Meditazioni Metafisiche #32: la nostra esistenza è un delicato equilibrio
La nostra esistenza è un mistero. Ci troviamo in questa dimensione terrena senza sapere se eravamo prima e cosa eravamo. Vedendo gli altri, sappiamo che dovremo addormentarci del sonno della morte e terminare l’esperienza senza sapere con certezza cosa sarà di noi o se ci saremo ancora. Tra nascita e morte si profilano agli occhi della nostra mente concezioni assai variegate, dal vivere una vita in preda ai piaceri o seguire la cosiddetta retta via, e così via.

Noi siamo preda del destino o di una volontà superiore che i più chiamano Dio, al quale molti danno una formalità religiosa però non accettata da altri. Entro le religioni esistono i cosiddetti “miracoli”, parola che deriva dal latino nel senso di qualcosa che desta meraviglia. Ogni religione ha fatti straordinari ottenuti dalla divinità o da suoi emissari. Il cristianesimo riconosce che Dio può operare miracoli direttamente oppure per mezzo di angeli, defunti, uomini in vita. Addirittura Agostino diceva che senza miracoli non avrebbe creduto. Secondo la teologia cristiana, il miracolo non è la causa efficiente della fede, prodotta dalla grazia divina, ma costituisce sempre un aiuto, a volte molto grande.
Ma non ci accorgiamo che il più grande miracolo che ci possa essere è la vita stessa. Nasciamo da due volontà che non sono le nostre, forse anche da quella di Dio, e veniamo catapultati in un mondo che non abbiamo creato noi, anche se poi dobbiamo lavorare per il suo perfezionamento. È quest’ultima una idea molto presente nell’ebraismo, per cui le buone azioni servono a rendere perfetto il mondo. Nel secondo versetto del primo capitolo della Genesi è scritto che la terra era in confusione, in ebraico tohu. Si tratta di una confusione che tutti vedono, cioè quella fisica. Ma il presente versetto cela una confusione nascosta: “e la terra era tohu”, in ebraico wha’arets haietah tohu, dove le lettere iniziali w, h, t danno di nuovo la parola tohu. Questa seconda tohu, “confusione”, è nascosta, criptata nel testo, non si vede, cioè è quella spirituale. La malattia fisica è una confusione sotto gli occhi di tutti, ma la malattia spirituale c’è pur essendo celata agli occhi. Il dovere dell’uomo è di portare in questo mondo l’ordine sia a livello fisico sia a livello spirituale. Gli uomini devono tendere a porre ordine alla creazione con le loro opere buone, gradualmente, fino a che il Messia, quando verrà, lo compirà in maniera totale.
Tuttavia il mondo non lo abbiamo prodotto con le nostre mani. C’è “per miracolo”, anche nel senso che è qualche cosa di meraviglioso. In tutto ciò che ci circonda, da una pianticella alla donna amata, c’è sempre qualcosa di meraviglioso, però spesso assieme a tanto dolore, come amava ricordare Leopardi.
Annibale di Francia diceva che in ginocchio si vede più lontano. Non si tratta della umiltà detta “pelosa” di chi fa mostra delle proprie presunte virtù cristiane facendo finta di ritenersi poca cosa, tradendo in questa maniera la virtù stessa, ma della retta considerazione di ciò che si è.
I mistici dicono che la vera umiltà è avere su di sé lo stesso sguardo veritiero che ha Dio. È insomma sapere esattamente chi si è. E questo è fondamentale nella vita per la semplice ragione che la felicità non dipende dal denaro, dal lavoro, dal successo esteriore, dai fan: possono essere certamente tutte cose utili, quando non sono paradossalmente un ostacolo. Ma la felicità dipende essenzialmente dalla retta accettazione di chi si è. Ma prima di accettarsi bisogna conoscersi esattamente.
L’uomo ha limiti indiscutibili, diciamo oggettivi, se ha ancora senso parlare in questi termini. Limiti fisici evidentissimi, limiti conoscitivi (la ragione è sempre poca cosa, quindi chi dubita dei risultati della propria razionalità si avvicina di più al vero), limiti spirituali (l’uomo ha sempre la tendenza al male e quando fa il bene lo fa con quella “falsa coscienza” di cui parlano i filosofi, per cui persegue più di un obiettivo).
Ma l’uomo ha anche qualità che lo rendono grande, secondo altri aspetti. La mente umana è sempre straordinaria, ma se, come fa il sistema scolastico attuale in Occidente, esso livella tutti allo stesso modo, non fa emergere la cifra geniale che ognuno di noi ha.

