“È terribile essere donna”, lettere di Antonia Pozzi: la passione poetica ed il suicidio
Tra il 1912 e il 1938 vive una poetessa che non ha avuto modo di esprimersi fino in fondo perché è morta troppo giovane ma anche perché, forse, i tempi non erano ancora adatti all’affermazione delle donne-scrittrici.

Eppure è stata una figura importante e oggi è necessario riscoprirla o scoprirla ex novo. Si tratta di Antonia Pozzi, poetessa milanese, amante della fotografia e della montagna. Notizie sulla sua biografia, sulla sua attività e su tutte le iniziative oggi tese a rivalutare questa piccola grande donna si possono trovare sul sito personale.
Tra i testi che ci ha lasciato non possiamo non menzionare le sue lettere, da poco ripubblicate da Garzanti nell’aprile 2021 in una raccolta dal titolo “È terribile essere una donna”.
In queste epistole inviate o al padre o alla madre o ad altri amici e/o familiari, in un arco temporale che va dal 1923 al 1938, Antonia si racconta nel suo quotidiano come giovane donna di estrazione borghese, impegnata ora nello studio dei rudimenti di greco (quando racconta gli anni del liceo-ginnasio), ora nei viaggi condotti o in montagna o in altre parti dell’Italia (ad esempio Napoli), ora nello studio universitario presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Milano, ora nelle prime esperienze di insegnamento scolastico.
Dal modus scribendi della scrittrice emerge uno stile curato, pacato, sottilmente ironico, tipico di una persona appartenente ad una estrazione sociale di un certo livello (suo padre era un noto avvocato).
Nelle epistole, anche in quelle che potremmo definire familiares, riesce ad alternare gentilezza e informalità, risultando sempre simpatica e mai pesante.
Fa tenerezza il modo delicato con cui si rivolge sempre al padre, piuttosto rigido e all’antica. Evidentemente la ragazzina era per natura dotata di un’anima remissiva; oppure non era pienamente consapevole di quanto il suo genitore fosse possessivo; sta di fatto che l’uomo fu responsabile, più o meno direttamente, della fine della sua relazione con il proprio professore di greco Antonio Maria Cervi.
Così scrive la studentessa in una missiva lettera datata il 21 agosto 1928 e scritta a Pasturo: “Pensa che una mattina apro il giornale e, nella lista dei trasferimenti dei professori, il primo nome, dico il primo, che mi salta all’occhio è quello del prof. ‘Cervi Antonio Maria, da Milano a Roma’. È stato atroce: non ho saputo che piangere, e piangere per due giorni che sono finora i più bui ch’io abbia avuti nella mia vita.
Ho imparato che cosa sia il dolore. Tu non immagini che cosa fosse lui per me. Io avevo avuto la fortuna di incontrarlo nell’età inquieta in cui tutto il nostro essere sboccia e anela alla vita, in cui ogni influenza esterna lascia nell’anima una traccia indelebile, in cui ci torturiamo ricercando l’inizio della nostra via e l’indirizzo del nostro cammino nel mondo. Egli era, o meglio, è, uno spirito come pochi, come nessuno se ne può trovare. Una gran fiamma dietro una grata di nervi; un’anima purissima anelante a sempre maggior purezza, destinata purtroppo a inaridirsi sola, in una sete inesauribile di sapere, di perfezione, di luce; uno studioso dalla cultura sterminata, dalla memoria prodigiosa, dalla volontà ferrea che gli faceva passare la vita nella penombra delle biblioteche, chino sulle più ardue pagine di filosofia; un insegnante tutto ardore ed entusiasmo per la scuola […] Con la parola e con l’esempio egli mi ha dato uno scopo e una fede; mi ha insegnato a guardare più in alto e più lontano; mi ha additato la via per diventare più buona. Anche nel dolore di vedermi tolta così bruscamente la sua guida immediata, ricorro per conforto ai suoi insegnamenti; so che il dovere che mi resta è uno solo: studiare; e non tradire il suo consiglio; ed anelare, sempre, con tutta l’anima, a quella ‘luce’ ch’egli mi ha insegnato a cercare…”.
Gli anni dell’università, forse i più intensi della sua vita, non riescono a colmare il suo dolore, nonostante in questo periodo abbia modo di entrare in contatto con personalità come Antonio Banfi (con cui si laurea in Estetica con una tesi su Flaubert), Dino Formaggio e Vittorio Sereni.

L’amore di gioventù, infranto così violentemente, la straordinaria sensibilità della Pozzi, l’aver incontrato uomini (a partire dal padre) non del tutto in grado di valorizzarla e apprezzarla soprattutto come scrittrice, hanno segnato profondamente la personalità di questa giovane, pur riconosciuta come valida studiosa nell’ambiente accademico milanese. I tempi, forse, non erano del tutto maturi per le autrici.
Così annuncia, senza rabbia, la sua resa al mondo: “Papà e mamma, carissimi, non mai tanto cari come oggi, voi dovete pensare che questo è il meglio. Ho tanto sofferto. Deve essere qualcosa di nascosto nella mia natura, un male dei nervi che mi toglie ogni forza di resistenza e mi impedisce di vedere equilibrate le cose della vita […]
Ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita […]
Anche i miei bambini, che l’anno scorso mi bastavano, ora non bastano più. I loro occhi che mi guardano mi fanno piangere […]
Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite […]
Direte alla Nena che è stato un male improvviso, e che l’aspetto.
Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro.
Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora io sono in pace”.
Questa la sua ultima missiva datata il primo dicembre 1938.
Consiglio a tutti questa lettura breve ma intensa come lo fu la vita di questa scrittrice morta troppo giovane.
Dal mio punto di vista vorrei ringraziare l’account culturale twitter “@SalaLettura/#SalaLettura” che seguo fervidamente per avermi dato l’opportunità, attraverso le sue proposte di lettura, di conoscere questa letterata con cui molte adolescenti e giovani studiose possono facilmente identificarsi. Ne sono convinta!
Ad maiora semper!
Written by Filomena Gagliardi
Info
Bibliografia
Antonia Pozzi, È terribile essere donna, Garzanti, Milano 2021, novantadue pagine, 4,90 euro
Per Antonia Pozzi
Oh dolce, cara immagine
del cielo, Antonia Pozzi.
Specchio ferito d’un Amore
negato, negata te stessa.
E, giorno e notte, novella
Matelda, raccogli in luogo
pacato e gentile, gerani e zagare.
Per la tua fiaba dissolta.
*
O resti invece salda, ferrea,
raccolta nel tuo bianco barracano
in quieta umile attesa?
*
Dio rimodella tutte le discordanze,
o Cuore smarrito. E dalle umane
venture nascono nuovi arcani,
nuovi sogni. Nuove altane.
***
Quanto ci manchi, Anima Celeste.
Nostra dolce tenera, piccola sorella.
Grazie per il tuo contributo così profondo