“Le tre resurrezioni di Sisifo Re” di Cosimo Argentina: due versi del medesimo giro
“Questa donna è magia. Rattrappita sopra di lei la stanza è una salvietta finita sugli occhi di una dea.”
Frase che, comunque la giri, vuol dire sempre altro. Finora la scrittura è questo: altro.
La realtà è deformata e induce a un’ironia che deforma la sua rappresentazione. A cosa miri lo scrittore lo scoprirò (oppure no) solo leggendo.
“Sisifo ha delirato di arcobaleni neri. Il fato è un nemico invalicabile.”
È l’eterna illusione dell’eroe, colui che osa opporsi al non opponibile. La Sorte viene quotidianamente valicata perché c’è sempre qualche scarto di demone che ci pungola col forcone. In noi risiede la minima speranza di una partecipazione al destino, quel che si chiama risibile e libero arbitrio. Se ne può anche ridere, ma solo quello ci rimane.
Io non credo al Fato, ma al Destino sì: forse non meno falso, ma più umano.
“Tra qualche giorno ci sarà un omicidio.”
L’uomo fa sempre previsione e il suo scopo è uno solo: fungere da Dio Fatale. E immaginarsi d’essere l’uomo del Destino.
“In strada uomini colpiscono altri uomini. La morte del direttore ha scatenato la nuova guerra: tutti contro tutti. I signori delle battaglie sono i tre figli del tiranno.”
La storia si ripete: la famiglia, diceva il mio amico Gino, è la più grande fabbrica dell’ingiustizia. Tu preferisci comprare un computer a tuo figlio piuttosto che dare una caramella succhiata al figlio di altri.
Se poi vi sono più figli, talvolta capita che qualcuno si senta più meritevole dell’altro, o più vittima di ingiustizie.
“Una parte della città in fiamme. I bastardi si amputano l’uno con l’altro e divorano altri uomini.”
È una distopia quotidiana. Non è un’utopia, un non luogo, né un’eutopia, bel luogo, ma il brutto luogo che invade la nostra esistenza, che c’è sempre stata, c’è tuttora e ancor di più ci sarà, in forma non uguale ma omogenea a quella vigente.
Niente cambia, se tutto muta. La gramigna che abbonda in un campo non arato, prima o poi cambierà qualche gene, ma sempre erbaccia sarà. Estirparla diventa obbligo civile e demenziale.
L’io narrante è “Oh-Oh, ovvero Oscar Orano…” che ha “sposato Dori”, ma “lei mi ha sodomizzato l’anima.” – una felice a suo modo felice, finché dura…
Lo scenario è una megalopoli che si chiama Apulia, di 40.000.000 “di esseri viventi che strisciano sul catrame bagnato leccando l’asfalto e mormorando preghiere laiche.”
In una distopica immagine si può ricreare quel che è già: un villaggio globale il cui centro potrebbe anche non esistere, tanto a Trani, quanto ad Atrani, tanto a Collevalenza quanto a Colle di Val d’Elsa, tanto a New York quanto a Reggio Emilia, o a Reggio Calabria: un’unica città che non ha senso chiamare megalopoli se non ne esistono altre nei pressi.
Ma tutto è relativo, diceva mamma mia, mamma mia!, e che: a gh ē Gavâsa, il suo luogo natio, e po’ Parìgi… e poi Apulia…
Da tempo colleziono definizioni divine: “sapiente è colui che connette la propria natura umana al vissuto di Dio. Dio è un ipermercato del cosmo vulgaris… Io sono un microgranulo sfuggito alla mattanza del padre celeste e…”
A Reggio, città del peccato, c’è chi impreca in modo simpatico. Dio diventa zio: zio cân! Oppure un cinguettante volatile: Dio canarèin. O una località il cui CAP è 42019: zio Scandiân!
Similmente, non si augura un cancro al nemico, ma un più letale camion: Che ‘t gnèsa un camios! Accidente da cui non si guarisce, se ti prende in pieno. Si tenga presente che noi arşân abbiamo sangue etrusco, gallo, goto, con la giusta nuance di Unno che ci rende particolarmente freschi e bellicosi.
