Appunti di estetica: un’analisi di tre definizioni che indagano il concetto di Arte
I Una definizione pragmatico-operativa (mutuata da Christian Metz): è Arte tutto ciò che «funziona socialmente come tale».
II Una definizione filosofica: l’Arte è «espressione effettuale di una Weltanschauung».
III Una definizione metafisica (parafrasando Leo de Berardinis): l’Arte è «metafora più profonda di qualcosa di cui la vita stessa è metafora».
I.1 Che l’Arte sia ciò che «funziona socialmente come tale» è il motivo per cui il concetto di Arte varia a seconda delle epoche e dei contesti culturali e geografici. Vedi ad esempio, nella civiltà occidentale, il succedersi di diverse classificazioni delle Arti: dalle nove Muse dell’antica Grecia, al Trivio e Quadrivio nel Medioevo, alla classica elencazione di Batteux (Pittura, Scultura, Architettura, Musica, Danza, Poesia, Eloquenza). Si possono aggiungere (alla rinfusa): il rilievo artistico della Retorica nell’antica Roma, testimoniato dai numerosi trattati tecnici che vanno dal I secolo a.C. a Quintiliano; Kant che, nella Critica del Giudizio, include nel novero delle Arti anche il Giardinaggio (in quanto arte figurativa che «compone i prodotti della natura»); o Fernando Pessoa che in un frammento di Estetica, probabilmente del 1925, propone una sua propria classificazione delle Arti che modifica in maniera interessante quella classica (Arti il cui fine è quello di intrattenere: Danza, Canto, Rappresentazione; di piacere: Pittura, Scultura, Architettura; di influenzare: Musica, Letteratura, Filosofia) eccetera.
D’altra parte, nelle tradizioni orientali vengono considerate artistiche forme espressive poco assimilabili al concetto occidentale di Arte: si pensi ad esempio ad alcune delle Arti tradizionali zen giapponesi come la Cerimonia del Tè o l’Ikebana.
Emblematico, poi, riguardo alla pertinentizzazione del concetto di Arte, il caso di quella tradizionale africana. Sculture e maschere dell’Africa Occidentale erano indissolubilmente legate alla loro utilizzazione rituale in contesti religiosi: tranne in rari casi, non esisteva un concetto di “artista” paragonabile a quello europeo moderno (semmai a quello di “artigiano” del nostro Medioevo). Tuttavia, quando agli inizi del XX secolo molti pittori e scultori del Vecchio Continente iniziarono a interessarsi e ispirarsi alla scultura africana, essa improvvisamente fu investita di uno statuto propriamente “d’Arte”, anche se falsato dal punto di vista europeo che ne apprezzava l’estetica dei piani e dei volumi, trascurandone quasi del tutto l’ispirazione e il valore d’uso legati alla pratica magico-religiosa.
I.2 Il fatto che si possa considerare Arte ciò che funziona socialmente come tale collega storicamente l’Arte alle classi dominanti. Sostanzialmente, fino alla Prima Guerra Mondiale le classi sociali dominanti (anche nel loro avvicendarsi) hanno sempre detenuto, oltre al potere economico, quello culturale.
Diciamo che lo scontro tra le istanze e le proposte creative degli artisti (la cui provenienza sociale è, naturalmente, sempre stata varia) e la pertinentizzazione della loro produzione al concetto di Arte, da parte di chi deteneva il potere economico-culturale, è sempre stata la dinamica sociale della Storia dell’Arte. Il che non va visto come un processo univoco: se da un lato la riconoscibilità del prodotto artistico lo includeva a priori in categorie già socialmente accettate, dall’altro è proprio l’originalità, quando non addirittura lo sperimentalismo, dell’artista a permettere un continuo ampliamento delle categorie stesse.
I.3 Assistiamo, in questi ultimi decenni, a un curioso fenomeno: dopo il lungo periodo di scardinamento dei consolidati equilibri socio-economico-culturali nella prima metà del XX secolo (culminato poi nella cosiddetta Controcultura degli anni Sessanta e seguito dal diffondersi “democratico” dei mezzi di comunicazione di massa) si è ritornati a una forte dipendenza dell’Arte dai poteri economici – si pensi al mercato delle Arti figurative negli ultimi quarant’anni, al peso sempre più preponderante del box-office nella produzione musicale e cinematografica, alla cosiddetta “Letteratura di consumo” ecc. La differenza, rispetto al passato, è che questi poteri oggi non necessariamente fanno capo a individui o classi sociali con un adeguato retroterra culturale/artistico.
