“Una vita” di Italo Svevo: un importante romanzo trascurato
Una vita, il primo romanzo di Italo Svevo, è alquanto trascurato dai lettori e sottovalutato da una certa critica, che lo considera un’opera ancora acerba.
Certo, Svevo progredisce notevolmente in ognuno degli altri due romanzi, ma il primo, la cui stesura fu avviata nel 1888, rivela uno scrittore già padrone dei propri mezzi. Avrebbe voluto intitolarlo Un inetto, per caratterizzare subito la psicologia del protagonista, ma al romanzo, già rifiutato dall’editore Treves e pubblicato a spese dell’autore nel 1892, Vram di Trieste impose il titolo Una vita. Era anche il titolo di un precedente romanzo di Maupassant, ma dobbiamo prestare credito a Svevo, che dichiarò di non conoscerlo nemmeno.
Poiché il personaggio dell’inetto ha avuto molta diffusione nella nostra letteratura di fine Ottocento e di primo Novecento, potremmo pensare all’atteggiamento provinciale di una narrativa avvitata su se stessa, ma sarebbe una valutazione errata, perché tale personaggio è presente anche nella letteratura europea. È stata la letteratura russa, e non l’Educazione sentimentale di Flaubert, a cui l’associazione mentale corre agevolmente, quella che lo ha inaugurato nel 1850, con il lungo racconto di Ivan Turgenev Diario di un uomo superfluo. A questo sei anni dopo seguì quel Rudin, protagonista del suo omonimo primo romanzo, che meglio incarna la malattia morale dell’intellettuale russo incapace di adattarsi alla società.
Alfonso Nitti, il protagonista di Una vita, presenta qualche indubbio tratto autobiografico: il lavoro in una banca e, soprattutto, l’ambizione di realizzarsi come scrittore. Di lui sappiamo quasi tutto fin dalla prima pagina, dalla lettera che scrive a sua madre, subito dopo essersi trasferito a Trieste, dove si è impiegato. La città gli ripugna per la sua aria contaminata, in banca si sente un tollerato dai fatui colleghi, la stanza dove alloggia è angusta. Il giovane rivendica con orgoglio la sua formazione culturale, contrapponendola all’ignoranza dei colleghi e dei superiori, che si preoccupano solo della loro immagine. Questa consapevolezza, che potrebbe suscitare qualche sorriso, non sarà priva di conseguenze nella dinamica narrativa.
Qualche critico ha riconosciuto tratti di familiarità di Alfonso con il Julien Sorel de Il rosso e il nero stendhaliano e l’Eugène de Rastignac del Padre Goriot balzachiano. Nitti, però, non è un loro erede diretto: non è un vero arrampicatore sociale ed è privo della determinazione che animava i due personaggi francesi.
Lo si può definire un nevrotico fragile e insicuro, che reagisce alle difficoltà della vita rifugiandosi nelle fantasticherie. È un caso clinico, di quelli così frequenti nella narrativa naturalistica? Una vita è un romanzo che rientra nella corrente del verismo? La data di composizione lo consentirebbe, perché fu iniziato l’anno precedente al Mastro-don Gesualdo verghiano.
La lettura del romanzo, però, non autorizza una simile ipotesi. La malattia del protagonista non è la conseguenza di una società ostile, che lo stritola con i suoi inesorabili meccanismi. Questa malattia è una sindrome di cui si ignorano le cause, un grumo oscuro di incoerenze e contraddizioni, che tormentano il protagonista, oppresso dalle sue tortuosità psicologiche e brancolante in un mondo non tanto ostile, quanto estraneo e indifferente. Anche gli altri lasciti del naturalismo in quest’opera sono più apparenti che reali.
Ciò vale soprattutto per la tecnica narrativa, l’uso di quel narratore esterno che garantisce il conseguimento dell’obiettivo di ogni scrittore naturalista, l’oggettività. Spesso, infatti, quello che nel romanzo sembra un narratore esterno è invece, sotto mentite spoglie, il protagonista stesso, che comunica attraverso non solo il monologo, ma anche il discorso indiretto libero, tratteggiando una definizione di se stesso che sollecita per vie traverse la considerazione del lettore. La rappresentazione della banca Maller, con i suoi mediocri travet e la routine del lavoro, è molto felice, ma è sempre filtrata dallo sguardo di Alfonso, come anche quella successiva della casa del banchiere. Le sue lenti non conoscono i colori, ma solo l’onnipresente tonalità del grigio, che riflette il suo perenne stato d’incertezza emotiva.