Non per niente la Città ha partorito il maggior numero di partigiani (reggiani), opportunamente stagionati, che qualunque altro luogo al mondo, e di brigatisti. Reggio, che non dispiacque a Montesquieu, ha origini contadine, ma né cappeddu fa galantuomu, né birrittu fa viddanu. Per questo non porto mai il copricapo. Né credo in Alcuno. Però tengo controllati i confini di casa mia.
“La città è un’enorme striscia di terra una volta considerata una regione.” Apuleia.
A Reggio ho conosciuto i miei primi Apuleiani. Poi è arrivato il grosso della tribù. Un certo Mele, ginosiano, una volta mi stupì, dicendomi: ‘na vôlta a Rèş a gh èren mia tânt taròun cma adèsa! Temo che anche la mia città sia presto invasa da topi, stigiani odianti e… Chi vivrà, convivrà.
“In prima fila quelli della omicidi, sette spietati cacciatori di taglie con a capo il Tenente Sisifo Re in persona.” Re è forse un cognomen, acquisito chissà quando.
La scrittura di Cosimo/Orano/Oh-Oh è sincopata e spesso interrotta dagli eventi. Non sono rare frasi amputate come: “Storie! L’alcol è un vettore per…” oppure: “… e un po’ d’olio chimico per lei sicché…”, o anche: “– I grandi predatori attaccano di notte… La notte è…”, e poi, ma non è di certo finita la serie: “Secondo me questo caso è…”
Ecco ora una mezza speranza, si fa per dire: “… e allora i bambini sono la risp…”
Ormai le generazioni riguardano non le persone, ma le tecniche.
“Sul video appare una donna tutta chioma platino e zigomi potenti. Una rifatta di seconda generazione. Il viso di plastica sarebbe bello se non fosse che rispetto che alle rifatte di quarta generazione…”
Il globo è vuoto di simili e trabocca d’anime altrui: “Nessuno conosce nessuno ad Apuleia. Un nome è un connotato. Polacchi, dervisci, ugonotti, lettoni, turcomanni, afrogiamaicani, ittiti, siberiani… li puoi trovare tutti se osservi bene e se conosci un po’ di etnologia.”
Usuale scenario in un mondo dove la stranezza è la stramba quotidianità: “Il cielo è una cataratta dentro un fiore elettrico.”
Il socratico Conosci te stesso è ormai un mito risibile: “… sono uno stupido, ignoto a me stesso fin dalla nascita, credo…”
Sisifo Re, l’eroe, è molto ben messo (antifrasi), ma è consapevole di essere “Impazzito! Già… Ma tu non conosci il piacere del sangue che è simile a quello del… Morire in un’orgia di sangue è…”
Eccitante?
Nella mistica indù, fra le coppie di opposti, oltre alle direzioni, ai soffi verso l’alto e il basso, fra il punto dello spazio e il suo suono, il sole e la luna, la vocale e la consonante, c’è lo sperma e il sangue.
“Sergente Oscar Orano! Di madre irlandese e di padre ignoto!” – come dire figlio di puttana in senso letterale!
“La battuta sul mio genitore non mi mette mai di buon umore…”
Non mi è chiaro, né lo sarà mai (ma perché poi si dispera a ogni minimo problema esistenziale?), il motivo per cui il discorso di Oh-Oh sia talvolta in prima, poi in terza, poi ancora in prima, prima in corsivo e poi in carattere più o meno normale, poi ancora in corsivo.
È lui l’homo ex machina, che fa da tassista esistenziale al protagonista Sisifo Re.
“Wolfango Tho si è tolto la vita in carcere.” – uno derelitto in meno, viene da dire – “Oppure l’hanno ammazzato.” – L’importante è che non…
“Wolfango Tho ha ancora la bocca piena del sangue maligno. Non si è lavato e non ha bevuto nulla. Vuole baciare Dedalo per restituirgli il sangue che gli hanno usurpato.”
E perché varia ogni volta quel quid che ingolfa così tanto l’anima?
“Pare che prima di morire Wolfango Tho vi abbia chiesto asilo politico per cinque delle sue battone.”
