“Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei”: l’incontro con Josef Paneth
“Mi disse che allora la rivista non aveva ancora questo carattere. Era stata fondata con l’intento opposto, per coloro che volevano essere dei buoni europei, e solo più tardi era divenuta antisemita, come pure il suo editore. Questo genere di ostilità gli è estraneo: fin da giovane si è sforzato di mantenersi libero da ogni pregiudizio razziale e religioso.” – Josef Paneth
Josef Paneth nacque a Vienna il 6 ottobre del 1857. Studiò dapprima all’Università di Heidelberg e successivamente a Vienna dove ebbe la possibilità di frequentare i laboratori del fisiologo Ernst Wilhelm Ritter von Brücke (Berlino, 6 luglio 1819 – Vienna, 7 gennaio 1892), noto per essere stato uno dei maestri di Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939) e per esser stato uno dei fondatori della Società di Fisica di Berlino.
Paneth morì molto giovane, nel 4 gennaio del 1890, nella città ove nacque, però ebbe modo di farsi valere come medico, infatti è ricordato per la descrizione che fece delle cellule che proteggono l’organismo lungo l’apparato gastrointestinale dai batteri (“cellule di Paneth”). Fu molto amico di Sigmund Freud che ne trattò dopo la sua morte nel 1899 nel libro “L’interpretazione dei sogni” (“Die Traumdeutung”). Ed è ovviamente ricordato per la sua amicizia e corrispondenza con Friedrich Nietzsche (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900).
Josef Paneth incontrò per la prima volta Nietzsche nel dicembre del 1883. Si trovavano entrambi a Nizza, più precisamente Paneth lavorò dal 1883 al 1884 alla stazione zoologica di un comune limitrofo, Villafranca.
“Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei” è un libro essenziale per coloro che vogliono cimentarsi nello studio del grande filosofo tedesco.
Circa 450 pagine suddivise in due parti: la prima è un ricco saggio critico ad opera dello scrittore e saggista Claudio Pozzoli (Milano, 22 settembre 1942) e la seconda è una scelta antologica delle testimonianze di coloro che hanno conosciuto Nietzsche. Impressioni di amici, studenti, semplici conoscenti ed ovviamente della sorella Elisabeth presentate in ordine temporale dai primi ricordi d’infanzia (1847-1858) sino alla morte (1900). Tra le due parti è presente un inserto con una selezione di fotografie che ritraggono il filosofo dell’eterno ritorno dell’uguale, i suoi familiari e gli ambienti in cui fu solito prendere alloggio.
Si è pensato di presentare un’interessante testimonianza di Josef Paneth selezionando cinque lettere (tagliandone alcune parti) aventi come destinatario la sua fidanzata Sofie ed uno zio (che dovrebbe chiamarsi Sigmund). Paneth aveva letto i libri di Nietzsche e malgrado preferisse una prosa chiara e dettagliata restò affascinato dalla forza che usciva da quegli aforismi.
Di grande interesse per il lettore considerare che Paneth fosse di origini ebraiche e che diversi colloqui con Nietzsche, considerando gli anni in cui stavano gravitando i due, fossero anche diretti verso la questione dell’antisemitismo. Paneth, oltre a sottolineare alla fidanzata, volle precisare anche con lo zio la totale assenza di antisemitismo nella mente di Nietzsche. Talvolta, piuttosto, c’era da parte del filosofo un interesse nei riguardi della cultura ebraica. La lettera di Paneth allo zio è molto dettagliata ed espone alcuni tratti dei libri quasi come se fosse un rapporto: può, infatti, trasparire dal modo in cui Paneth si esprime quasi uno studio su Nietzsche, un’osservazione psicologica durante la quale più volte ha dovuto ammettere di avvertire inquietudine.
Le precedenti testimonianze presentate del libro “Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze” portavano la voce di due donne: Resa von Schirnhofer e Lou Andreas-Salomé. Le si vuole ricordare ora per trattare dell’opinione di Paneth:
“I passi sulle donne che ti sono tanto dispiaciuti sono effettivamente deboli. Nella solitudine si è inventato e creato su misura quello che si può solo imparare direttamente, dalle persone.”
