“Il parlamentare” di John Galt: ogni uomo è in vendita a un prezzo ragionevole
L’uomo è uguale dappertutto è un’affermazione così categorica che non può essere del tutto vera. A farla è stata Agatha Christie, profonda conoscitrice dell’animo umano, che arrivò anche a determinare le tre ragioni principali per cui si arriva a uccidere un proprio simile (soldi, vendetta, passione).

Tutte le definizioni che riguardano il carattere di noi bipedi implumi hanno il pregio di essere facilmente verificabili, per cui basta guardarsi intorno. O forse no. È una materia così in fieri che nessuna di esse ha la capacità di essere definitiva.
È sia facile che impossibile dire qualcosa di assoluto su quello che Aristotele definiva un animale sociale. Che egli tenda ad associarsi con i suoi simili è indubbio, ma che lo faccia per una motivazione etica è da dimostrare.
Un’altra frase da prendere con le molle, anche se mentre lo si fa può capitare di fare un accenno di assenso: l’uomo non sa rimanere indifferente alla sorte dei suoi simili, provando, a seconda dei casi, pietà, odio, amore, disprezzo, simpatia, antipatia. In altre parole egli è empatico da meno infinito a più infinito. Si dice sia ti amo da morire!, che ti odierò finché campo!
Leggendo La macchina del tempo di Wells il protagonista s’imbatte in una stramba genia di umanoidi, piccoli, teneri e destinati al macello, la cui gentilezza risulta contraddittoria: nessuno si preoccupa troppo né della propria sorte né di quella altrui. Sorridono, senza falsità. E nulla più.
Almeno da alcuni millenni, la società umana è tutt’altra cosa: è un ambiente dove la propria fortuna spesso s’accompagna con la sventura altrui e da qui si forma l’egoismo umano. Faccio l’esempio di un concorso pubblico. Il partecipante fa di tutto per prevalere sul prossimo, anche se si tratta del suo miglior amico. Il detto latino mors tua vita mea la dice lunga sull’argomento. Esiste poi tutta una casistica di scarsa virtù che caratterizza i nostri comportamenti, su cui non vale la pena di approfondire, tanto già si conoscono.
Archibald Jobbry, il protagonista e io narrante del romanzo Il parlamentare di John Galt, ha passato l’ultimo quarto di secolo in India, dove ha svolto delle non meglio specificate funzioni pubbliche e, tornato in patria con un sostanzioso gruzzolo, si è comprato una casa in campagna, dopo cui si pone la domanda su quel che vuol fare nel resto della sua vita.
Non gli dispiacerebbe intraprendere la professione di politico amministrativo e la cosa fa sorridere i suoi vicini: “Ma io non avevo messo a rischio la mia salute nel Bengala per venticinque anni solo per divertire costoro e, venuto a sapere del loro atteggiamento e di quel che dicevano su di me, divenni ancora più ostinato nelle mie intenzioni.”
Questo senso dell’onore lo rende spesso simpatico, nonostante la sua sapiente, direi quasi saggia, tendenza all’inganno. Egli ha una grande concezione di sé, ma non usa vantarsi, se non gli serve. Gli si addice molto il verso di Rimbaud: “Assez vu… assez eu… assez connu…”, più il primo e il terzo verbo che il secondo. La sua esperienza nella colonia indiana gli è sicuramente servita per aprire la mente e per negargli una certezza fuorviante su quel che gli può accadere. Egli è ora un uomo molto avveduto, prudente e in cerca di maggior fortuna.
Le sue opinioni politiche rispondono a tali sue caratteristiche: “… tra i Whig e i Tory non riesco a vedere la differenza. Un Tory non è altro che un Whig al governo e un Whig non è altro che un Tory all’opposizione. Tutto ciò rende facile a un individuo coscienzioso il proprio sostegno al governo.”
Egli così si reputa e a modo suo realmente è: una persona dotata di coscienza, truffaldina solo quando serve.
Il gioco retorico e quasi eristico con cui riesce a ridurre il costo dell’acquisto al diritto di essere parlamentare è svolto nel pieno rispetto dell’antagonista, verso cui egli non prova disprezzo, se non quel minimo che capita a un giocatore di scacchi che sa di essere dotato di capacità migliori del suo avversario.
Il fine non è discutere politicamente, ma amministrare secondo la logica vincente, con la “saggezza nell’essere così radicati nel ritenere la spartizione di posti e pensione la naturale prerogativa dei Membri del Parlamento.”
Si tratta del solito e sempre attuale consociativismo: “Con il pretesto di mettere in atto migliori disposizione nel campo giudiziario e legislativo, nuovi provvedimenti venivano introdotti dai rappresentanti dell’Opposizione quando andavano al governo, e ciò permetteva loro di sistemare amici e parenti, ma li costringeva a indennizzare coloro che avevano goduto dei vecchi incarichi.”