Ma non è detto che farà in tempo a…
“Wolfango Tho cerca nella notte, ma alla fine è in un kebab point che termina la sua passio christi.”
Quella forza centrifuga di abominio semiumano e bestiale “ha un pensiero costante: Dedalo.”
Questo romanzo è un dedalo che si attorciglia su vari livelli spazio-temporali.
“È tutta una finzione. Il mondo è una sfera finta, una ladrata, una buffonata gonfia di nulla, ve lo dice un fottutissimo irlandese con precedenti penali.”
Magari ci fosse il Nulla, ci sarebbe il Tutto. Anche il Nulla è una finzione. Come il Tutto.
“… e mi trascino dietro Sisifo deformato e sanguinante, i capelli verdi impazziti e gli occhi bistrati spavaldi e famelici come quelli di un lupo pronto a trangugiare il plasma dell’impiccato.”
Secondo gli strizzacervelli, il verde può indicare rinnovamento primaverile o putrefazione, derivando da vis, forza, energia. Dipende da quale orientamento assume.
“Spinge pietre immaginarie, il mio capo, e lo fa con la testa verde in fiamme e gli occhi vacui di chi sta esalando l’ultimo respiro.”
Non ci sono più i condottieri di una volta.
Ora annaspano in discorsi mortiferi: “I cavalli sanno dove si trova il nord magnetico e i druidi si cerchiavano il…” – discorso destinato a finire in (quasi) nulla.
Re Sisifo “è più morto che vivo.”
Quando la truppa è allo sbando, urge un eroe venuto dal basso, anche se figlio di troia.
“Parlo a un Sisifo morente. Parlo a lui ma è più per ordinare la mia mente. È a me stresso che parlo e a lui non fa male ascoltare nella subcoscienza quanto ho da dirgli a proposito di…”
Requiescat in pace, anche se non è ancora andato colà, ma solo schiavo dalla malattia di Morfeo.
“La Città Vecchia brulica di venditori di pesce.” Pagine addietro si diceva che “La Città Vecchia è il luna park dei maniaci e dei tossici dell’intero territorio sudoccidentale della nazione.”
Vai a Bari, a Taranto, a Brindisi, è c’è questa figura mitologica detta Città Vecchia, che cela, nell’immaginario apuliano, tutto il fulgido e l’orrido della specie umana: piccola criminalità, monumenti incliti, spazzatura che sborda, castelli memorabili, duomi bianchi e antichi che si differenziano da cattedrali più recenti ma non meno candide, che fanno perdere la bussola a ignavi turisti. Vedi Molfetta e ti perdi in un bicchier di negroamaro.
Tua moglie è di Brindisi?, chiesi a un amico. L’offendi!, mi rispose accigliato, è di Taranto! Non capendo che per un ingenuo arşân le due città paiono ugualmente belle, immacolate e vetuste.
Gli apuliani sono tanto critici quanto orgogliosi delle loro intime peculiarità.
“Ne esce Sisifo Re. Elegante e sensuale, trasmette all’istante un senso dell’onore nei suoi uomini che mette la pelle d’oca anche a un veterano scafato come il sottoscritto.”
Oh-Oh qui, Oscar là! Sempre figlio di battona irlandese però!
“Il professor Zoro era già una leggenda.” – come un sacco di gente da queste bande. “Odiava i cattedratici e sognava il fango dei cimiteri, il sangue rappreso degli obitori, le bave filanti dei corpi dilaniati nell’oscurità. Aveva accumulato studi, pubblicazioni e omaggi a Cesare Lombroso.” – l’unico e deprecabile autore citato.
“Dedalo è un cigno sgozzato. Piacere e dolore s’intrecciano dentro quella che alcuni chiamano anima. Anima: un immaginifico verminaio celato da organi, arterie e sistema linfatico” – perché l’anima è il corpo dicono i Geoviani.
“… un guerriero venuto da un passato immagino sepolto bei libri di storia e nelle leggende raccontate a fanciulli ansiosi solleva le braccia e mostra una tavola di quelle usate per dominare le onde del mare. – Cristo irlandese! Wolfango Th…”
Forse è ma “non importa che sia un sogno o un incubo derubricato. Resta il fatto che la mano mi trema nel…”.