Lo scrittore Jacob Mähly scrive: “È noto che Nietzsche scrittore si è espresso in maniera molto ostile nei confronti del sesso femminile. Solo i suoi amici più intimi, se mai ne ha avuti, potrebbero dire se e in che modo a ciò contribuisse l’esperienza personale. […] Per quanto mi è noto Nietzsche ebbe un intenso rapporto epistolare con un’unica donna, la signorina von Meysenbug, molto più anziana di lui, famosa coltissima autrice delle «Memorie di un’idealista». Costei si prese cura dei suoi problemi con una fedeltà toccante e veramente materna e non lo perse mai di vista. Al buon Nietzsche è successo come a tanti altri spiriti sommi: la leggenda si è impadronita della sua figura.”
Ed ancora Malwida von Meysenbug[1] riporta un ricordo dell’inverno del 1876-1877 quando a Sorrento con Nietzsche “Nacque il piano di conquistare nuove forze per la battaglia contro il male e la vecchia cultura imputridita, dedicandoci a prepararle per l’ideale di una cultura nobile e nuova. Pensammo seriamente di fondare, in quello stupendo angolo di terra in cui ci trovavamo, un istituto per giovani di ambo i sessi, che per l’esempio e il tipo di insegnamento sarebbe diventato la serra in cui far maturare gli apostoli di una nuova visione della vita: più pura ed elevata di quella del mondo moderno, irrigidita nelle forme convenzionali.”
La sorella Elisabeth Förster-Nietzsche (Röcken, 10 luglio 1846 – Weimar, 8 novembre 1935) racconta un episodio del 1878: “All’epoca si era diffusa la voce che io mi fossi presa talmente a cuore «Umano, troppo umano», il distacco di mio fratello da Wagner e il suo giudizio sulle donne, da volermene andare per questo da Basilea. […] A quanto pare si credeva che io, in quanto di sesso femminile, dovessi sentirmi indignata. Il buffo della cosa invece era che né Fritz né io riuscivamo a capire perché mi sarei dovuta irritare: io ero infatti pienamente d’accordo con tutte le massime del libro. Alla fine Fritz si spazientì di tutte queste domande, e un giorno, dopo che già altrove lo avevano tediato con questa storia, quando un mio amico ripropose la questione in tono di leggero rimprovero, dichiarò adirato che queste sentenze sulle donne non avevano assolutamente niente a che fare con me, e concluse con veemenza: «Mia sorella non è una donna, è un amico». Allora ridemmo di cuore del fatto che per Fritz io fossi di genere maschile: visto il mio aspetto molto femminile, ciò risuonava come una buffa contraddizione. Ma più tardi negli anni ho pensato spesso che anche qui aveva parlato l’acuto filosofo. A parte le mie conoscenze sulla buona cucina e le cure igieniche, infatti, io non possedevo nessuna delle cosiddette «virtù femminili».”
Grazie alle lettere di Paneth si potrà anche riflettere sulla questione dell’isolamento e sull’importanza di questo modo di vivere per la conoscenza di sé nel profondo. È proprio prolungando il tempo in cui si sta soli che si ha la possibilità di accedere al pensiero più grave.
“Che cosa accade se questo pensiero viene realmente pensato?” Si chiede – e ci chiede – Martin Heidegger (Meßkirch, 26 settembre 1889 – Friburgo in Brisgovia, 26 maggio 1976) in “Nietzsche”[2].