Panta rei, tutto scorre, ma il fine è in ogni caso favorire “la nascita di una nuova ondata di clientelismo.”
Fa bene Carmine Mezzacappa, traduttore e autore di un’illuminante Postfazione a citare “il gattopardesco principio del ‘cambiare tutto per non cambiare nulla’”
Esiste però uno spauracchio che viene da lontano e ahimè da vicino (l’odiata Francia): la follia che aveva ispirato la rivoluzione nel 1789, che tanti lutti addusse ai possessori di privilegi e che così tanto illuse la povera gente: “è stupefacente che noi si debba pensare ai loro rozzi ideali e alle loro teorie come a modelli da imitare e seguire.”
A questa legittima obiezione di Jobbry, il savio Sir John replica: “… Ho vissuto abbastanza a lungo in pubblico da prendere atto che ogni stagione ha le sue tipiche malattie, sia fisiche che morali, e accade assai di rado che gli uomini mantengano il medesimo abito su questioni pubbliche per due anni consecutivi. In breve, l’arte di conservare stabilità nel mondo – che altro non è se non l’arte di governare – è di trovare sempre nuovi modi e sistemi per intrattenere l’umanità.”
Nel secolo scorso gli ideali sono durati anche alcuni decenni. Poi l’entropia li ha condannati a una trasformazione che ne ha ridotto l’energia e aumentato la dispersione.
Sir John è così avveduto che preferisce negare al figlio un futuro da amministratore: “Sebbene sia un giovane di buoni propositi, ha troppe fantasie filosofiche riguardo alle regole e ai principi di governo per essere ciò che, secondo le mie idee antiquate, deve fare un legislatore inglese pratico e funzionale. È onesto e rigido, ma onestà e rigidità non bastano.”
Le idee antiquate sono quelle che sono state verificate negli anni, che si rivelano le più affidabili.
Sir John continua: “… l’obiettivo del potere politico è di rendere felice la gente, il tipo giusto di deputato di Easyborough è una persona di età matura, di carattere gioviale e di umore equilibrato piuttosto che un individuo rigido e presuntuoso riguardo i suoi principi.”
E qui capita un piccolo incidente di percorso per il nostro eroe, il quale chiede a Sir John di essere preso in considerazione per quel nuovo posto di amministratore. No, è la risposta che riceve, che viene così motivata: “… penso che voi siate abile e scaltro. Ma dato che non avete ancora la giusta nozione di quel che appartiene al pubblico, voi nutrite un interesse troppo stretto e personale per il vostro bene nel vostro collegio. Ebbene, ciò non si concilia con la mia nozione che gli elettori non mi sono mai costati una sola ghinea e non mi hanno mia chiesto un favore…”.
Ne deve ancora fare di strada il nostro caro Jobbry per essere compatibilmente onesto!
Il Parlamento “è un luogo che non riproduce esattamente il mondo ma è una comunità composta di gente bizzarra e i membri sono più diversi gli uni dagli altri di quanto non lo sia l’umanità in generale.”
E qui egli enuncia le due ragioni. La prima: “… ogni cosa pronunciata da un membro della Camera viene ricevuta come una verità.”
La seconda è speculare, ma opposta: “non c’è nessun freno, se non quello della personale discrezione di ciascun individuo, in ciò che afferma.”
La verità è una sola, ma soggettiva: ognuno è relativisticamente foriero del suo legittimo e insindacabile punto di vista.
Egli però preferisce tacere, “perché, nella seconda sessione, vennero dibattute svariate questioni sulle quali, se avessi avuto quella dimestichezza a parlare, mi sarei espresso in un modo che probabilmente non sarebbe stato applaudito dal pubblico.”
Il bel tacere non fu mai scritto e il silenzio è d’oro, e permette di agire per il meglio.
Anche perché, a parlare, capita che scappi una parolina in più: “Ed ecco che cosa dissi con grande onestà: ‘Miei gentili signori! Sono profondamente grato a voi tutti di essermi stato accanto e, in particolare, dei voti con i quali mi avete scelto come rappresentante in Parlamento per la città di Frailtown a difesa dei vostri privilegi.”
Privus legis, ma più correttamente ligium: vantaggio legislativo per un individuo o per una sola schiera di persone, e non erga omnes. Un classico tipo di privilegio è l’esenzione dal militare di taluni portatori di handicap. Oppure una sinecura offerta per l’amicizia di qualcuna che è in grado di erogarla.
Oggi andare in pensione con quota 100 è da molti considerato un privilegio donato dal primo governo Conte, non un diritto conseguito con oltre quarant’anni di contributi ma con un’età inferiore a quella prevista dalla Legge Fornero. E forse lo è davvero!
