Meskhenet: la dea egiziana protettrice delle nascite

Una classica dea egiziana che permeava tutta la vita dell’egiziano antico è Meskhenet.

Meskhenet
Meskhenet

Per gli antichi egiziani la nascita doveva essere tutelata da pratiche magico-religiose perché in quell’evento si fissava la personalità e il destino del nascituro. La nascita era il primo grande rito di passaggio: quello dall’essere al non essere.

Erodoto (Storie II, 82) diceva che tra le altre cose inventate dagli egiziani era quello di aver dedicato ogni mese a una divinità, non solo ma anche che la nascita costituiva la fissazione del futuro del nascituro.

Le donne egiziane partorivano in una maniera particolare, come descritto anche nella Stele di Neferabu (coll. 5-6): “Ero assiso sul mattone come la donna che partorisce”, nell’originale egiziano iw ḥms=k(wi) ḥr db.t mi t3 iwr. In questa stele votiva questo personaggio, Neferabu, che era stato provato dagli dèi, parlando della sua condizione di sofferenza si paragonava a una donna che sta partorendo e usava questa immagine: la donna che partoriva si posizionava accucciata su un mattone. Era una pratica particolarmente diffusa nell’antichità (ma non solo) e soprattutto nell’antico Egitto.

Lo vediamo anche dai geroglifici: il segno del verbo msj e del verbo p’p’, che significano entrambi “partorire”, è quello di una donna accucciata sopra dei mattoni. 

L’utilizzo dei mattoni in merito al parto è attestato sin dall’Antico Regno, cioè dall’epoca delle grandi piramidi. Nella Tomba di Watetkhethor a Saqqara un mattone del parto sembra apparire nel determinativo del sostantivo jn’.t, “ostetrica”.

Meskhenet
Meskhenet

Nell’antico Egitto è attestato iconograficamente in molte occasioni il ruolo delle donne per aiutare la partoriente nel parto. Il mondo del parto era appannaggio delle donne: ostetriche (specializzate in questo) e una equipe di aiutanti. Il vocabolo specifico del mattone del parto è in egiziano antico meskhenet, del quale sono state proposte queste possibili etimologie:

  • Radicale del verbo causativo sknj, “posarsi”, preceduto dal prefisso locativo M: luogo sul quale ci si posa;
  • Radicale del verbo msj, “mettere al mondo” assieme alla preposizione knt, “davanti” (posposta?): ciò che sta davanti l’atto di mettere al mondo;
  • Radicale del verbo msj assieme al termine knt, letteralmente “supporto per giare”: supporto per il parto.

Questo termine è scritto in diversi modi in geroglifico, come spesso accade con le parole dell’egiziano antico. Anche i determinativi sono veri, da quello della volta celeste (che allude alla dea come entità primordiale, la prima che mette al mondo gli uomini) a quello dello sgabello (come fosse una sedia del ginecologo ante litteram) a quello della testa di un uomo o di un falco sulla quale si erige un copricapo particolare, molto studiato dagli egittologi perché ha dato origine a un copricapo usato per rappresentarlo sulla testa di varie divinità, tra cui la dea del parto Meskhenet.

I mattoni utilizzati per partorire diventano oggetti dal valore magico protettivo al punto di essere ritualizzati mediante immagini particolari ivi impresse e riti particolari. In vari papiri si citano queste formule magiche che conferivano al mattone del potere magico per assistere nascituro e madre nel parto.

Dopo che il feto era nato, veniva appoggiato su quegli stessi mattoni. Nel papiro Westcar un bambino stenta a venire al mondo, poi una divinità benedice (allusione alle pratiche magico-religiose), quindi il bimbo riesce a nascere e ha le ossa d’oro (quindi è un dio, destinato a diventare faraone), le donne quindi lo pongono sui mattoni.

Su questi mattoni si fissa la sorte di questo bambino: infatti, solo in quel momento il papiro dice effettivamente che questi sarà un faraone. Ancora nell’epoca tolemaica sulla Statua di Tolomeo III Evergete (col. 1414) è scritto: “(Lo) Shai si è distinto sul (suo) mattone del parto”, che nell’originale egiziano suona si3 knty h.t n pr=f m swḥ.t tni sw š3w/y ḥr mskn.t (=f).

Papyrus of Ani
Papyrus of Ani

Nel corso del tempo il termine meskhenet veniva utilizzato anche per indicare la madre. Un rilievo su una statua di Iside viene spiegata da un commento in egiziano antico così: “Iside-Meskhenet”, cioè “Iside quale Madre” (perché nella immagine sulla statua la dea sta allattando il piccolo Horus).

Ora, la dea del parto Meskhenet trae il nome dal mattone del parto ed è raffigurata con un copricapo con due lunghe aste verticali (forse derivato dal determinativo, come dicevamo, ma ci sono anche altre ipotesi: immagine dell’utero e delle tube; immagine del coltello per tagliare il cordone ombelicale; immagine del dattero, quindi allusione alla fertilità; immagine del cordone ombelicale moltiplicato per due).

Era questa dea, invocata dalle formule magiche, che dava il destino al neonato appoggiato sui mattoni del parto. In seguito ci furono quattro dee con questo nome, e ciascuna è legata ad una divinità particolare. In epoca tarda i loro poteri per attribuire il destino sono sempre più importanti.

La loro durata di vita è l’infinito assoluto”, dice un testo tardivo, mentre un altro le paragona al dio creatore. Sono state identificate con le Parche e le Moire della cultura classica.

Le divinità sono caratterizzate anche dalla categoria del fascinosum, la bellezza intrinseca che l’uomo esalta mediante la lode e la dedica della propria vita.

Meskhenet - painted reconstruction shows the mother and newborn - Photo by PennMuseum
Meskhenet – painted reconstruction shows the mother and newborn – Photo by PennMuseum

Giamblico rivelava che tutto è pieno di dèi, ma solo l’iniziato agli antichi Misteri li sapeva vedere. I Misteri di Eleusi si concludevano con una misteriosa visione. In Parmenide (Sulla natura 1, 3) colui che ha raggiunto la verità è detto letteralmente “essere di luce (eroe) che ha visto”, eidota phōta.

L’iniziato, catturato dalla bellezza deli dèi, inizia a parlare in loro vece, come faceva Eraclito che aveva uno stile oscuro perché imitava l’oracolo di Delfi. Per l’iniziato la verità coincide con la visione divina. Eraclito (fr. 101 DK) così scriveva: “Ho investigato me stesso”, in greco edizēsamēn emeōuton. Per Plutarco Eraclito diceva così su comando di Apollo, l’oracolo di Delfi. Mazzantini notava che il verbo greco è quello tradizionalmente usato per l’oracolo delfico.

 

 Written by Marco Calzoli

 

Info

Meditazioni Metafisiche #36: il fascinosum della divinità

 

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