“Non appena il dolore diventa abbastanza grande, va avanti da solo.” – Hermann Hesse
26 dicembre 1883 (Josef Paneth scrive alla fidanzata)
Mi recai poi a Nizza e cercai di mettermi in contatto con Nietzsche, che riuscii finalmente a incontrare dopo aver fissato un appuntamento. Adesso ha un alloggio molto grazioso e confortevole, e anche le sue sofferenze sono di tipo completamente diverso da quanto credevo: si tratta principalmente di dolori di stomaco e di testa, causati dal troppo lavoro. Ciò è certo molto spiacevole, ma non così grave. Fu straordinariamente gentile, in lui non c’è traccia di falso pathos né di atteggiamenti profetici, come avevo temuto dopo aver letto la sua ultima opera; al contrario, si comporta in modo molto tranquillo e naturale, e iniziammo a parlare di cose banalissime, clima, alloggio e simili, dove io gli esposi anche la mia situazione, poiché in queste cose mi piace aver chiarezza. Poi parlammo di diverse persone a Roma. Qui risultò che noi, come sapevo già da tempo dai suoi scritti, abbiamo lo stesso punto di vista in molte cose, e condividiamo uno scetticismo molto simile, soprattutto sulle questioni religiose, ma anche per il resto. Poi mi raccontò, ma senza la minima affettazione né ostentazione, di sentirsi sempre latore di una missione e, finché gli occhi lo permetteranno, ha intenzione di elaborare quello che c’è in lui. Pensa: pur mezzo cieco, quest’uomo vive solo: la sera non può mai far nulla. […]
[…] Dal suo comportamento generale notai quanto bene gli faceva trovare un’anima che lo stesse a sentire, dopo tutto quell’isolamento in cui ha trascorso i suoi anni. Alla fine espresse la speranza che rimanessimo i buoni amici che eravamo diventati, e il rincrescimento per il fatto che non ci fossimo potuti conoscere prima. In questa sua cordialità certo ha una buona parte la circostanza di essere rimasto a lungo senza amicizie e soprattutto senza alcun riconoscimento: credo però che ci sia una parte che posso riferire a me personalmente. Mi regalò anche una sua fotografia. […]
[…] Come dev’essere rovinato il suo sistema nervoso, se una normale conversazione per niente faticosa basta a stremarlo, una conversazione che io o tu potremmo prolungare per ore. (effetto solitudine) Parlammo molto anche della Sicilia e dell’Italia. Poi del suo modo di lavorare, dove fummo d’accordo che la vita inconscia di ciascuno di noi è infinitamente più ricca e significativa della vita conscia. IN breve, toccammo moltissime questioni, e in tutte ci trovammo fondamentalmente d’accordo, pur senza dirlo esplicitamente. […]
25 gennaio 1884 (Josef Paneth scrive alla fidanzata)
Ieri pomeriggio mi ero appena messo al lavoro quando arrivò Nietzsche. Era molto cordiale, ma purtroppo non si sentiva tanto bene, così rimanemmo nella mia stanza a bere the. Indossò la mia giacca da camera e ci mettemmo comodi. Parlammo stavolta di argomenti più personali, e potei già intravvedere qualcosa di lui. Come persona è molto rispettabile, mi sembra solo che la sua lunga vita in solitudine gli abbia fatto perdere la misura delle cose. Considera «Zarathustra» la sua opera principale. Adesso ha terminato la terza parte: «È stata una traversata pericolosa». È forse il libro più blasfemo mai pubblicato, particolarmente difficile è stato per lui il continuo crescendo dalla prima alla terza parte. Io non ho detto nulla in merito. Adesso, per riposarsi, vuole scrivere un attacco generale contro l’oscurantismo tedesco, un proposito per cui io naturalmente gli ho fatto i migliori auguri. […]
[…] Poi mi raccontò dei suoi «stati produttivi»: a volte riflette otto ore su un argomento, e non riesce più a smettere; allora prende del cloralio idrato[3], per «intontirsi un po’», perché le notti insonni lo distruggono; da quando si procura il sonno in questo modo, comunque, si sente meglio che mai. Io naturalmente gli ho detto che non è una cosa da niente, e che dovrebbe «fermare» il suo cervello in un altro modo. Ma non ci riesce, dice. (In generale qui siamo al punto in cui ai miei occhi quest’uomo diventa inquietante.) Poi mi ha raccontato disavventure di ogni genere con gli alloggi, e che a Nizza sono tutti dei truffatori o dei falliti.