Frase che non sarebbe dispiaciuto a molti leader cosiddetti populisti: “Sono un uomo semplice, uno come voi. Il massimo dell’ambizione è di assomigliare ai miei nemici.”
Non riesco più a evitare a darti del tu, caro il mio personal politician Archibald Jobbry. Sei veramente uno che per anni ha mangiato pane e volpe, e lo dimostri quando aggiungi: “… mi limito a ringraziarvi tutti, dal profondo della mia anima, per l’impegno eterno al quale mi avete vincolato.”
Un’ovazione accompagna la tua uscita di scena, che non t’impedisce di raccogliere un commento da parte “del più anziano abitante della città” che “affermò di non aver mai sentito un discorso così chiaro ed essenziale.”
Non per nulla tu definisci la tua come una “coscienza religiosa”.
Così osi definirti a un tuo avversario politico che non digerisce lo smacco patito: “Voi sapete, Signor ex Segretario, che io sono un parlamentare indipendente e che solo le banderuole segnavento girano a ogni soffio di dottrina. Se ne faccia una ragione, Signor ex Segretario, sono saldo nella direzione in cui soffia il vento giusto proprio come il gallo segnavento sul campanile di Kitrone che il fabbro saldò in modo che puntasse sempre verso il caldo e confortevole sud.”
Del resto non puoi fare a meno di pensare che “i Governi sono espressioni della natura e non possono essere né cambiati né rimossi se non dal procedere delle stagioni e del tempo – e con gran confusione. Sono come colline...”
Ben altro è la politica pratica: “… stabilimmo di agire con quello che definii il principio della strategia a due facce, per il semplice fatto che era letteralmente così, sia nei valori morali che nella pratica.”

Senza tirare in ballo il fin troppo idealista Machiavelli, il cui pensiero vanta più tentativi di imitazioni della Settimana Enigmistica, ma anche il maggior numero di fraintendimenti, si pensi al trasformismo giolittiano e quello becero di alcuni politici attuali.
L’Ecclesiaste non finirà mai di insegnare al mondo i suoi due principi chiave: Nulla di nuovo sotto il sole e Tutto è vanità.
“Ma gli uomini, nel corso delle elezioni generali, hanno licenza di manovra e io non feci altro che servirmi del grossolano spirito carnevalesco dei saturnali.”
Principio quadrifronte: “I giovani difendono i principi, gli anziani la legge, i saggi la convenienza, gli stupidi della loro opinioni!” – gran bella opinione la tua, caro e sempre attuale amico!
Caro, ora ti lascio un attimo perché devo parlare col tuo autore.
Non sono sicuro, egregio John Galt, che il tuo sia un romanzo antifrastico in toto. Sicuramente la tua ironia è sparsa in ogni suo punto, sia per la suddetta gaffe del privilegio, sia per esempio dei cognomi che attribuisci ai caratteristi con cui il protagonista ha a che fare: Spicer, droghiere; Bulky, corpulento; Gabblon per gabble, stupidaggine; Gleaning da glean, spigolare; Muckledose, da muckle, gran quantità; Dillman, da dill, cretino; Curl, ricciolo; Brag, vanteria; Worsted, tessuto pettinato; Gale, vento di burrasca; Idle, pigro; Gnarl, rigonfiamento; Armor, armatura; Stubble, barbetta; Swing, oscillare; Diphthong, dittongo. Però… non credo che il tuo personaggio sia da disprezzato, quanto ascoltato: questo è il compito dello scrittore, non condannare i propri personaggi, ma sentirli come parti di sé.
Ora ritorno a te, Archibald. Mi fai sorridere quando dici: “Molti anziani gentiluomini di sani principi e con la testa sul collo, che quando entrarono in Parlamento, non sapevano se il Portogallo era nel regno di Lisbona o Lisbona nel regno del Portogallo, adottavano lo stesso approccio e i loro voti venivano sempre tenuti nella massima considerazione in quanto accadeva che essi legavano la loro fede, come me, alle opinioni degli uomini che il mondo fuori del Parlamento rispettava per il loro talento, la loro conoscenza e la loro integrità.”
Il Signor Gabblon, stupidotto, invece “dovette dimettersi perché non era abbastanza astuto, in senso parlamentare, da essere onesto…”
Non posso non citare la scena di quella sedicenne e dei marmocchi suoi fratellini e sorelline destinate alla morte per fame che ti dice, con immensa dignità: “Potete aiutarci? Se non volete, andatevene e non disturbateci mentre noi scompariamo.”
Coi tuoi sapienti maneggi salvi loro la vita e, per questo, Dio o chi per Lui, ti abbia in gloria.
Il tuo senso di onestà e di giustizia è tuo, diverso dal mio; quale sia il migliore lo sa forse Tex Willer o qualche altro super-etico eroe della finzione. Io no.