Questi sbalzi temporali fanno starnutire lo spirito.
“È il vostro pavido Oh-Oh che vi parla. Sono un fottuto chiacchierone anche perché devo sopperire agli spigolosi silenzi di Sisifo Re…”
Che si tratti del medesimo Re può suonare ardito: “Ingoio un paio di pasticche della mia riserva aurea e viaggio alla velocità della luce accanto a un Sisifo Re dominante, il vero maschio alpha del genere umano.”
Però inappetente: “Il mio capo non tocca cibo. Io ingollo anche la sua porzione.”
La faccenda non si complica, si dimezza.
“Ninochka sta immobile. La sua testa è stata segata in due da un complicato meccanismo di lame e morsetti. Ora resta aperta, ma salda sul collo grazie a una crav…”
Tótt à fîn, diceva mamma mia. Mamma mia!
Basta poi ricominciare altrove. Poi nel senso di Altrove.
“Dori, l’amore della mia vita, l’unica ragione della mia altrimenti disarcionata esistenza, è ripiegata sulla scrivania. La monta da tergo un sacerdote grasso e col doppio mento…” – che Dori, che non è Dori, chiama Dedalo.
Dirà: “Perché hai ucciso Dedalo? Perché hai ammazzato il don?”
Domande che rimarranno senza risposta, se non quella per default: era inevitabile.
“Guardo l’angelo. La botta gli ha fatto protendere le braccia in avanti. La testa resta sospesa nel…”
E intanto quella che pare “Dori è sotto shock.”
Ma se “non è Dori quella che si mette in piedi a fatica e muove alcuni passi verso di me. È una troia degenerata allevata dal Dio serpente Volfango Tho.”
Che fare?
“Le sparo alla schiena.
Bum!
Un solo colpo. Un verdetto inapp….”
Il bello della scrittura è proprio questo: si può passare da una storia all’altra, fingendo che siano entrambe vere. Le parole sono pietre e si possono spezzare.
“Dal nulla è apparso un immenso anaconda che ha afferrato Wolfgango Tho con le sue mandibole titaniche.”
Uno dei tanti possibili Wolfgango Tho.
“L’ultima vittima si chiama Nina, uomo! Nina!”
Non Dori, superfottuto di un irlandese!
“… due colpi di fucile di quelli buoni mandano al creatore la preistorica creatura. E nello sbrindellargli il corpo faccio saltare in aria anche quello di Wolfango Tho, che ammazzo una seconda volta.” – anche lui requiescat in pace, per il momento almeno.
Il problema è quello: c’è una miriade baluginante di momenti possibili.
Altro detto arşân: a gh ē piò tèimp che véta! – il tempo scorre imperterrito e prosegue in varie direzioni, anche nella mente di ognuno, poi esso continuerà fischiettando in quella di Altri.
Ma anche: cogli l’attimo, e donagli tutto il tempo che vuoi, ché la vita è breve!
“L’umanità e le tenebre stanno spalla a spalla fin dalla notte dei tempi. Tra le due realtà e su di loro il fiato tropicale degli esseri alati. Dedalo ha il volto chiazzato di sangue…” –Quel Dedalo…
“Dedalo, questo è il nome dell’angelo, si trova lì, da qualche parte, accanto alla ragazza…”
Che dire del romanzo distopico ma non troppo di Cosimo? Che è realistico. Non c’è null’altro che la realtà, non interpretazioni ufficiali della stessa, opinioni, se non quelle che sfuggono a Oh-Oh in quell’immenso bistrot è che è l’esistenza umana.
Vorrei ringraziarlo (Oh-Oh) di aver inserito soltanto due realtà parallele, la terza mi avrebbe ancor più stordito.
Leggere e scrivere sono due versi del medesimo giro.
Quello si richiede a una finzione, di renderci sciocchi come tordi per farci infilzare da una Storia che immaginiamo Una, Eterna, Infinita, ma soprattutto Santa, e non soltanto un’Idiota ed Empia Illusione.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Cosimo Argentina, Le tre resurrezioni di Sisifo Re, Meridiano zero, 2016