogni uomo possiede il suo proprio tempo. E soltanto finché rimane suo resta vivo.”

Loro esistono perché l’uomo glielo concede e poi non può far più a meno di loro: “… gli danno, per giunta, la possibilità di essere padroni.”

Mastro Hora pone un indovinello che Momo sa infine risolvere: ci sono tre fratelli, tra loro collegati, che vivono nel mondo, senza potersi mai vedere fra loro. Ma sempre sono uniti, l’uno all’altro, inesorabilmente. Sono il passato, il presente e il futuro, le tre facce del tempo.

“… sarai tu stessa a ritornare attraverso il tempo, attraverso giorni e notti, i mesi e gli anni. Ripercorrerai a ritroso la tu vita per arrivare al grande rotondo portale d’argento che un giorno avevi varcato per entrare. Lo varcherai di nuovo per uscire.”

Sarai nel tuo tempo, che appartiene a te e al cosmo dove tu sei viva…

“Allora sarai là donde viene la musica che tu hai sentito”, e “sarai tu stessa musica, un suono dentro quella musica.”

Le voci del mondo,il sole, la luna e i pianeti e tutte le stelle che rivelavano i loro propri nomi, quelli veri. E in quei nomi era già determinato come agiscono e come tutti operano in perfetto accordo affinché ciascuna di queste Orefiori sorga, passi e scompaia.”

Ogni cosa ha fine, perché tutto è vanità, e non c’è niente di nuovo sotto il sole, nemmeno il sole: e tutto svanisce per poi ricomparire Altrove.

E tutto questo:era soltanto il tuo proprio tempo. In ogni uomo c’è quel sacrario in cui sei appena stata. Però ci si può arrivare soltanto colui che si lascia reggere da me. E non si può vedere con comuni occhi mortali.”

Il mondo intero è ormai prigioniero degli Uomini Grigi, anche Gigi Cicerone e Beppo Spazzino. Gli ultimi a resistere (e l’avrebbero fatto fino all’età adulta) erano stati i bambini, che poi erano stati accalappiati come succede ai cani e portati in luoghi tristi chiamati “Depobimbi”: delle specie di discariche d’infanti!

“A poco a poco ai bambini vennero facce da piccoli risparmiatori di tempo. Scontenti, annoiati, ostili, facevano quello che gli veniva richiesto.”

Gridavano come ossessi,non più il chiasso giocondo, ma rabbioso e maligno”.

Momo incontra Gigi,ma Gigi non è rimasto Gigi. Una cosa posso dirti: la cosa più pericolosa che possa capitare nella vita sono i sogni che si realizzano. O, almeno, come capita a me. Non mi è rimasto niente da sognare, e neanche tra voi potrei impararlo ancora. Sono stufo di tutto.”

Gli Uomini Grigi gli hanno permesso non tanto di essere ma di possedere fama, soldi, villa, dipendenti addette al suo tempo. Di tutto, ma senza più sogni…

Momo il tempo ce l’ha, e anche i sogni, ma non trova più nessuno con cui condividerli.

Il tempo è quella cosa che se fai a metà con qualcuno la raddoppi!

Padre Aldo Bergamaschi
Padre Aldo Bergamaschi

Il teologo Bergamaschi spiegava che questo era il senso del miracolo con cui Cristo sembrò aver moltiplicato i pani e i pesci: li aveva semplicemente divisi e offerti a tutti.

Ma ora Momo non trovava più nessuno disposto a fare a metà con lei con nulla, figuriamoci col tempo.

“Perché il tempo vero non si misura né con l’orologio né con il calendario”: non si misura affatto, si vive e si con-vive.

Dice il Grigio Uomo: “Gli uomini sono superflui già da tempo.” E poi aggiunge, a mo’ di concia: “Loro stessi hanno portato il mondo a un punto tale che non c’è più posto per l’umanità. Il dominio del mondo ora tocca a noi!”

Sulla schiena di Cassiopea brilla la consueta scritta luccicante: “La via è in me.” – che non vuol dire nulla, se non il Tutto.

E se anche non capisci bene cosa significhi, ti dà però la speranza e la forza di combattere per il tuo ideale, per il tuo sogno, per la tua felicità: che sono tutti sinonimi, alla fine.

Il tempo di per sé non è che energia, lo si percorra in un senso o nell’altro, per cui nulla davvero cambia. Eliminando un suo verso, sparirebbe l’altro. Passato e presente coesistono da sempre (e forse da mai).

Dice Mastro Hora: “Io assegno a ogni uomo il suo tempo. E contro questo gli Uomini Grigi non possono fare alcunché. E nemmeno possono arrestare il tempo che distribuisco. Però possono avvelenarlo.”

Quello che fanno gli Uomini Grigi alle Orefiori è così brutto che non riesco a descriverlo. Se proprio vuoi saperlo, leggi il libro. È scritto con tale semplicità che è davvero difficile da imitare!

Quando la malattia arriva a questo punto è incurabile. Non c’è ritorno. Ci si aggira qui e là con la faccia grigia priva di vita, si diventa simili ai Signori Grigi. Si è uno di loro. Questa malattia si chiama Noia Mortale.”

La battaglia fra questi mangiatempo e Momo è appena cominciata ed è già finita. Tanta fiducia avevo in lei che non… dai, leggi il libro e infine lo saprai.

Mi occupo ora delle minuzie: quegli spaventapasseri né bianchi né neri chiamano Mastro Hora “il cosiddetto”. Perché non osano pronunciare il suo nome? Forse perché non è realmente un mastro, e nemmeno colui che dispensa l’ora? E che quest’ultima sia, oltre che fuggitiva, anche illusoria?

Il tempo esiste? Non credo che basterebbe tutto il mondo per rispondere a questa domanda.

Einstein disse che era un’illusione, ma intanto lo aveva azzeccato alle tre dimensioni dello spazio e costruito attorno a esse una di quelle equazioni che non finiscono più!

Un altro fisico, Barbour, ha decretato la fine del tempo (che non esiste). I suoi allievi Carlo Rovelli e Lee Smolin tentano (da anni) di dimostrarlo e forse pensano di esserci riusciti. Ma il mondo è ancora incredulo sulla validità delle loro teorie.

Il tempo, che esista o no, ha una funzione importante: serve all’uomo per sentirsi vivo. Non bisogna gettarlo via, ma neanche risparmiarlo per una migliore occasione: che non si darà mai.

Questo ho imparato da te, deliziosa Momo, che non c’è tempo che sia svincolato da un’anima che lo senta trascorrere e che, finito che sia, non manchi di osservare, con animo lieto, l’eterna corazza di Cassiopea che, anche stavolta,

“[…] ritirò testa e zampe, e sulla sua schiena, visibili soltanto a chi ha letto questa favola, si delinearono, senza fretta, soffuse di morbida luce, le lettere: FINE”

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Michael Ende, Momo, Longanesi, 1993

 

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