La casa dei Tarocchi #13: la poetica della Morte è medicamentosa
Scrive Giordano Berti nella prefazione a “Vit(amor)te” che senza dubbio “nelle arti tutto si rinnova sistematicamente a partire da ciò che preesiste: nella musica, nella danza, nelle arti visive, nella letteratura. Tra gli esempi più mirabili di questo continuo rinnovarsi, il Gioco dei Tarocchi è assolutamente emblematico”, e rimescolando le carte comprendiamo il Gioco della Vita.

Da dove arrivano i 22 passaggi di questa danza immaginale?
“Volendo datare un oggetto in una forma ben definita” scrive ancora Berti “si può dire con assoluta certezza che i Tarocchi nacquero nell’Italia del Nord nei primi decenni del Quattrocento. Erano un raffinato gioco di Corte, perché quelle immagini evocavano pensieri lontani dalla gente del popolo. Ben presto divennero un gioco d’azzardo e tuttavia i giuristi lo definivano in modo ambiguo dato che nel gioco dei Tarocchi si può vincere anche con pessime carte… come in guerra”.
Prologo
Meditare sull’assenza, cancellazione dell’Io, ipotesi di taglio netto.
Respirare.
Fare spazio nei polmoni affinché l’aria entri dal naso e percorra il nostro corpo vivo, i confini di pelle, la carne che abitiamo, e lo percorra in ogni angolo, lentamente.
Piedi, gambe, busto, collo, testa; lasciamo noi stessi in sospeso come l’Appeso prima di espirare.
Una, dieci, venti volte.
Stop.
E se fosse questo il nostro ultimo respiro?
Una danza quotidiana con lo scheletro ambulante
Meditare sulla Morte è un esercizio che può ben dirsi mindful, se impariamo a praticarlo correttamente, ovvero con l’immaginazione attiva, con il coraggio che solo Psiche può avere, quella forza che ci permette di accendere qualsiasi tipo di pensiero e di sensazione distinguendo quel che avviene nella mente da ciò che accade nei fatti.
Va compreso, l’esercizio di memento mori, va praticato per scelta al di fuori di tutti i protocolli già scritti, è un momento per concentrarci sul fil rouge che unisce il nostro essere al concetto di finale.
Riflettere sulla chiusura dei giochi ci aiuta a superare il terrore dell’abbandono di un Io dai confini spesso troppo angusti, dai limiti che per noi umani si irrigidiscono un po’ troppo facilmente.
“La meditazione sulla Morte è alternativa alla rimozione della Morte” scrive l’analista junghiano Claudio Widmann a proposito dell’arcano numero XIII. Pienamente consapevoli della nostra finitudine, potremo poi accogliere con serenità la presenza. Ritrovarci qui e ora, dire “Siamo ancora”.
“Speriamo che non mi esca la Morte”, o del perché questa carta ci spaventa.
“Quanto a te, Morte, e al tuo implacabile abbraccio, è/ inutile tentare di allarmarmi.// Senza esitare l’ostetrico compie il suo lavoro,/ vedo l’anziana mano che preme, riceve, sorregge,/ mi adagio presso le soglie delle preziose cedevoli porte/ e noto l’uscita, noto il sollievo e l’evasione.// In quanto a te, Cadavere, penso che sei un buon/ concime, e questo non mi offende./ Odoro le candide rose profumate e fiorite/ Mi accosto a labbra di foglie, tendo la mando alle lisce/ mammelle dei meloni.// Quanto a te, Vita, penso tu sia il residuo di numerose/ morti/ (Senza dubbio anche io sono già morto diecimila volte).” – estratto dalla poesia numero 49 di Walt Whitman, in Foglie d’erba, silloge rivista e riscritta dal poeta per tutta la vita, a partire dalla prima edizione anonima del 1855 fino alla nona, detta letto di morte del 1892, Fabbri Editore
Nei Tarocchi di Marsiglia, lo scheletro appena ricoperto di muscoli in decomposizione e residui di pelle è armato di falce; questa figura emblematica procede lentamente ma inesorabile lungo la strada nel campo della vita, come un giardiniere che sappia fare il lavoro per il quale è stato chiamato all’opera.