La donna ha una tendenza maggiore all’amore e all’affetto, correlata con la maggior presenza di recettori della dopamina nel cervello. In un mondo nel quale, come diceva Fromm, il problema principale è quello della solitudine, solo l’amore sensuale, filiale e amicale ce la fa superare, oppure quello verso Dio. Sin dall’adolescenza la donna inizia a costruire universi simbolici nei quali predomina il sentimento, abituandosi profondamente a vedersi come una creatura che dona, particolarmente nei confronti della prole, che ama in maniera incondizionata, invece l’amore paterno è condizionato. Non solo, ma l’amore di una madre verso i figli è di solito totalizzante, tanto che la misura affettiva tra padre e figli è quella concessa dalla madre. Non si può capire l’amore di una madre senza essere madre: è qualche cosa di talmente viscerale da assomigliare a un prolungamento del rapporto sessuale. Per l’uomo l’amplesso dura qualche minuto, invece la donna lo estende fino a tutta la gravidanza e ai primi sedici anni di vita del figlio. Diversamente il maschietto in quella età particolare dell’adolescenza pensa allo sport o alle moto. Da grande il maschio dimostrerà di avere maggiormente la capacità di trasformare gli avvenimenti a proprio vantaggio, un po’ come il Faust di Goethe che, nonostante il patto con il diavolo, capovolge la situazione e usa il diavolo per fare il bene agli altri. Invece la donna, se è propulsiva nell’adolescenza, tenderà in seguito ad essere più passiva in certi ambiti.
Un’altra caratteristica meravigliosa della mente è la sua capacità di relazionarsi adeguatamente al mondo esterno, cosa che viene detta intelligenza. Oggi ci sono molti studi sulla intelligenza dei cani, dei delfini, delle scimmie, dei corvi, dei polpi. Soprattutto i mammiferi sono intelligenti, il loro comportamento non è dettato solo dall’istinto. Hanno una psiche vera e propria, per questo problemi nell’ambiente nel quale vive possono indurre nell’animale un adattamento erroneo, spiegato come alterazione psichica, per esempio un cane lasciato solo manifesta la sindrome da deprivazione con tendenza alla depressione oppure un gatto che soffre va in ansia spesso con conseguenti problemi urinari oppure inizia a grattarsi facendo infettare le ferite con la produzione di dermatiti anche rilevanti.
Ma l’uomo è molto più intelligente di un animale perché non solo vive un ambiente a cui si adatta bensì crea un ambiente adeguato alle proprie esigenze dopo averlo esperito. L’intera gravidanza serve alla madre per prepararsi psicologicamente a relazionarsi al figlio. Il padre fa una cosa analoga. Non si nasce genitori ma si impara ad esserlo passo dopo passo. Il figlio a sua volta impara a relazionarsi al mondo esterno adeguandosi innanzitutto ai genitori: il padre dà al figlio i valori del mondo esterno, la madre quelli del mondo interiore.
Ogni persona ha poi una sensibilità diversa, infatti esistono diversi tipi di intelligenza, non tutti hanno in larga misura quella di capire le persone, anche se è presente in tutti, si chiama “teoria della mente”. È facile sgridare un bambino, ma solo chi ha in larga misura una intelligenza relazionale intuisce che il bambino va innanzitutto capito nei suoi bisogni. La stessa cosa con l’anziano: il corpo dell’anziano è fragile (per questo è molto esposto agli effetti collaterali dei farmaci) e la psiche tende ad essere più emotiva, più impacciata, più depressa e meno socievole. Oltre al fatto che a volte l’anziano soffre di demenza: alzare la voce con un malato di Alzheimer è controproducente perché questi non capisce, va in ansia e allora diventa aggressivo o comunque ostile.
La nostra vita psichica si basa su un delicato equilibrio tra esigenze del mondo esterno, elementi coscienti e elementi inconsci, nel quale la libertà umana è un fattore decisivo. L’uomo è libero di decidere come essere. Per via di questo fragile equilibrio tutti possiamo incontrare difficoltà mentali durante la vita, anzi è molto frequente passare periodi di smarrimento, a causa delle circostanze esterne o di nostre esigenze di cambiamento. Anche così si gioca la libertà umana.
Ed è straordinario pensare che noi non siamo automi, ma possiamo essere veramente vivi, possiamo svilupparci, cambiare, anche deragliare, diventare più consapevoli e più maturi dopo un periodo di smarrimento. Per alcuni poi la salute mentale sarebbe semplicemente un mito. La società ci renderebbe tutti nevrotici costringendoci a rimuovere le nostre pulsioni per adattarci alle regole della civile convivenza. La normalità è semplicemente qualche cosa di statistico entro certi contesti sociali. La apparente normalità è funzionale per vivere nella società, non dice nulla della nostra reale salute mentale.