Poi parlammo del pessimismo, e mi disse di essersi liberato del suo pessimismo, grazie alle sofferenze fisiche, per spirito di contraddizione, per non lasciarsi tiranneggiare dal dolore, per cattiveria, per volontà di dominio. Disse anche che gli uomini non civilizzati sono molto meno sensibili di noi fisicamente, e che la nostra educazione ci rende eccessivamente sensibili, cosa che io potei confermargli. «E non crede che se si ballasse molto, secondo il mio metodo, come facevano i Greci, e si introducesse il riso come religione, allora la cosa migliorerebbe?», al che io non potei far altro che tacere. […]
[…] Parlò anche del suo progetto di riunire una cerchia di persone gradevoli, appartenenti a diverse professioni, per condurre assieme una tranquilla esistenza sulla costa, o su un’isola. Si conosce ancora abbastanza bene per sapere che l’isolamento non gli giova, ma la sua facoltà di giudizio ne ha sofferto. Molte cose che per me e per te sono normali gli sembrano una fatica mentale enorme.
29 gennaio 1884 (Josef Paneth scrive alla fidanzata)
Poi mi recai da Nietzsche. Dopo qualche frase introduttiva venimmo a parlare dell’antisemitismo. Io gli chiesi come mai avesse permesso la pubblicazione dei suoi «Idilli di Messina» in una rivista che ha lo scopo di combattere l’ebraismo. Mi disse che allora la rivista non aveva ancora questo carattere. Era stata fondata con l’intento opposto, per coloro che volevano essere dei buoni europei, e solo più tardi era divenuta antisemita, come pure il suo editore. Questo genere di ostilità gli è estraneo: fin da giovane si è sforzato di mantenersi libero da ogni pregiudizio razziale e religioso. Voleva sapere da me quali speranze vi fossero tra gli ebrei. Al che gli dissi che io, e tutti quelli che la pensavano come me, non vogliono essere visti come ebrei, come appartenenti a una razza, ma ciascuno come individuo; che la fede nel popolo eletto vive e muore con la fede nei cinque libri di Mosè; che per l’ebraismo non esiste in nessun luogo un’unità, un centro; ma che oggi è impossibile non riconoscersi ebrei senza attirarsi l’accusa di vigliaccheria. Inizialmente ha cercato di difendere l’influenza del fattore razziale, ma poi ha rinunciato e mi ha dato pienamente ragione sul fatto che non esistono razze pure. Meno di tutti erano i tedeschi ad avere il diritto di pretendersi tali. Se scriverà il libro che ha in progetto contro l’attuale oscurantismo tedesco, farà i conti anche con l’antisemitismo.
Gradualmente poi venne fuori che negli ultimi tempi è stato molto molestato da chi lo incitava a gettarsi nelle braccia di questa «porcheria», al punto che la sua esistenza ne era minacciata: la sua stessa sorella e un caro amico di famiglia, il dottor Bernhard Förster[4], appartengono a questa corrente; e se negli ultimi anni si fosse suicidato, sarebbe stato in gran parte a causa di queste torture a cui proprio l’antisemitismo lo sottoponeva. Tutto ciò gli ha terribilmente amareggiato la vita. Inoltre alcune persone di origine ebraica si erano comportate male con lui, e la cosa era stata sfruttata come argomento contro la razza. (Non disse nulla di più preciso, è chiaro tuttavia che dipende in qualche modo dal suo editore, e che questi voleva da lui qualcosa di antisemita.) Io naturalmente non mancai di ricordargli che siamo noi, in primo luogo, quelli a cui la vita viene amareggiata. Raccontò ancora che il suo editore si era definito, in quanto antisemita, «un cristiano pratico» e che lui (N.) gli aveva risposto che era sì pratico, ma non un cristiano pratico; l’editore allora aveva detto che gli operai socialisti sono tutti controllati dagli ebrei, e lui (N.) aveva controbattuto: in tal caso non si deve far nulla di male agli ebrei, per evitare gli aizzino gli operai.