“Da parte mia, essendo persona onesta, non riuscivo a pensare che re e principi che avevano promesso governi costituzionali fossero da condannare per averli poi negati per il solo fatto di essersi strette le mani tra di loro unendosi in una lega dai giusti principi.”
A proposito di leghe dai giusti principi, nell’estate del 2018, un fin troppo noto uomo politico promise di abolire la più ingiusta, a suo dire, delle leggi che regolavano l’accesso alle pensioni; vorrei sapere cosa ne pensi oggi.
La verità, diceva Machiavelli, è sempre effettuale, preconizzando in questo il principio galileiano della necessaria sperimentazione.
“Ma se ogni cosa deve essere misurata in base all’utilità o, in altri termini, al loro valore monetario, che cosa succederà al mondo?”
Forse che diventerà riducibile essenzialmente alla pecunia, non quella fatta di carta o di vile metallo, ma di speculazione finanziaria?
Ecco che alla fine v’incontrate, Archibald Jobbry e John Galt, solo che quest’ultimo ha assunto uno pseudonimo: Signor Diphthong, giovane direttore scolastico, il quale semina zizzania con le sue idee progressiste, dicendo che non bisogna considerare elemosina il lavoro offerto ai poveri, grazie a cui “le vostre carrozze”, non sono più così pesanti e viaggiano più velocemente.
Nella nota 75 si spiega che la “la legge sulla povertà”, di origine whig, permise “di impiegare i poveri in attività di pubblica utilità in cambio di vitto e alloggio invece di umiliarli con l’elemosina.”
Qualcosa di simile fu realizzato in Italia coi cosiddetti lavori socialmente utili, che permise a varie categorie di disoccupati (i nuovi poveri) di acquisire una pur scarsa mercede, nonché una contribuzione utile per la misura ma non per il diritto a pensione, similmente alla stessa prestazione di disoccupazione.
Il Signor Diphthong si meraviglia che l’uditorio non capisca la differenza fra il ricevere un pur misero compenso, sia pure in natura, in cambio di una prestazione lavorativa, che il ricevere un’elemosina senza fare nulla per meritarla, se non l’essere considerati miserabili.
Anche tu fatichi a capire e non apprezzi tali discorsi quasi rivoluzionari, eppure dentro di te le parole di quel giovane illuminato non cessano di produrre effetti e ti danno da pensare.
Lo stesso capitò a me quando lessi Eros e Civiltà di Marcuse, lettura straordinaria che mi condusse a dire ai miei genitori che non avrei lavorato un’ora nella mia vita: programma da me sbugiardato in seguito a oltre quarant’anni trascorsi nell’alveo della subordinazione.
“‘Ma Signor Diphthong’ dissi io, ‘non vi rendete conto che l’effetto di tutto ciò danneggerà le grandi proprietà?’”
Il Signor Diphthong non si scompone nell’annunciare la prossima (ma non immediata e definitiva) “fine alla rendita dei proprietari terrieri.”
Tale pensiero turba sia te che l’ottimo signor Blount, “ed entrambi concordammo, per quanto il Signor Diphthong probabilmente si sbagliasse di grosso, nel mondo stava accadendo qualcosa che avrebbe dato conferma alle sue argomentazioni e concludemmo che si stava avvicinando velocemente un tempo in cui uomini anziani e accorti avrebbero dovuto abbandonare l’arena pubblica e lasciare spazio a generazioni più giovani e più audaci.”
Tutto ha fine, per modo di dire. Oggigiorno l’1% della popolazione mondiale possiede il 43% della ricchezza mondiale, mentre il 50% più povero ne possiede l’1% e miliardi di esseri umani risultano privi di alcuna forma di reddito.
Cerchi infine di cedere a pagamento il tuo mandato, ma ti accorgesti che “i faccendieri non erano più di moda.”

Ci riuscirai? Io ho fiducia in te e nelle tue arti dialettiche. Ma non voglio essere spoiler, almeno in questo, per cui consiglio di leggere tutto il trentaseiesimo e ultimo capitolo per poterlo sapere e i primi trentacinque per capire il perché.
Il romanzo di Galt è notevole e illuminante, tenendo presente che data ormai di quasi due secoli. Non solo presenta un’analisi acuta della società inglese dell’epoca, ma sa delineare compiutamente i tratti prevalenti dell’umanità in genere.
Pur non mancando mai di rimarcare le contraddizioni psicologiche ed etiche dei vari personaggi, sa rappresentarli con rispetto e con minuzia di particolari, tanto che il lettore viene spesso costretto a porsi la domanda: io come mi sarei comportato al suo posto?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
John Galt, Il parlamentare, Edizioni PaginaUno, 2021