L’arcano francese non ha un nome. Senza Nome è l’epiteto con il quale la si tira in ballo – e non è un caso parlare di danza, pensando a quella manfrina che coinvolge poveri e ricchi, giovani e anziani, mendicanti e re nelle cinquecentesche macabre rappresentazioni del Nord Italia e in Europa. L’allegoria del caso dava al popolo l’idea di una comunanza di destino, una corrispondenza rassicurante forse, qualcosa che riportava tutte e tutti a una qualche unità, al di là delle personali visioni del Mondo.
C’è una coralità democratica evidente nella Totentanz; pare di udire, dentro gli affreschi che attraversano il tempo, un collettivo applauso valido per tutti, oggi come allora.
Consigli per l’ascolto: Totentanz (in italiano è la Danza della Morte) per pianoforte e orchestra composta tra il 1834 e il 1859 da Franz Liszt.
Senza Nome è, per me, la possibilità che il nome sia prima o poi quello di ognuno di noi.
Senza Nome è, per me, la rinuncia al nome compiuta dall’Appeso quando la falce della carta numero tredici taglia il suo cordone ombelicale per il grande sacrificio della rinascita.
A proposito di tagli, ne sa qualcosa Atropo; armata di forbici affilate, è dotata di un nome che rimanda al senso dell’inevitabile. Le sue cesoie sono strumento necessario quando occorre accorciare un tessuto, recidere un nodo, togliere un punto, mozzare il resto, rasare il troppo, abbreviare l’eccesso…
Ne sanno qualcosa gli scrittori, per esempio, e i poeti, ma anche gli oratori, gli insegnanti e tutti coloro che hanno a che fare con il rischio di lungaggine verbosa, con la ridondanza dei termini, con la prolissità egocentrica dentro e fuori dai libri, nei convegni, qua e là per i social network, in classe. Tic toc, suona la sveglia, è finito il tuo tempo, devi imparare a lasciar parlare anche gli altri, la concisione paga, viva la brevità.
Se esiste una sola certezza nell’esistenza di donne, uomini, animali, vegetali e, in generale, dei viventi, questa è la nostra comune amica che di numero fa tredici.
Il nome della Moira, figlia della Notte o, secondo alcuni, di Zeus e di Mnemosine, è anche il nome di una farfalla notturna degli Sfingidi (Acherontia atropos) dall’immagine evocativa; è chiamata anche Testa di Morto perché sul dorso mostra una serie di macchie nere che ci ricordano un teschio umano.
Nei miei corsi di Tarocchi e storytelling segnalo sempre un piccolo saggio edito tanti anni fa da Castelvecchi: “Necrocultura – estetica e cultura della morte nell’immaginario di massa”, di Fabio Giovannini (attualmente è difficile da trovare ma decisamente merita una ricerca). L’autore ci racconta come lo scheletro sulla nostra T-shirt, l’immagine cinematografica, il cartoon, la pubblicità e il programma televisivo esaltino spesso e volentieri soltanto la superficie della Nera Signora, lasciando sullo sfondo la potenza della stessa, ovvero ciò che ci terrorizza da sempre.
La nostra stessa fine.
Un altro libro davvero interessante, attualissimo, è quello di Davide Sisto, filosofo e tanatologo, che ci regala “La morte si fa social – Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale”.