La produzione artistica è quindi oggi legata a meccanismi economici, e ancor più pubblicitari, che ne condizionano fortemente la creatività, ma soprattutto ne influenzano la visibilità e la diffusione presso il potenziale pubblico di fruitori. Adorno e Horkheimer, nella loro analisi dell’industria culturale, avevano fotografato una realtà in atto, ma – direi – ne avevano soprattutto preconizzato gli sviluppi futuri.
II.1 Nella definizione di Arte quale «espressione effettuale di una Weltanschauung» la parola effettuale fa riferimento alla forma, considerando che una “intuizione del mondo” deve comunque e necessariamente esplicarsi in un sistema di segni.
La padronanza e il lavoro sulla forma caratterizzano l’artista quanto – e più – della scelta delle tematiche della sua opera, «ché una forma espressiva è un contenuto» (Marcello Pagnini).
II.2 La riconoscibilità di ogni Arte, all’interno di un contesto socio-culturale che l’avesse eletta come tale, si è storicamente basata su quello che potremmo definire uno specifico tecnico-espressivo.
Questo “specifico” è, per così dire, l’ambito semantico all’interno del quale l’artista opera, mettendone in gioco codici e grammatiche. È, quindi, ciò che è intrinseco a una determinata forma di espressione, in pratica il suo «livello minimo di organizzazione», e di conseguenza anche ciò che la distingue dalle altre Arti.
L’immagine bidimensionale per la Pittura (e la Fotografia), la figura tridimensionale per la Scultura, l’organizzazione dello spazio per l’Architettura, l’organizzazione della parola per la Letteratura, l’organizzazione del suono per la Musica, l’organizzazione del movimento per la Danza, la messa in scena per il Teatro e l’immagine in movimento per il Cinema sono in questo senso tutti specifici tecnico-espressivi. Essi vengono prima, sono anzi alla base dei codici e delle grammatiche che sottostanno alle diverse forme espressive.
Per quanto superato o fuori moda possa sembrare questo concetto, è in realtà tramite l’interculturalità di questi specifici che si può dare un discorso comparativo sui diversi linguaggi, stili e tradizioni all’interno di una determinata forma d’Arte.
II.2.1 Per Cinematografo intendiamo qui, nel senso filologico della parola, l’Arte basata sull’immagine in movimento, indipendentemente dal supporto (pellicola, videotape, file elettronici) e includendo anche le forme espressive legate all’animazione. Può darsi Cinema senza testo, dialoghi, colonna sonora ecc., ma non esiste Cinema senza immagine in movimento (ed è su questo concetto che si sono basati anche i “paradossi” come Empire di Andy Warhol, … (Preludes) di Stan Brakhage o Blue di Derek Jarman).
II.2.2 Specifico del Teatro è la relazione tra attore e spettatore, tra qualcosa che accade in un luogo (deputato o meno) e qualcuno che vi assiste mettendo in atto quella che Coleridge definì «volontaria sospensione dell’incredulità». Le altre Arti tendono a creare un prodotto in qualche modo definitivo rivolto a un potenziale pubblico di fruitori, mentre non si dà Teatro se non nel qui e ora di un evento dal vivo che coinvolge un pubblico di spettatori, la cui presenza e reazione può influenzare lo svolgersi dell’evento stesso (ed è per questo che le riprese televisive di un evento teatrale finiscono col rientrare più nell’ambito della Cinematografia che in quello proprio del Teatro).
Questo perché nel Teatro si possono separare due livelli d’organizzazione che potremmo chiamare drammaturgia (intesa non semplicemente come “testo”!) e rappresentazione, ma entrambi presuppongono l’interazione con un pubblico. È drammaturgia tutto ciò che viene elaborato nella costruzione dello spettacolo ai fini della rappresentazione: dalla realizzazione scenica di un copione alla combinazione di materiali eterogenei spesso proposta nel teatro cosiddetto “di ricerca” (nel caso della Commedia dell’Arte cinquecentesca era drammaturgia l’improvvisazione sul canovaccio, nel teatro di Robert Wilson è drammaturgia lo stesso light design ecc.).