Alfonso è sempre consapevole del suo ruolo subalterno, tanto più quando viene invitato a casa di Maller, dove si confronta con una borghesia orgogliosamente consapevole della sua condizione di classe dirigente, che però non ha assorbito nulla dell’eleganza aristocratica. Snobisticamente essa si compiace di menzionare Balzac, ma non ha un’attrazione autentica per la cultura, e se accoglie il protagonista, non dimentica nemmeno per un istante il suo ruolo subalterno.
La sorpresa è costituita dall’imprevisto interesse che dimostra per lui la figlia di Maller, e dalla ragione di tale interesse, l’amore per la letteratura. Alfonso, però, ignora che l’invito a partecipare alle sue serate letterarie è stato suggerito dallo scettico avvocato Macario, brillante tempra di lottatore e predatore della vita – il contrasto tra due personalità molto diverse sarà approfondito in Senilità con il protagonista Brentani e lo scultore Balli.
Alfonso e Annetta tendono a obiettivi diversi: lui ambisce con il successo letterario a un riscatto di classe, lei a un riconoscimento mondano. Il romanzo che si dedicano a scrivere a quattro mani è un ibrido che non può pervenire ad alcuna compiuta realizzazione, per l’assenza di autentico talento letterario in entrambi. Nella trama di Alfonso è palese il carattere autobiografico (un giovane aristocratico decaduto cerca fortuna in città e sposa la figlia del suo principale), in quella di lei è riconoscibile un più romantico feuilleton (una giovane nobile tratta con disprezzo il ricco industriale che ha acconsentito a sposare dopo una delusione amorosa, ma alla fine riconosce le virtù del marito e il loro diventa un matrimonio felice).
Annetta è una rappresentante quasi esemplare della sua classe sociale: umorale, capricciosa, piuttosto spregiudicata, si è imbarcata in questa avventura letteraria per noia e la curiosità di condividere un’esperienza dal sapore romantico. Alfonso, invece, si attende di trarre concreti vantaggi dalla situazione, per quanto piuttosto confusamente – quando mai è limpida la sua consapevolezza delle cose?
La narrazione riserva un’ulteriore sorpresa: il suo corteggiamento approda alla seduzione di Annetta. Come di ogni sua azione importante, le ragioni di tale esito sono complesse: è innegabile il desiderio fisico di questa ragazza dalle forme aggressive, come il persistente obiettivo del riscatto sociale, ma sottende a entrambi la volontà di affermare la propria personalità contro le proprie corrosive insicurezze.
Questo incontro d’amore, consumato frettolosamente, comunque si rivela una delusione per Alfonso, che non prova alcun brivido di passione. Annetta, invece, ha finito col cedergli perché innamorata? Più probabilmente, ha assecondato la sua sensualità, invitandolo a questa prima e ultima notte d’amore, attratta anche dalla curiosità di un’esperienza che la morale perbenista del tempo considerava proibita. La sua partecipazione sentimentale, infatti, è decisamente scarsa: lei è visitata dal pensiero ricorrente di quanto perderà legandosi all’amante povero, e lo dimenticherà presto senza rimpianti, gelosa dei privilegi della sua elevata condizione sociale. In questa circostanza, singolarmente, Alfonso dimostra una vista acuta: “Non credeva che Annetta lo amasse; ella si era piegata alle conseguenze di un fatto irrevocabile”.
Da questo episodio, centrale nel romanzo, gli avvenimenti s’infittiscono. Invece di approfittare della situazione da una posizione di forza, Alfonso indugia in confuse elucubrazioni, cercando di convincersi che deve rinunciare alla sua conquista. Annetta in una lettera lo invita ad assentarsi per qualche giorno da Trieste, per poter rivelare la loro relazione a suo padre e acquietare la sua collera inevitabile.