Parlando dell’influenza della nazionalità, disse che è un fatto innegabile. La Rivoluzione francese, per esempio, tutti i francesi ce l’hanno nel sangue. Lui disse di essere polacco; il cognome originale è Niecki, l’«Annientatore», il «nichilista», lo «Spirito che sempre nega», questo gli piace. Spesso i polacchi si rivolgono a lui in polacco, per la faccia che ha, e poco tempo fa uno gli ha detto: «La razza c’è ancora, ma il cuore si è allontanato». Fra l’altro questo dottor Förster, in un libro recente: «Che cosa è tedesco», ha sostenuto che «tedesco» e «dabbene» sono praticamente sinonimi, ignorando proprio quella caratteristica che Goethe considerava eminentemente tedesca: la ricettività per tutto ciò che è straniero. Lui personalmente si augura che gli ebrei stabiliscano legami con le migliori e più nobili famiglie di tutte le nazioni, trasmettendo così le loro buone qualità; dovrebbe accadere in tutte le nazioni. E ancora gli ebrei dovrebbero produrre, come unica e migliore confutazione, un gran numero, di grandi uomini; quelli che si possono addurre finora, Heine, Lassalle, non sono infatti di razza abbastanza pura. L’uso della parola «semitismo» come insulto è una vergogna; una cosa splendida come la cultura moresca in Spagna non c’è mai più stata in Europa. Pareva però supporre che gli ebrei abbiano un ideale particolare, come popolo, e fu un po’ deluso quando non ne volli sapere e negai ogni elemento di distinzione. Rifiutai nel modo più risoluto la ricostruzione di un regno di Palestina, sia pacifica che violenta.
Volle sapere se gli ebrei fossero responsabili della corruttibilità della stampa; lui pensa che sia nell’andamento naturale delle cose che venga a crearsi un mercato dell’opinione pubblica. Io accennai poi al fatto che chi tra gli ebrei la pensa come me ha abbandonato le tradizioni ebraiche. Per me la circostanza di aver lavorato nel laboratorio di Brücke conta più del mio essere ebreo. «Sì, ma questi spiriti distaccati da tutto» disse «sono molto pericolosi e nocivi.» «Sono spiriti liberi come intende lei.» «Sì, ma gli spiriti liberi sono pericolosi e funesti.» «Innanzitutto» dissi io «si è come si può, e non come si dovrebbe o si vorrebbe essere. Una volta liberi, non ci si può legare a un palo senza essere ipocriti. Poi, essere liberi significa solo essere liberi da tradizioni e convenzioni. Ciascuno vedrà in seguito quali interessi e quali forze in lui sono più stabili, e in base a ciò si impegnerà a si darà delle leggi. Certo, chi non trova in sé queste forze è senza speranza, e verrà soffiato via. E tutto ciò vale sia per l’etica che per l’ambito intellettuale. Infine: uno spirito libero deve avere una forte volontà di vivere.» (Tutte cose di cui abbiamo già parlato spesso, e spesso con grande piacere.) Fu pienamente d’accordo su tutto. […]
[…] Con l’isolamento, però, egli aveva raggiunto una concentrazione tale da riuscire a sconvolgere profondamente una persona con una sola parola. (La cosa mi procurò di nuovo una certa inquietudine.) Zarathustra è di difficile comprensione, bisogna studiarlo; contiene molti elementi didattici, ed è il risultato di quattordici anni di evoluzione; ha tratto profitto da tutti i suoi errori e passi falsi. Ammisi che Zarathustra è difficile da comprendere, poi gli feci una breve analisi degli altri suoi scritti, con cui lui fu d’accordo, e che terrò per la lettera a zio Sigmund, per non appesantire troppo questa. […]