Il nostro passato tende a condizionarci, ma siamo noi che decidiamo chi vogliamo essere. Un bambino troppo accudito potrà a volte diventare un adulto inconsciamente poco sicuro di sé, quindi cercherà un partner che compensi la sua insicurezza. Se la sua insicurezza consiste nel non sapersi dare le giuste regole, cercherà un partner autoritario che gliele dia al posto suo. Tenderà ad accettare ogni sopruso, fino alla violenza fisica, pur di continuare una relazione tossica ma nella quale si sente sicuro. Adotterà strategie tipiche per mantenere il legame: dalla adulazione verbale e con doni al senso di colpa (non mi ami abbastanza) fino, nei casi patologici, alla minaccia del suicidio. Ci sono relazioni molto disfunzionali ma che restano in piedi perché un partner adotta queste strategie. Ma se da bambini eravamo determinati dai genitori, da grandi siamo noi i genitori di noi stessi, quindi possiamo elaborare le nostre mancanze psicologiche e decidere di migliorare e di sottrarci a questi meccanismi.
Invece nella patologia mentale vera e propria abbiamo, in certi ambiti, precisi determinismi, mettiamo una persona che sente le voci, che non ha voglia di fare niente, che non mangia. Ma, se siamo determinati nel sintomo, non siamo determinati nella possibilità di continuare a stare male. La nostra libertà meravigliosa, che è la nostra grandezza, ci può far chiedere aiuto e persino mobilitare quelle energie interiori per lavorare al fine di sottrarci all’automatismo della malattia mentale.
Pascal osservava come se l’uomo vede la propria grandezza e dimentica i limiti, diventa superbo, invece se vede i limiti e dimentica la grandezza, diventa disperato. Il grande monito delle religioni è quello di confidare nel bene. Nella Bibbia ricorre per ben 365 volte l’invito a non temere. L’uomo è artefice del proprio futuro non perché può fare cose impossibili, come dividere le acque, ma perché può scegliere, almeno in parte, chi essere. È la epigenesi, per cui, da certe condizioni date, l’uomo può influenzare in meglio o in peggio ciò che sarà. La qualità dei nostri pensieri influenza la qualità della nostra vita. Non possiamo cambiare gli avvenimenti ma possiamo cambiare il modo con il quale ci approcciamo ad essi. Ed è questo che fa la differenza. Di fronte a una disgrazia non è la stessa cosa cadere preda dei pensieri negativi e quindi essere depressi oppure cercare il senso e quindi sfruttare l’avvenimento come un modo per diventare più maturi. Tutti noi possiamo scegliere chi essere, chi più e chi meno, l’uomo maggiormente nelle cose esterne, la donna maggiormente nelle cose del proprio animo.

La nostra vita è almeno in parte un “progetto”, nel senso latino di “gettare avanti” la direzione che vogliamo far prendere al nostro destino. Esiste una legge eterna, di cui parlava Agostino (Contro Fausto 22, 27): essa è la ratio divina, cioè la ragione divina, che ordina di mantenere l’ordine naturale e di proibirne il turbamento. Ma l’uomo ha una enorme libertà di scegliere, talmente grande che secondo i teologi cristiani Dio non può, perché non vuole, violare la libertà dei suoi figli, nemmeno se essi non lo scelgono e preferiscono la brutta via. Questo perché l’uomo è prezioso agli occhi di Dio. Secondo molti, le religioni rispondono tutte a un unico progetto di Dio di assistenza e salvezza dell’uomo. L’ebraismo da millenni guida gli uomini all’incontro con Dio e offre sostegno alle comunità ebraiche in tutto il mondo. La chiesa cattolica si occupa prima di tutto di fides et mores, ma come diceva Paolo VI tutto ciò che è umano riguarda la chiesa. L’Islam è da secoli un faro di dottrina per guidare gli uomini lungo la via della rettitudine morale. Per il Corano Dio è Clemente e Misericordioso, ma lo è anche il cuore di Maometto, che fu riempito da Dio di Clemenza e Misericordia. Il Corano prescrive la solidarietà verso tutti (Corano 2, 77): “La vera pietà è quella di chi dà, per amore di Dio, ai parenti e agli orfani, ai poveri e ai viandanti, ai mendicanti e per riscattare prigionieri”. Ogni religione conferisce all’uomo la cosa più essenziale, anzi l’unica cosa necessaria: la spiritualità. L’uomo è ciò con cui si relaziona. Se entra in rapporto con le cose, è materiale. Se le supera e instaura una relazione privilegiata con gli esseri umani, si innalza dalla materia e diventa solidale. Ma solo se, superando anche questo amore imperfetto, crea un rapporto privilegiato con Dio, raggiunge la pienezza della realizzazione. Come diceva Agostino, il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Dio. E Ignazio di Loyola affermava che dobbiamo renderci indifferenti verso tutte le cose create.