D’altra parte, i testi dei Tragici Greci, in mancanza della loro potenziale messa in scena, sarebbero unicamente pertinenti alla Storia della Letteratura; così come uno spettatore occidentale non potrebbe mai avere un’idea del Teatro Nō giapponese in base ai pur meravigliosi testi drammatici, senza assistere direttamente allo spettacolo che li mette in scena (oppure potrebbe farsene un’idea completamente errata).
Il «togliere di scena» dell’ultima fase del teatro di Carmelo Bene, nella sua stessa paradossale enunciazione linguistica, non faceva che ribadire, sovvertendolo, lo specifico proprio del Teatro.
II.2.3 Specifico della Musica è il suono organizzato, secondo grammatiche variabili a seconda di generi, tradizioni e aree geografiche.
Non toccheremo qui l’annoso problema della artificiosa differenziazione tra musica “classica” (o “colta”) e musica “leggera” (o “commerciale”), anche se è interessante sottolineare come, nella tradizione occidentale, molta musica d’uso del passato – ad esempio gran parte della produzione di frottole, canzonette, songs, musica per danza ecc. tra Rinascimento e Barocco – occupi oggi, all’interno della Storia della Musica, una posizione completamente diversa da quella socio-estetica originale (si dovrebbe forse qui introdurre il concetto di Arte per diritto storico, includendo in questa definizione tutto ciò che, in ambito artistico, è sopravvissuto ai secoli anche al di là del proprio valore estetico intrinseco – vedi il problema dei cosiddetti “minori”…).
D’altro canto, la musica classica indiana – per fare un esempio diverso – fa riferimento a elementi linguistico-strutturali (rāga, tāla) che in Occidente la accosterebbero a forme musicali totalmente diverse dalla nostra concezione di musica “classica”.
Il suono organizzato non ha niente a che vedere con la sua notazione, che è una comoda (ma non imprescindibile: vedi tutte le tradizioni improvvisative) stenografia di un evento sonoro, questo sì imprescindibile.
In John Cage troviamo l’organizzazione del suono estesa strutturalmente anche al silenzio.
II.3 A partire dal Novecento, tuttavia, è il concetto stesso di specifico tecnico-espressivo a entrare in crisi. Le Avanguardie dei primi decenni del XX secolo iniziarono a teorizzare e sperimentare la commistione di diversi generi artistici (Il suono giallo di Kandinskij, gli spettacoli dei Ballets Russes di Diaghilev, le “serate” Futuriste e Dadaiste ecc.), ma è soprattutto dagli anni Cinquanta che la definizione e la classificazione tradizionale delle Arti viene messa in discussione.
Nell’estate del 1952 nel Black Mountain College in North Carolina ha luogo il primo happening, ideato e organizzato da John Cage con la partecipazione di vari artisti di diverse discipline, tra i quali Robert Rauschenberg, Merce Cunningham, David Tudor. La parola happening risponde proprio all’impossibilità di classificare entro definizioni preesistenti la “forma” risultante da questa azione contemporanea di Musica, Teatro, Danza, Pittura e Poesia. Di lì a poco un’altra parola entrerà, per gli stessi motivi, nel linguaggio artistico: performance. Nell’ambito delle arti figurative si cercherà di uscire dallo specifico tecnico-espressivo con la pratica delle installazioni o della Land Art. Nuove forme poetiche si affermeranno sotto il nome di Poesia visiva e Poesia sonora.
Medialità diffusa, «caduta dell’aura», messa in discussione del concetto di originale artistico; Debord, la «società dello spettacolo» e il Situazionismo; il Pensiero Debole e il Postmodernismo porteranno progressivamente a un abbandono delle vecchie teorie estetiche “normative” a favore di “Estetiche Deboli”. Nello stesso periodo storico, non a caso, si afferma la contaminazione come pratica artistica diffusa.
II.3.1 L’espressione stessa contaminazione tra le Arti, tuttavia, riconosce implicitamente una classificazione preesistente e socialmente accettata. L’espressione osmosi tra le Arti, che io preferisco, rende meglio il processo attivatosi a partire dalle prime Avanguardie e che ha poi caratterizzato gran parte dell’attività artistica del Novecento.
L’osmosi tra le Arti è, da un certo punto di vista, manifestazione di una perdita di forza semantica dei vari linguaggi artistici: la multimedialità può essere un comodo collante per frammenti d’espressione di diversa provenienza linguistica in sé non sufficientemente “forti”.