[…] Credo, cara Sofie, di averti già detto che Nietzsche prende cloralio. Mi ha pregato di non raccontarlo a nessuno e mi ha promesso di essere molto prudente. Quindi per favore non dirlo a nessuno. Mi disse che vi era stato costretto dalla sua agitazione. Ciò è un po’ diverso da quanto sostenne l’ultima volta. Parlammo ancora del fatto che, se per uccidere bastasse il desiderio, si ucciderebbe spesso, per impossessarsi di un bene. È una questione sollevata da Balzac. Qui a un giovane viene richiesto di sposare una ragazza che non possiede nulla; più tardi il fratello di lei dovrà essere ucciso in duello, e lei potrà diventare ricca. Nietzsche disse che se i desideri potessero uccidere nessuno sarebbe più al sicuro. E io aggiunsi: se ci si potesse suicidare solo col desiderio, non saprebbe più vivo alcuno; cosa che egli confermò. […]
[…] In Nietzsche ci sono molte contraddizioni; ma è una persona onestissima, e con un’enorme forza di volontà e ambizione. Ha lottato duramente, ha detto, per conservarsi quel po’ di gioia di vivere e di gaiezza: a parte le sofferenze fisiche, è stato spesso male. E lui non è un uomo duro, non può esigere troppo dalla sua emotività…
4 febbraio 1884 (Josef Paneth scrive ad uno zio)
Adesso a Nietzsche. Sono perfettamente conscio che la mia conoscenza personale con lui non ha praticamente modificato il mio giudizio su di lui; continuo a considerare le sue cose molto significative, ma ho sempre ammesso che ci si trovano anche molte banalità, e parecchie cose che debbono la loro esistenza al gusto del paradosso. E proprio questo gusto del paradosso è il solo difetto insito nella sua virtù. Virtù he vedo nel suo seminare ovunque punti interrogativi, in grado di scuotere sia le basi che le conclusioni. Le sue dichiarazioni sono dunque spesso nient’altro che i suoi dubbi, forse i suoi dubbi disperati, e non le conclusioni a cui è giunto. Certo, se si getta solo un’occhiata superficiale nei suoi scritti, l’infelice forma aforistica induce a considerare opinione quello che forse invece è solo destinato a farci entrare nelle più segrete fucine del suo pensiero, più profondamente e più totalmente che in qualunque altro autore: è come assistere a una nascita, e altrettanto istruttivo. Ciò di cui altri autori non sanno nulla, egli lo scrive. […]
[…] Il forte impulso vitale, che tende al benessere e rifiuta la riflessione, perché essa non aiuta a vivere, si trova nei suoi primi scritti; ma la riflessione diventa più forte, mette in dubbio i fondamenti della vita, non crede più nell’arte, la stessa etica le diviene sospetta; questa condizione, attraverso la quale altri passano mezzo addormentati, lo afferra con la massima chiarezza; tutto vacilla, tutto sembra importante, di tutto si può dire una cosa e il suo contrario, solo il pensiero e il sapere predominano, tutti gli altri dèi sono annientati; questo è il senso di «Umano, troppo umano», «Il viandante e la sua ombra». […]
[…] Quanti, tranne lui, credettero che con il crollo della fede nelle filosofie, nelle religioni e nell’arte, anche il mondo crollasse! Quanti sono rimasti prigionieri del loro scetticismo, o sono divenuti dei quietisti! Questi scritti ce lo mostrano appunto nel mezzo di tali pericoli. Ma nel deserto ode mormorare una sorgente – la volontà di vivere vince, e sottomette l’intelletto. (Faccio uso dello schema schopenhaueriano, che è molto utile per rappresentare queste situazioni.) Il fatto che non sappiamo nulla delle cose lontane non è più un tormento, anzi, è tranquillizzante – la posizione di Epicuro. Questo è il contenuto dei suoi ultimi due scritti «Aurora» e «La gaia scienza». In tutti questi scritti si trova una quantità di idee nuove e di grande forza; la lingua mi è sempre parsa mirabile, sonora, duttile e piena di forza; quel che tu chiami «ampollosità» è molto raro. E anche adesso Nietzsche si sente bene solo nella totale chiarezza; ogni dubbio deve venire affrontato, a ogni idea viene data udienza; odia cullarsi; versa il suo acido corrosivo non solo sulla religione, ma su ogni cosa; quello che non gli resiste deve sparire.
