“Cuore di mussola” di Katia Debora Melis: la poesia proteggere la ferita che mai guarirà
Leggo, nella sapiente introduzione di Nicola Rombolà: “Solo la sensibilità di un’anima poetica può spiegarne i significati occulti, nascosti e intuirne le segrete corrispondenze che governano il mondo. Soltanto il poeta può penetrarne il mistero attraverso il linguaggio allusivo, evocativo, analogico, creando delle corrispondenze tra mondi remoti.” – si sta parlando della “realtà”.
Katia Debora Melis, Nicola Rombolà e il sottoscritto siamo tre enti erranti, isole in un oceano che può essere talvolta fatto di solitudine, come cantava Scialpi, e per continuare più fedelmente la citazione del suo brano, noi viviamo in: “arcipelaghi le città dove l’amore naufraga/ giù dai marciapiedi un cuore rotola/ l’accarezza solo la musica”.
La musica delle parole ci accompagna in ogni caso, nello sforzo di descrivere la nostra condizione di individui erranti nel mistero del caso o saldamente avvinti alla suddetta realtà. La scelta dipende ogni volta da noi, cioè dal nostro rapporto col mondo.
Mi sento dotato di una natura ottimistica, ispirata dal detto della mia terra arşâna: pianşer fa trî e réder fa trî, per cui, nell’incertezza se ridere e piangere, se porta allo stesso risultato, preferisco ridere.
Non so se per te, Katia, è lo stesso: colgo a volte in te una malinconia di fondo che sa dettarti poesie splendide, ma tristi e a volte irate.
Se è vero quel che scrive Nicola, che un poeta è un rabdomante, tu continua a cercare, e vedrai che il momento della gioia coronerà la tua ricerca (che poi, mi raccomando, non dovrai smettere di perseguire).
Accontentati, nel frattempo, di qualche serenità di passaggio, per cui vale la pena donarti il secondo detto arşân: piotòst che gnînt l ē ‘d mej piotòst!, piuttosto che niente è meglio piuttosto!
Il mito che il poeta debba soffrire per scrivere è in parte reale. Se così non fosse, egli, o ella, non si chiuderebbe ogni tanto in casa, e non starebbe per ore con la penna in mano a tentare di vergare delle parole che solo lui, o lei, potrebbe intendere. Se ne andrebbe in cortile a saltare la corda o a giocare alla settimana (come si chiama da te quel gioco con tante caselle da percorrere e con una luna dove ci si può riposare mezzo minuto a metà tragitto?).
Sii consapevole che l’esistenza umana ti può condurre dappertutto, anche in un’oasi di pace e di serenità.
Continua Nicola: “Katia Debora Melis riporta sulla terra la parola poetica, la lega ad un’istanza, non solo lirica ed estetica, ma anche etica, sociale e politica.” – infatti il mondo non è solo un bel tramonto infuocato o un amore infelice, ma è anche esistenza all’interno di una civitas, che oggi non è tanto il paesello o il quartiere dove si è nati e dove ci si conosce tutti: è il Mondo, questa belva infinita, che entra quotidianamente nella nostra vita e che ci legittima a reagire, a volte con rabbia e disgusto.
“La parola ritorna a svolgere la sua funzione etica di impegno civile…” – continua, giustamente, a definire Nicola.
Leggendo Il cappello scemo di Haim Baharier, ho scoperto che in ebraico davar significa cosa ma anche parola, parole-cose, non un mero parlare, ma degli oggetti che non cessano mai di parlarti (e di ascoltarti, questa è la mia speranza). Si tratta, credo, della miglior definizione della poesia in generale, e della tua in particolare. Inoltre, arca in ebraico è tevà, ancora parola. Ed è con essa che ci è consentito di compiere la nostra missione nel mondo, che è doppia: sopravvivere alle tempeste e, nel frattempo, scoprire nuovi mondi.
Quel che serve è affidarci a kam’a, che in sanscrito significa passione, da cui derivano parole magiche ed eterne come amore e amicizia.
Non so se lo sai, ma io non scrivo recensioni (a n sȗn mia bòun, tradotto: non sono mica buono, cioè capace: in realtà non mi è mai interessato farlo). Ecco che, per via di tutto quello che ho letto, compresa l’introduzione di Nicola, ho deciso di reagire (i miei commenti li chiamo infatti reazioni) ad ogni tuo singolo componimento poetico.
E vada come vada…
I fili abbandonati sono i collegamenti che uniscono il tuo io a quello dell’Altro. Senza fili non ci sarebbe relazione. Se i fili si spezzano, non è un problema, è il loro destino. I loro frammenti serviranno per cucirne di nuovi.
E l’uomo ne ha bisogno per sentirsi meno solo, ‘ncoppa a sta terra, trafitto che sia, oppure no, da un raggio di sole e, nell’attesa che si faccia sera, si pensi al momento in cui si è liberi di pensare all’indomani.
Il mare è come l’amore, amico, nemico, mai neutro, nemmeno se è bonaccia: il vento, se non ci fosse, lo si invoca e se ci turbina addosso con troppo impeto, pensiamo ad approdare, se ci riusciamo.
E a terra dovremo decidere, scegliere, abbandonare e ricercare di nuovo il motivo per ripartire.
Si sia anziani, oppure giovani, la pietra che calpestiamo e la roccia che sporge da un lato della strada è più vissuta di noi, anche se non la sentiamo mai lamentarsi del suo millenario destino.
E ci capita di incontrare quelle piccole anime dei nostri antenati, quel biacco nero dal ventre chiaro, e quel geco immoto che ti aspetta ogni sera, fingendo di essere lì per altro; e se non accade nulla è lo stesso, è solo un rimandare il momento fatidico. La vita è un segreto di Pulcinella e di sua sorella, la Coccinella.