“La morte non esiste più. Allo stesso tempo, però, viviamo costantemente circondati dai morti. Relegata lontano dalla nostra quotidianità, medicalizzata, espunta dalle nostre vite, l’esperienza del morire vive oggi una situazione paradossale, quando le immagini e le parole dei cari estinti tornano e irrompono all’improvviso dagli schermi dei nostri telefoni. Moriamo, ma continuiamo a esistere nella presenza ineliminabile della nostra passata vita online. Social network, chat, siti web costituiscono insieme, ad oggi, il più grande cimitero del mondo. Il territorio esplorato dalla fantascienza, dalla fiction e, recentemente, da una delle serie più perturbanti che mette al centro della sua riflessione il rapporto tra uomo e tecnologia, Black Mirror, sembra superato dalle nuove intelligenze artificiali. Sono già disponibili bot con cui dialogare e capaci di interpretare i nostri stati d’animo per poi sostituirsi a noi quando saremo trapassati, e continuare a parlare con i nostri cari; il profilo Facebook che consultiamo compulsivamente più volte al giorno, quando mancheremo, diventerà una vera e propria lapide virtuale, e i nostri amici potranno continuare a farci gli auguri ogni anno nell’aldilà. E ancora, il web è diventata la più grande piazza pubblica per celebrare il ricordo o condividere anche l’esperienza privata del lutto. Insieme piangiamo i nostri cari, insieme ricordiamo i nostri beniamini. Insieme, in un futuro prossimo, vivremo una seconda vita nella realtà virtuale”.
L’arcano tredici è qui per rammentare il taglio. Non c’è scampo; se vuoi percorrere tutta la via delle carte arcane, devi essere inesorabile. Persino le idee del tipo “Ma di certo c’è qualcosa, dopo”, “Io parlo regolarmente con i miei cari defunti”, “Secondo me non finisce tutto con la Morte” e simili, vanno messe da parte. Soltanto dopo l’esercizio di memento mori, se sarai ancora vivo/a, potrai pensare ad altro.
Ma sì, certamente.
Questo gioco vale anche per me.
Mi sono già messa comoda.
Siediti anche tu.
Respira.
Rifletti su queste domande:
- Quante e quali situazioni nella tua vita hai realmente saputo terminare?
- Cosa puoi definire in tutta sincerità davvero finito per te?
- Che cosa avresti necessità di tagliare in questo momento (relazioni, atteggiamenti, legami, impegni, modi operandi)?
- Se immagini la tua morte, quale aspetto di questo processo ti spaventa di più e quale invece ti attrae?
Divertente l’articolo di oggi, vero? Come ti senti? Chi arriverà in fondo al testo vince una resurrezione tascabile, una nuova carta del mazzo. I più coraggiosi tra noi potranno scoprire il seguito.
Scrive l’amica Giusy Samburgo di “A spasso col Bagatto” a proposito dell’arcano numero XIII: “Il fatto di non avere nome richiama la necessità di un grande lavoro sull’identità. È il momento in cui ci troviamo a chiederci chi siamo veramente.
Nella carta vediamo ritratto uno scheletro con una falce che miete un campo in cui ci sono mani, piedi e teste coronate che ci suggeriscono che attraverso un lavoro nella nostra natura profonda siamo pronti a lasciar andare i vecchi modi di pensare e di agire.
Il tredicesimo arcano dei Tarocchi pur richiamando l’idea della morte “non rappresenta una morte statica, uno stato definitivo, ma una morte dinamica, annunciatrice e strumento di una nuova forma di vita”.[1]
Poetica della Morte
Paura della fine giorno dopo giorno, parola della Nera tua Signora. Ringraziala nell’alba che risorge, nell’ora che ti dona ancora tempo.
Se la filosofia per Aristotele nasce da Thauma, la meraviglia e lo stupore di fronte all’ignoto, per produrre un pensiero che sia lettura sapiente e trasmissione di senso, invece la poesia a parer mio si dipana dalla stessa fonte per lasciare la parola in potenza. La parola poetica che porta la Morte in versi è metafora nuda e cruda ma non categorizzabile in modo univoco, come è proprio del simbolo, e si presta a lenire il perturbante utilizzando la stessa base di partenza, la stessa stupefacente meraviglia che ha dato inizio alla stessa poesia, così come fa l’alchimista con il veleno del serpente che diventa esso stesso balsamo curativo quando lo ha trasformato con le sue complesse azioni. Similia similibus curantur: la poetica della Morte è medicamentosa.