I passi sulle donne che ti sono tanto dispiaciuti sono effettivamente deboli. Nella solitudine si è inventato e creato su misura quello che si può solo imparare direttamente, dalle persone. Dall’antisemitismo è lontanissimo; gli «Idilli» apparvero nella «Internationale Zeitschrift» quando essa non aveva ancora questo carattere; adesso mi pare che egli dipenda in qualche modo dal suo editore. […]
[…] E queste persone di estrema soggettività possono essere giudicate solo complessivamente, non sulla base di dichiarazioni isolate. Tutto il suo modo di esprimersi per massime, di spingere all’estremo e di limare singoli pensieri è molto contrario alla mia formazione scientifica; io amo l’esposizione tranquilla e continua, in cui la parola aderisce il più possibile all’idea «come una calzamaglia», più che saltare da un’idea all’altra. Ma confrontati a molte altre cose, sia io che parecchi altri, ci siamo sentiti come se provenissero dal profondo del cuore – si prova un vero spavento. E questo solo perché egli si conosce a fondo e si apre senza limiti.
14 marzo 1884 (Josef Paneth scrive alla fidanzata)
Dal nostro primo incontro trassi l’impressione di non aver ancora conosciuto l’intero Nietzsche, e lo scrissi anche in una lettera. L’ultima volta si è un po’ scoperto, con il suo obiettivo a cui sacrificherebbe tutto, ma che non è in grado di definire con precisione, né sa come arrivarci. Non credo che il frequentarmi continuerà ad apparirgli molto desiderabile, dopo che avrà constatato che io non sarà mai e poi mai in grado di interessarmi a simili progetti di salvezza del mondo. Credo abbia più senso occuparsi del normale lavoro quotidiano, come fa papà. Questo è il Nietzsche del Zarathustra, che con il suo linguaggio affettato, le situazioni artificiose, i racconti dei discepoli e le sue eterne allegorie, finisce per diventare insipido, nonostante la bellezza di alcuni particolari. Non fa bene a nessuno occuparsi incessantemente di problemi supremi, senza avere anche un’occupazione quotidiana.
Note
[1] Malwida von Meysenbug (Kassel, 28 ottobre 1816 – Roma, 23 aprile 1903) è stata una scrittrice tedesca. Suo padre, Carl Rivalier, discendeva da una famiglia di ugonotti e ricevette il titolo di Barone von Meysenbug da Guglielmo I d’Assia; era la nona di dieci figli. Ruppe ogni rapporto con la sua famiglia a causa delle proprie idee politiche, mentre due dei suoi fratelli fecero invece brillanti carriere come ministri, uno a Vienna e l’altro a Karlsruhe. Nel 1852 emigrò in Inghilterra dove visse insegnando e traducendo e dove incontrò Louis Blanc, Giuseppe Mazzini, Alexandre Ledru-Rollin e Gottfried Kinkel, tutti rifugiati politici; il giovane Carl Schurz divenne anch’egli suo conoscente. Fonte Biografia Wikipedia
[2] Citazione da «Incipit tragoedia» in Libro primo, pag. 236, Adelphi, 1994.
[3] Il cloralio idrato è un sedativo ipnotico che agisce riducendo l’attività del sistema nervoso centrale, inducendo sonnolenza e favorendo così il sonno. Continua a leggere su Humanitas.it
[4] Bernhard Förster (Delitzsch, 31 marzo 1843 – San Bernardino, 3 giugno 1889) è stato un insegnante tedesco, celebre per aver sposato la sorella Elizabeth e per alcuni suoi scritti antisemiti. Con Elizabeth andò in Paraguay per un esperimento di colonia nella Nueva Germania ma fallì ben presto e si tolse la vita nella sua camera dell’Hotel del Lago in San Bernardino. Successivamente, dal 1930 il Nazismo lo celebrò come eroe.
Bibliografia
Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei, Biblioteca Universale Rizzoli, a cura di Claudio Pozzoli, 1990
Written by Alessia Mocci