Franco Battiato, la cultura greca e la tensione con il divino
“Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire
Le luci fanno ricordare
Le meccaniche celesti” – da “Segnali di vita”, 1981
Il 18 maggio 2021 ci ha lasciati Franco Battiato, un maestro che non ha bisogno di presentazioni.
In questo articolo non voglio parlarne in generale, ma analizzare un aspetto della sua arte meritevole di attenzione quale la presenza di riferimenti al mondo antico. Faccio notare che seguirò un criterio tematico e non cronologico nella mia ricostruzione.
Posto che il mondo antico è presente in modo pervasivo nella sua arte, secondo me il brano da cui partire è senz’altro Casta diva, dedicato alla Callas (1923-1977) e inserito nell’album Gommalacca pubblicato nel settembre del 1998.
Già il titolo stesso è un omaggio all’antichità per diversi motivi. Innanzitutto la formula “Casta diva” viene mutuata dall’omonimo brano di Vincenzo Bellini (1801-1835) all’interno della Norma, interpretata anche da Maria Callas. Inoltre “Casta diva” è una formula adatta ai personaggi del mito. La stessa opera belliniana, del resto, parla di una sacerdotessa dei Druidi, Norma appunto, a cui si addicono tanto la castità quanto la divinità. Nell’opera, poi, la vera castità della sacerdotessa si declinerà sotto il segno del sacrificio.
Inoltre Maria Callas è greca. Il suo canto l’ha resa divina, perché nel mondo greco il canto rende divini ed è esso stesso divino. Nella cultura ellenica, il poeta realizza la sua opera ispirato dal canto delle Muse: se loro sono divine, lo è anche il loro canto e la poesia ad esso ispirata: del resto anche il poeta è un cantore perché la performance avveniva con accompagnamento musicale. Il canto poteva essere più o meno spiegato e il sottofondo sonoro più o meno invasivo, ma tutto questo accadeva per origine divina.
L’epiteto diva, inoltre (da divus) è connesso con divinus, deus e, come ho spiegato anche altrove, esprime la luminosità. Per portare altre argomentazioni alla mia tesa, basterà leggere il testo e evidenziare alcuni passaggi-chiave:
“Greca, nascesti a New York
[….] Fu un giorno che tua madre stanca dell’America e di suo marito
Prese i bagagli e le vostre mani
Vi riportò indietro
Nella terra degli dèi”
Risalta in posizione incipitaria il complemento predicativo del soggetto, così come l’espressione formulare, omerica, archetipica “nella terra degli dèi” per indicare la Grecia stessa; tipicamente greci sono il riferimento alla corporalità (“eri una ragazzina assai robusta”, dove robusta deriva da vis roboris ed indica la forza, evidentemente non solo fisica) e alla temporalità della cantante (“La tua temporalità mi è entrata nelle ossa…”); infine, tipicamente sotto il segno dell’Ellade è il dualismo tra l’umanità di Maria e la sua divinità, aspetto quest’ultimo continuamente espresso nel testo, quasi a diventarne parola-chiave: l’anello di congiunzione fra le due dimensioni (immanente e trascendente) è proprio la “suprema voce” dell’interprete.
Battiato sembra muoversi, platonicamente, tra la consapevolezza dell’immanenza e la necessità di superarla: e questa tensione, bellissima, sconfina talvolta nella prospettiva neoplatonica. Insomma l’artista catanese attraversa tutta la grecità, restando nella prospettiva unicamente ellenica, del duale, caso tanto raro quanto prezioso.
E allora come non lasciarsi andare a quella che è, secondo me, l’ode all’erotismo per eccellenza? Sto parlando del brano Sentimiento nuevo (uscito nel 1981 con l’album La voce del padrone).
Qui ci sarebbe davvero da scrivere capitoli interi. Già il titolo, straniero, introduce un elemento di esotismo, davvero significativo. Ci sono dei versi, in questo brano, che meritano solo di essere ascoltati senza spiegazione, ciononostante è possibile intuirne la forza.
Tale è il caso dell’affermazione “L’eros che si fa parola”; il testo prosegue poi sulla scia dell’esotismo e di una visione inclusiva del mondo greco, meglio ancora ellenistica, tale da cogliere aspetti universali dell’umanità, tutte riconducibili al desiderio erotico: in questo elemento generale trovano diritto di cittadinanza “i desideri mitici di prostitute libiche/ Il senso del possesso che fu pre-alessandrino”, e ancora “Lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco/ la lotta pornografica dei greci e dei latini”. In mezzo a questo elenco, non si può, però, non notare il riferimento a Ulisse: “La tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m’incatena/ Ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo/ È bellissimo perdersi in quest’incantesimo”. Quest’immagine è potente perché richiama anch’essa una situazione epico-mitologica a tutti nota, quella in cui Ulisse è tenuto ostaggio, durante il suo viaggio, da vari elementi di distrazione.
Stavolta egli è incatenato dalla voce delle Sirene, emblema per eccellenza della seduzione, dell’inganno, della possessione. Si tratta di un erotismo non volgare, ma nobile perché ad attrarre sono sempre voci divine, per quanto di divinità minori. Ma in Omero, si sa, tutto è “pieno di dèi”… Sulla persuasione delle Sirene ci sono studi di particolare rilevanza, su cui in questo contesto non posso soffermarmi.