Poesia per curare la paura della fine:
“Quando muoiono i vecchi/ e i bambini domandano/ che cosa sia il morire./ In marcia con i bastoni/ al confine del bosco/ io gli parlo di marcescenza./ “Elegy written in a country churchyard”/ raccogliendo primule/ per l’insalata – dal muro/ cola la colla delle partecipazioni/ fresche come le uova dello zio./ Eccolo, il fratello della nonna/ e gli auguri dei nipoti/ – saresti tu – dico a mio figlio./ Lo posso vedere il cadavere?/ Curiosità infantile chiama/ odorama d’ignoto – sguardo/ tridimensionale sulla vita./ Perché no – e annusiamo la terra/ buttandoci a pesce giù nel prato./ Strisciamo come vermi/ parlando della talpa con il buco in pancia/ povera cieca stecchita al sole d’agosto./ Te la ricordi? Puzzava la nera/ creatura piccolina nella sera./ Corriamo – cinque anni e quaranta/ sette vite hanno i gatti, lo sai?/ Ma noi, prima della morte/ possiamo leggere tutte le storie/ per scrivere la sorte a colori./ Corriamo – il vento è buono/ per l’aquilone – e primavera pulsa.” – dalla mia silloge Vit(amor)te

La mia Senza Nome ci ricorda che il taglio della falce non è che trasformazione.
“O wild West Wind, thou breath of Autumn’s being”, recita Percy Bysshe Shelling.
L’albero in autunno perde le foglie ma il seguito è noto a tutti e lo sarà finché primavera si alternerà alle altre stagioni.
Ho scritto: “Tutto sembra immobile o troppo rapido. Nell’ora dei lupi la nostra forza è il contenuto nel contenitore, il fuoco che arde dentro il camino della mente, il restare saldi nel mutamento, disponibili al sacrificio ultimo dell’Io, prima di cambiare il mondo fuori a partire da dentro.
Non sono una grande giardiniera e nemmeno una piccola botanica. Quattromila metri di terreno nella casa nuova ed io procedo in punta di piedi camminando sopra i fiori, attenta a non calpestare coleotteri, timorosa di far male alle farfalle. Chiamo mio padre, ottant’anni e lo sfalcio facile, solo quando ho monitorato un pezzo, una radura, un angolo. Gli dico ‘Vai piano con il decespugliatore, vai pianissimo. Avvisa le api, fatti notare’ – lui sbuffa un po’ ma ubbidisce. Se fosse per me, non esisterebbero prati all’inglese in questo mondo.”
Eppure, ho imparato a tagliare quando occorre.
Concludo con le domande che ho posto a coloro che frequentano il gruppo Facebook Jodorowsky Italia, nel quale svolgo il ruolo di moderatrice: quante rinunce, quali tagli, che tipo di cambiamenti hai vissuto in questo lungo anno di Covid? La coscienza che parte dall’incontro con la carta numero tredici non fa sconti. Quando passa lei, è iniziata la Nigredo. Se ti fai capace di accogliere il memento mori, e non solo la gioia del carpe diem, rinasci ogni giorno. Il Rinascimento dentro di te passa dalla falce.
Non tremare, non avere paura, rallegrati! La vita, sia pure irreale ed effimera, rivela la sua maggior bellezza. Dandomi il tuo sguardo capirai finalmente quale miracolo sia essere vivi – così è, per Alejandro Jodorowsky, “La via dei Tarocchi”.
Written by Valeria Bianchi Mian
Note
[1] Jean Chevalier, Dictionnaires des Symboles, Robert Laffont, 1988.
Bibliografia
Fabio Giovannini, Necrocultura – estetica e cultura della morte nell’immaginario di massa
Alejandro Jodorowsky, La via dei Tarocchi
Davide Sisto, La morte si fa social – Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale
Claudio Widmann, Gli arcani della vita
Walt Withman, Foglie d’erba
Info