Esemplare l’evoluzione del videoclip musicale: nato negli anni Ottanta come seducente forma pubblicitaria dell’industria musicale, divenne man mano imprescindibile sostegno della canzone che pure avrebbe dovuto accompagnare, quando addirittura non suo sostituto a tutti gli effetti (si ricordava e faceva riferimento al videoclip, non alla canzone). In pratica: la musica iniziò ad avere bisogno del rinforzo delle immagini, e viceversa. Non a caso, il nome del regista inizialmente non veniva neanche accreditato, mentre da diversi anni a questa parte compare a pari titolo dell’esecutore musicale.
E d’altro canto, il fenomeno ha progressivamente interessato gli stessi artisti visivi, innescando subito discussioni, a livello critico, sul suo valore estetico (ecco in atto il processo di pertinentizzazione sociale del concetto di Arte!). La videoarte si nutre dell’osmosi tra Pittura, Cinema, Fotografia, Teatro e Musica, non avendo ancora trovato un proprio specifico tecnico-espressivo che la possa distinguere nettamente dalle forme artistiche preesistenti.
II.3.2 Esistono storicamente, tuttavia, quelli che potremmo definire intergeneri, ovvero forme d’Arte nate dall’unione di generi artistici (e di specifici) già costituzionalizzati: il Melodramma ne è un esempio lampante. Da un punto di vista occidentale, intergeneri sono anche il Nō e il Kabuki giapponese, ad esempio, oppure l’Opera di Pechino.
Questo può costituire un altro esempio di come la classificazione delle Arti varii a seconda dei contesti, delle tradizioni e delle ottiche culturali: in molte forme sceniche dell’estremo Oriente, infatti, la distinzione tra canto, danza e teatro sostanzialmente non si pone.
Il Melodramma nacque invece agli albori del XVII secolo proprio come tentativo di ricostruire un’unità espressiva tra le diverse discipline, idealmente rappresentata dall’antica tragedia greca. Tuttavia già con l’apertura del primo teatro d’opera pubblico, il San Cassiano a Venezia nel 1637, la dimensione musicale, “belcantistica” aveva preso il sopravvento sugli altri aspetti dello spettacolo. Successivamente, l’Opéra-ballet francese, sorta alla fine del XVII secolo, sancirà formalmente una separazione tra gli interpreti vocali e i danzatori.
Anche il Wort-Ton-Drama wagneriano cercherà una fusione, in questo caso tra testo letterario, musica e teatro (escludendo però la Danza). La dimensione propriamente teatrale avrà una parte preponderante anche nel Singspiel e nell’Operetta. E ancora, come lontana filiazione (in tutt’altro contesto culturale) di aspetti presenti nell’Opéra-comique e quindi nell’Operetta, nel XX secolo appare il Musical e successivamente la Rock Opera, dove la compresenza di canto, danza e recitazione è più marcata e omogenea. Manca tuttavia una concezione in cui le diverse discipline si compenetrino in un’unità inscindibile analoga a quella presente nelle “opere” orientali.
II.4 Un caso particolare è, infine, quello della trasposizione, ovvero della ri-creazione di un’opera da un linguaggio espressivo a un altro: si pensi ai film tratti da romanzi o ai balletti ispirati a testi letterari.
A questo proposito bisogna innanzitutto distinguere il concetto di interpretazione da quello di trasposizione. Se l’interprete parte da un testo per farsi tramite, con il proprio stile, della sua realizzazione – è il caso, per esempio, dei musicisti non-compositori, o dei registi di teatro di repertorio – il traspositore si sovrappone all’opera originale in base alla propria poetica (o perlomeno in base alla propria personalità artistica).
Nel primo caso il testo originale da interpretare mantiene un’importanza assoluta essendo, per così dire, punto di partenza e punto d’arrivo; nel secondo caso si viene a creare uno scontro – più che un incontro – di diverse personalità artistiche: il testo originale è assunto come base per una nuova opera, ed è su quest’ultima che il giudizio estetico deve focalizzarsi (e si tenga presente che trasposizioni possono essere effettuate anche all’interno del medesimo sistema di significazione estetica: è il caso, per esempio, delle messinscene shakespeariane di Carmelo Bene, o dei remake di vecchi film).
D’altro canto, il confronto tra opera originale e opera trasposta è spontaneo e giustificato proprio in quanto parte integrante del procedimento creativo che ha portato alla realizzazione della nuova opera.