Sempre sulla scia del dualismo di cui ho detto prima, il Maestro scrisse e cantò anche di forme di Amore più pure ed elitarie, tali da richiedere un maggiore sforzo di elevazione spirituale, in conformità con la nobiltà dell’amata/o. Sto parlando, ovviamente, del brano E ti vengo a cercare. Anche qui, in modo molto platonico, l’ascesa parte da una ricerca materiale: come nel Simposio, infatti il desiderio muove da una mancanza di bene, dato dalla presenza dell’amata “Perché ho bisogno della tua presenza”, una presenza subito nobilitata e finalizzata alla conoscenza di sé dell’io-lirico; l’amore come elemento di conoscenza è la filosofia la cui etimologia è proprio “amore per la saggezza”.
Il fatto personale porta il cantautore a una riflessione più generale: “Questo sentimento popolare/ Nasce da meccaniche divine”, dove il termine meccaniche è un grecismo da μηχανή ed indica il movimento da cui tutto muove; l’umanità e la divinità dell’amore così vengono percepite dal protagonista: “Un rapimento mistico e sensuale/ Mi imprigiona a te”. Torna l’elemento dell’incantesimo e poi l’ulteriore approfondimento platonico/neoplatonico: “Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri/ Non accontentarmi di piccole gioie quotidiane/ Fare come un eremita/ Che rinuncia a sé”.
Come nella speculazione greca, è la consapevolezza del carattere limitato e corrotto della temporalità, a spingere verso la ricerca della purezza: “Emanciparmi dall’incubo delle passioni/ Cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male/ Essere un’immagine divina/ Di questa realtà”.
Platone, che pure è ipercritico delle immagini, distingue tuttavia fra immagini che imitano il divino e immagini che imitano la realtà; le prime sono, ad esempio, le opere d’arte del mondo egizio, le seconde quelle del mondo greco; le prime Platone le loda, le altre le svilisce, in quanto distanti tre volte dalle idee pure.
Va anche detto e fatto notare che, così facendo, Platone rende l’arte “anestetica”: l’arte, se vuole avere qualche utilità nello Stato deve ispirarsi al divino e non all’umano ma, a costo della sua dimensione più apprezzata e più consona, quella spazio-temporale.
Per Platone tutte le forme espressive della propria cultura, soggette alle categorie effimere dello spazio e del tempo, sono da rinnegare, nonostante ai più piacessero e nonostante noi oggi ancora apprezziamo quelle espressioni.
Anche Franco Battiato, nei suoi brani non lesina critiche gli “addetti alla cultura” e ai “direttori artistici” che vuol mandare in pensione all’interno del brano Up patriots to Arms edito nel 1980 con Patriots; anzi altrove ammette con forza che siamo “sommersi soprattutto da immondizie musicali”, etichettando tutto ciò come “minima immoralia”: altra formula riuscitissima all’interno del brano Bandiera bianca pubblicato nel 1987 con la raccolta Nomadas.
Infine un tema che pure ritengo di grande importanza è quello del suicidio. Se si osserva il brano Breve invito a rinviare il suicidio (edito nel 2008 con L’ombrello e la macchina da cucire) si nota innanzitutto uno stile socratico: il maestro Battiato, infatti, l’io-lirico, pare concordare con il suo ipotetico interlocutore che “Vivere è un’ offesa che desta indignazione…”, quindi gli dà via libera a suicidarsi, tuttavia lo invita a rinviare: l’elemento chiave di questo discorso prima convergente e poi divergente, nonché elemento medio del sillogismo, è che, proprio perché si tratta di “una parvenza di vita” questa vita non merita il suicidio: se non è vita vera quella che viviamo, perché platonicamente immersa in ciò che non permane, non è ammesso poterne fare e disfare a proprio piacimento.
Questo brano lo accosto sempre all’Operetta Morale di Leopardi Dialogo fra Plotino e Porfirio, in cui il filosofo greco cerca di distogliere il suo amico dal suicidio, sempre mediante un dialogo filosofico serrato e argomentato, sempre condotto sulla scia dell’ironia socratica, per quanto sul solco di un inedito concetto di pietas, straordinariamente recuperato dal recanatese: suicidarsi non tiene conto del dolore degli altri, è egoista, è disumano.
In generale il tema del rapporto tra verità e apparenza è pervasivo di tutta l’arte canora di Battiato, come lo è il misticismo, inteso come tentativo di unificarsi con il divino; nell’ascesa verso la luce del divino è evidente la consapevolezza che i limiti della nostra condizione umana sono “solo l’ombra della luce”, analogamente alle ombre immaginate da Platone come punto di partenza per la costruzione del grande, immenso mito della caverna.
L’elenco e l’esame delle componenti greche nell’arte del grande maestro non è certamente esaustivo: ci sarebbero moltissime cose da dire. Io penso che la cosa migliore per captarle consista in un ascolto libero e disinteressato di tutta la sua discografia.
Bisogna udire con quella leggerezza e pervasività che si addicono alla danza, arte a cui il Poeta (perché tale è stato) ha dedicato l’indimenticabile Voglio vederti danzare (1982 con l’Arca di Noè), un autentico inno all’accoglienza verso gli usi e costumi degli altri, alla consapevolezza che ogni popolo, in modo diverso, ripete nella danza gesti simbolici rituali, dotati di senso; la danza, come ancora dice Platone, è uno dei modi in cui l’ordine divino si manifesta; l’importante è danzare con stile puro e non soltanto muovendo i piedi; del resto, presso i Greci, anche delle mani era detto che esse danzassero.
Written by Filomena Gagliardi