“The Eight Hundred – 800 eroi” di Guan Hu: Far East Film Festival 2021, Sezione Competition
Il Far East Film Festival di Udine, la cui sesta edizione consecutiva Oubliette Magazine segue da vicino, questo 2021 vive in due proposte parallele: una in presenza, presso i cinema Visionario e Centrale, e una online, nelle sale virtuali di MYmovies. A onor del vero, si specifica subito che la rubrica odierna nasce dalla visione delle opere di cui è possibile fruire sul web giovando dell’accredito Web Snake.
Il primo titolo in programma non è propriamente il film d’apertura ma, in linea con la maggior parte dei kolossal delle annate passate, se non gli fosse stata preferita l’ultima fatica di un gigante come Zhang Yimou (“Cliff Walkers”) avrebbe potuto senza dubbio ricoprirne il ruolo. A dirigerlo è Guan Hu, conosciuto principalmente per “Mr. Six” (2015) e da tempo avvezzo a costose e impegnative produzioni.
Non appena presentato al FEFF, “The Eight Hundred” (in mandarino “Ba bai”) approda anche nelle sale italiane col titolo di “800 eroi”, distribuito in versione doppiata da Notorious Pictures, e intende narrare un episodio della seconda guerra sino-giapponese (1937-1945) assai noto in patria ma difficilmente rammentato all’estero.
Non è il primo film sull’argomento: già nel 1938 il mediometraggio “The Eight Hundred Heroes” (orig. “Ba bai zhuang shi”) di Ying Yunwei e circa quarant’anni più tardi l’omonima e ben più estesa realizzazione di Ting Shan-hsi (1976) avevano per oggetto la strenua resistenza contro l’offensiva nemica da parte del 524esimo reggimento dell’88esima divisione dell’ERN (Esercito Rivoluzionario Nazionale).
All’inizio della tragica avventura, ottocento soldati cinesi sono rinchiusi nel magazzino Sihang (le cui spoglie sopravvivono oggi sotto forma di una specie di mausoleo), deposito di munizioni, razioni di cibo, forniture mediche e di altra natura e quartier generale della predetta divisione situato sulla sponda del fiume Suzhou opposta al cuore di Shanghai: da una parte un paradiso colorato, abitato da una classe benestante che ama assistere agli spettacoli danzati, tentare la fortuna al casino, accudire animali esotici, mentre dall’altra, semplicemente, l’inferno.
Contando su un solido equipaggiamento di armi tedesche e soccorsi da alcune truppe supplementari, questi uomini incarnano in realtà l’ultima, esile speranza nutrita dai civili a seguito del massacro complessivo di ben 700.000 militari connazionali. L’esercito imperiale, superiore sotto ogni punto di vista, non può essere vinto e un pugno di combattenti non è in grado di cambiare le sorti del conflitto.
Tuttavia, alla resa gli 800 “eroi” preferiscono una battaglia d’onore, proteggere la bandiera anche a costo di ingaggiare una lotta suicida, ora mantenendo un atteggiamento difensivo sotto il fuoco imperversante dei cecchini, ora gettandosi sulla falange avversaria come kamikaze, in ogni caso desiderando ardentemente di lasciare un segno nella storia e rendere orgoglioso il proprio popolo.
Guan, che con la commedia nera “Cow” (orig. “Dou niu”, in concorso nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia del 2009) aveva già trattato della seconda guerra sino-giapponese, in veste tanto di regista quanto di sceneggiatore non manca di porre l’accento sulla doppia dimensione spettacolare della vicenda: trattandosi di un poderoso dramma bellico, ricorrono spesso sequenze di appassionante dinamicità, rumorose, violente e realistiche; ma trattandosi anche della ricostruzione di un fatto storicamente ben documentato, viene messa in luce la subdola inclinazione degli osservatori delle nazioni occidentali, arroccati sull’altra riva del corso d’acqua così come in cielo a bordo dei loro dirigibili, dei fotoreporter e di certi spregiudicati cittadini di Shanghai a prendere lo scontro per una sorta di spettacolo.
La descrizione, il racconto, la ripresa ravvicinata del teatro di guerra sono intesi infatti a influenzare le mosse politiche sul tavoliere internazionale e non sempre, come invece s’impegnano attivamente a fare i patrioti che cooperano con generosità fornendo cibo, denaro e altri beni di prima necessità, sembrano realmente interessati alla vittoria delle truppe cinesi.
Stendendo un velo sulla presenza ignominiosa dei disertori, fra i quali pure si distinguono uomini che non hanno mai preso parte alla milizia, i quali quindi magari non credono neppure di saper premere un grilletto, l’immagine che si pretende di restituire è quella di un’autentica “spina dorsale della nazione”, la maturazione di uno spirito di sacrificio tale da divenire un monumento per le generazioni future.
Il cortocircuito risultante è evidente: da un lato il dovere di cronaca spinge a riproporre la lettura degli avvenimenti conservando almeno in apparenza uno sguardo critico, dall’altro il tono propagandistico della rappresentazione, che mira realmente a offrire un modello di eroismo da emulare, oggigiorno, in qualche misura, rischia di danneggiare in partenza i migliori propositi.
Nonostante ciò, “solo” due ore e mezza del metraggio complessivo sono state risparmiate dal selvaggio abbattersi della censura, che ha imposto un sensazionale rinvio della distribuzione di circa un anno (forse ironicamente a vantaggio del film stesso, il quale, nell’anno della pandemia, ha conquistato le vette degli incassi mondiali distanziando di non poco l’industria hollywoodiana).
Voto al film:
Written by Raffaele Lazzaroni
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Rubrica Far East Film Festival