II.5 È da notare come, storicamente, tutte le Arti considerate “maggiori” facciano riferimento a quelli che vengono definiti sensi a distanza, ovvero: vista e udito. È questo probabilmente il motivo per il quale esse si sono potute affermare socialmente. Ed è anche il motivo profondo per cui molte opere d’arte che in passato avevano deliberatamente cercato di infrangere questo codice sociale hanno innescato reazioni di scandalo: vedi la Fontana/orinatoio di Duchamp o le scatolette di Merda d’artista di Piero Manzoni.
Ancora oggi, a settant’anni dal primo happening, e nonostante molte correnti artistiche si incentrino proprio su un coinvolgimento sensoriale “a contatto” del fruitore (a volte anche in maniera deliberatamente “violenta”), le reazioni di disagio dello spettatore, anche se non disgiunte da partecipazione fisica o emotiva – vedi alcune delle performance di Marina Abramović o gli spettacoli del Teatro del Lemming – si rifanno a quest’idea archetipica dell’arte come di qualcosa da fruire a distanza.
Ed è forse per questo stesso motivo che la Moda non è mai riuscita a entrare a pieno diritto nel novero delle Arti maggiori, così come la Cucina o l’arte della Profumeria – anche se è interessante sottolineare come negli ultimi anni artisti visivi come Rirkrit Tiravanija o Luca Vitone abbiano proposto esperimenti gustativi e olfattivi.
III.1 «L’arte non deve spiegare la realtà, e neanche prendere il posto della realtà, essa deve rappresentarla, metterne in scena le dinamiche, stilizzarne plasticamente la complessità: rappresentando la realtà l’arte rende possibile il contatto con essa, poiché è solo mediante un’attività di manipolazione che l’uomo può conoscere, può portare in superficie tutto ciò che dalla realtà assorbe inconsapevolmente» (Paolo Aralla, Dialogo immaginario sul comporre).
Gradatamente, si viene configurando un’idea di fondo sostanziale: che lo studio della Storia dell’Arte debba passare necessariamente attraverso lo studio dei meccanismi che regolano sia la progressiva appropriazione, da parte dei cosiddetti “artisti”, di determinati elementi di una sorta di continuum culturale (in senso antropologico), che la loro pertinentizzazione estetica da parte della società.
«Esiste un’interazione assai stretta, e a più direzioni, tra la visione del mondo, il modo in cui la cultura pertinentizza le proprie unità semantiche e il sistema dei significanti che le nominano e le “interpretano”» (Umberto Eco, Trattato di semiotica generale).
III.2 Se si pensa all’Arte come a una «metafora più profonda di qualcosa di cui la vita stessa è metafora» – il che è in fondo un’enunciazione metafisica dell’idea di appropriazione costante e progressiva del continuum culturale di cui si diceva sopra –, allora anche l’Arte deve seguire una sua evoluzione biologica.
L’artista è quindi colui che si inserisce in una Tradizione, si appropria dei suoi meccanismi formali di rappresentazione, e possibilmente ne amplifica la portata o li innova tout court, per rendere così presente un ulteriore barlume dell’Oltre, del Senso, del Mistero.
III.3 Di conseguenza, per un artista l’unica involuzione è la reiterazione.
Written by Sandro Naglia
Bibliografia
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Questi Appunti rielaborano e sviluppano riflessioni cominciate molti anni fa e riaffacciatesi periodicamente:
Sandro Naglia: Estratti da un’Estetica non scritta e altri saggi, Pescara, Tracce, 1985;
ID.: Apologie in Catalogo del Gran Premio Internazionale d’Arte Carrara-Hallstahammar, VI Edizione, a cura di E. Bogazzi, Avenza di Carrara, Interart, 1989;
ID.: Tre composizioni di John Cage in “Eunomio” n° 16, Inverno 1989/90;
ID.: Mann, Mahler, Visconti: “Morte a Venezia”, Pescara, Tracce, 1995 (nuova ediz.: Roma IkonaLíber, 2012);
ID.: Canto lirico e Antropologia Teatrale. Primi tentativi di accostamento in “Culture Teatrali” n° 6, Primavera 2002;
ID.: Festina Lente. Taccuini 1993-2007, Chieti, Tabula fati, 2011;
ID.: I paraggi e il mondo, Chieti, Tabula fati, 2014.