E si cerca la verità in fondo alla bottiglia, e se non la si trova non fa nulla, si va a letto più sereni. Che bela invensiòun l ē al létt, così diceva mia madre quando sentiva che era ora di rimandare a domani quel che non era riuscita a realizzare quel giorno.
E le montagne ci guardano da lassù e se a volte baluginano d’oro è una sottile presa in giro: non recano soldi, ma una promessa di libertà.
Non esiste però rosa che non profumi, non esiste però rosa che non appassisca.
E nel sole, nel vento, tutto si trasforma, ma quel che resta sei tu, che li senti scorrere via.
E il mare, che ci ha fatto nascere, ora pare ingurgitare di tutto, anche i nostri peccati.
In noi, a momenti alterni, alberga il Bene e il Male, che si amano, essendo fratelli, ma che non si reggono a lungo, l’uno appeso all’altro.
Chi disse che tutto il miele è finito? Se non vi sono più api è un problema irrisolvibile, diversamente si può ancora sperare.
Scrivere poesia è un atto salvifico e rende immortali: mai udito un trapassato recitare carmi.
L’unico indiano buono è quello che, nonostante il tempo avverso, continua a sperare. Siamo tutti indigeni nel nostro piccolo e sparuto universo.
Il nostro agitare le ali crea una musica energetica che ci fa continuare per giorni interi il cammino.
E se capita d’incontrare un incanto, basta osservarlo, e prima o poi si svelerà; occorre attendere, senza mostrare alcuna fretta.
E se quell’essere ti offre qualcosa che non hai, tu donagli tutto il resto, anche un’anima condivisa.
Tu sei friabile come tutto quello che serve a costruire castelli in aria, nel mare e sulla terra.
E se t’imbatti nell’Altro, sii eterea e in posizione di fuga, non si sa mai, anche per tutta la vita.
Non negarti quello che cresce intorno a te, non possederlo, ma cerca di adoperarlo, e infine riponilo.
E la sera, prima di addormentarti, non contare le pecore, né i dolori, e non asciugarti le lacrime, che ti rinfrescano il viso.
Che tutto cambi è una verità così folle e banale che, quando l’accetti, ti fa quasi sorridere.
L’unica certezza che abbiamo è che ne abbiamo, per tutta la vita, tentato di scorgerne una.
Se poi incontri per strada una fandonia, salutala, se ti va, ma poi tira dritto verso casa. Ché tutto prima o poi si adagia sul terreno, esausto.
E il volare stesso ti indurrà al riposo.
Il bello del nutrirsi è sentire come qualsiasi cibo si finisce per mangiarlo a pezzetti.
Se l’otto ti inorridisce, sappi che senza di lui non ci sarebbe il nove, e neanche il perfetto dieci.
Fa ridere pensare che una striscia di terra crei tanta inutile differenza.
E credere che un’ombra non sia figlia (e madre) della medesima luce.
A me capita quasi a tutte le ore di tacere per sempre.
Amo quegli orologi che consentono di schiacciare un pisolino fra un ticchettio e l’altro.
Cerco il posto in questo mondo che viaggia come un fulmine in questo cosmo frettoloso, e se lo trovo lo smarrisco subito.
E per trovare la strada di casa non mi resta che seguire l’usta della mia anima selvaggia.
E se la vita è una falla, la si può intendere anche il collegamento che ti permette di continuare il viaggio.
Se ci pensi è proprio la notte che germina il giorno, l’afflizione che ci impone il conforto.
E i piedi sanguinano solo finché restano vivi.
Le delusioni portano gioia, in che modo non lo so, lo sto ancora cercando.
L’acqua dei fiumi segue il nostro bisogno di unirci al resto del mondo, in un mare che si spera infinito.
La più grande delle leggende è l’amore, l’unica in cui vale la pena confidare.
Per tanti esistono solo scale senza pioli, per me esistono tanti Pioli senza scale.
Nell’appassire, i fiori ti ammiccano, e ti invitano a cercare i loro consanguinei.
La gioia è quel che corre, esplodere e svanire in volo fa parte del gioco.
Sono trenta giorni che mi chiedo cosa succederà fra trenta giorni.
Se un giorno ci metteremo d’accordo chi di noi due è il mare, prometto di essere il tuo scoglio.
Il mio puntounicoesistenziale è così ammaccato che mi sa che lo cambierò oggi stesso.
Il sogno americano consiste nel fatto che a ognuno è lecito schiacciare un pisolino.
A volte mi chiedo cosa pensino di me tutti i tramonti che non mi hanno fatto dimenticare di essere un uomo.
Nel mio ghetto ci sono io e tutti i miei piccoli fratelli perseguitati dal mio mondo aguzzino.
Io non cerco la bellezza, ma è lei che quando passa m’ammicca e mi costringe a sedermi davanti ai suoi piedini.
Scrivere è un’onda che, diventando particella, acquisisce l’esistenza, per smarrirla immediatamente.
Esiste il tempo in cui non ti curi se esso spia la tua anima gemente, ma sei tu a irriderlo per gioco.
Se t’interessa tanto l’arte, dimenticala: non avrai mai quel che cerchi, ma quel che trovi.
Sai, Katia nonché Debora, ho molto amato la tua ultima poesia:
“Non è poesia
se dietro
non c’è una cicatrice
– anche di pura bellezza –
anche se non è la tua.”
Essa sa proteggere la ferita che mai guarirà.
A domani.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Katia Debora Melis, Cuore di mussola, Mario Vallone Editore, 2020