Il giovane ignora che qualcuno ha tramato nell’ombra: Francesca, l’astuta governante di casa, la quale mira a conseguire il massimo vantaggio – il matrimonio – dalla sua relazione con il banchiere. La donna ironizza sul proposito di Alfonso di assentarsi, ma la sua considerazione è ispirata dal buon senso: la sua assenza permetterà al Maller di correre ai ripari, per coprire l’incauto atto di debolezza di Annetta. Ma il giovane accoglie con favore la proposta di Annetta, per sottrarsi a una situazione vischiosa, in cui teme di diventare un burattino della volontà altrui.
A casa lo attende un’amara sorpresa: aveva accampato un pretesto sulle cattive condizioni di salute di sua madre e scopre che lei è davvero ammalata molto gravemente. L’esperienza della vita a Trieste, quantunque di non lunga durata, lo ha trasformato in modo irreversibile: il paese, i suoi conoscenti, la sua stessa casa gli appaiono in una luce negativa, come se fossero sottoposti a un processo di rapida decadenza. Assiste, quasi con una desolata incredulità, all’agonia e alla morte della madre e, come in preda a una sorta di straniamento, allibisce baciando la sua fronte gelida: “Aveva baciato una cosa non una persona”.
I sentimenti non conoscono alcuna intensità in Alfonso, che li vive come rituali propri della vita associata: è illuminante, a tale riguardo, il suo stato d’animo al cimitero, dove si sorprende della latitanza di una commozione che si era aspettato. I suoi gesti non solo non sono provocati dai sentimenti, ma nemmeno ne sono accompagnati: anche quando, dopo la notte d’amore, per rispondere dalla strada al saluto della ragazza agita il cappello, compie questo gesto “ben trovato” solo perché si ricorda che così usava in amore.
È chiaro che per Nitti non esiste più la possibilità, che lui ventilava nella lettera con cui si apre il romanzo, di un ritorno al paesello natio dopo l’esperienza cittadina. Il trauma per la morte della madre è tale che lui si ammala fino a delirare. Fallita la via di fuga del ritorno alla quiete della campagna, al giovane non rimane che vendere i suoi beni e congedarsi definitivamente dalla casa paterna. Si accorgerà ben presto, però, che per lui non c’è più posto nemmeno in città. I suoi colleghi, che prima gli dimostravano antipatia, ora gli sono divenuti manifestamente ostili, e Alfonso, proprio quando ha abdicato ai suoi sogni di ascesa sociale e si è rassegnato alla routine del lavoro di banca, si ritrova, senza comprenderne le ragioni, degradato a un incarico meno remunerativo.
Le cose precipitano d’ora in poi per il giovane, che si distingue per la scarsa lucidità delle sue iniziative. In preda all’agitazione ha un colloquio con il Maller, dal quale esce senza essere riuscito a riottenere l’incarico precedente. Annetta, che è rimasta una fedele calcolatrice dei suoi interessi, personali e di classe, si è fidanzata con il ricco cugino Macario, e Alfonso non ha più l’opportunità di un colloquio con lei. La lettera che allora lui le scrive, nella quale la sua goffaggine raggiunge il culmine, viene intesa dai Maller come un tentativo di ricatto: la conseguenza è la sfida a un duello che gli viene lanciata da Federico, il fratello di Annetta.
Il successivo gesto estremo di Alfonso appare dettato dalla disperazione per l’incapacità di sostenere la lotta dell’esistenza, come può indurre a ritenere il concorso di autogiustificazioni di Alfonso. La sua, dunque, è una fuga, con la quale, però, egli rivendica la propria superiorità morale alla grettezza di ogni odio e sospetto. Questa autoesaltazione, per quanto patetica nel suo autoinganno, rivela il sussulto di dignità di un gesto al quale si può riconoscere una paradossale coerenza, tanto più sconcertante in una psicologia tramata d’incoerenza. Alla valutazione definitiva, il fascino del personaggio deriva dall’elusività delle sue ragioni, che mantiene intatta la ricchezza della sua complessità.
Alcuni anni dopo questa prova notevole, Svevo ci offrirà Senilità, attingendo a valori poetici ancora più intensi, in virtù di una composizione più compatta e serrata e di un personaggio femminile tra i più compiuti della letteratura italiana.
Written by Antonio Benedetti
Bibliografia
Italo Svevo, Una vita, Dall’Oglio, 1962
2 pensieri su ““Una vita” di Italo Svevo: un importante romanzo trascurato”