Certamente in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas, cioè nelle cose necessarie unità di veduta, in quelle dubbie libertà di opinione, in tutte carità: nella legge divina inscritta in ogni cuore ci sono principi non negoziabili, quindi occorre avere unità di veduta, ci deve essere sempre atteggiamento benevolo verso il prossimo. Ma esso, sebbene non annullato, deve essere trasceso, cioè non deve essere l’amore più importante: solo Dio merita il primo posto, senza cancellare anche l’amore per gli altri.
La caratteristica del vero amore è quella di trasformare. Chi ama veramente il partner lo aiuta a diventare veramente sé stesso. Si racconta di un santo rabbino che venne chiamato dai genitori di un ragazzo ribelle in tutto e per tutto. Quando il ragazzo si presentò al cospetto del rabbino, il santo non gli fece nessuna predica ma lo abbracciò sinceramente: da allora il ragazzo si ravvide. I cattolici credono che nella Eucaristia vi sia Dio, cioè Cristo che per amore sacrifica la propria vita terrena. Basterebbe una sola Eucaristia, nella quale Dio si concede per amore, per fare di una persona un santo, se la persona lo accogliesse con tutto il cuore. Dato che Bonum diffusivum sui, “il Bene è diffusivo di sé stesso”, è dalla comunione eucaristica che il cuore del credente, trasformato dall’amore di Dio, diventa capace di amare il prossimo. È la transustanziazione mistica, per cui il cristiano diviene alter Christus, un altro Cristo. Dal credente che fa la comunione si emana una energia divina tale che Federico Ozanam si convertì quando vide un ragazzo raggiante di Dio dopo aver fatto la comunione eucaristica.
I tempi cambiano e le religioni sono diverse, ma Dio suscita sempre santi adatti a un tempo particolare e a una religione particolare: da Francesco d’Assisi per povertà e carità ai santi jainisti considerati tali per aver sacrificato la vita per salvare un animale. Il segreto della santità è uno solo: amare Dio. Non sempre il santo fa miracoli, anche se alcuni santi li compiono. Una persona che segue una religione non è automaticamente un santo, ma se ama Dio, e lo sente veramente senza dimostrarlo solo esteriormente, è un santo. Anche se non compie miracoli, come Teresa del Gesù Bambino, che visse una santità semplicissima.
Di Dio ce n’è uno solo, qualunque nome gli si dia o in qualunque parte del mondo gli si tributi lode. Oggi viviamo in una dimensione piena di eccessi e materialismo, ma la schiera dei santi in tutto il mondo e in tutte le religioni è vastissima, però i santi per lo più non sono conosciuti, sembrano persone normali, tuttavia hanno Dio nel cuore: la gloria degli uomini non si associa spesso alla santità. L’energia divina non sempre si irradia in maniera visibile come avvenne anche con Mosè una volta disceso dal monte Sinai: spesso è nascosta perché l’anima di una persona non sempre si vede dai segni esteriori.

Il nostro mondo sembra svuotato dei valori spirituali, ma i santi sono più numerosi di quanto si creda. In queste circostanze, dove sembra che l’ateismo abbia il sopravvento, che il culto della materia sia l’unico accettato, che le persone appaiono senza valori, anzi degradate sotto ogni aspetto, non bisogna farsi prendere dallo scoraggiamento. Anche Seneca, ai tempi degli antichi romani, riconosceva che ogni volta che stette tra gli uomini se ne uscì meno uomo. Anzi proprio adesso bisogna cercare Dio con maggior forza. Dio chiama tutti alla santità. Dio si lascia trovare da chi lo cerca con animo sincero. A tutti Dio mette nel cuore la luce della propria presenza: tutti sin da piccoli sentiamo parlare di Dio. Sta a noi rispondere a questa che è a tutti gli effetti una chiamata. Non solo, ma tutti sanno più o meno consapevolmente che il mondo non dà la vera pace e la vera gioia. Può appagare desideri momentanei, ma alla fine tutto è una illusione. Solo Dio riempie il cuore dell’uomo della grazia della realizzazione. È un altro tipo di chiamata che la sua Provvidenza esercita sugli uomini. Il nostro cuore è fatto per Dio e non per le cose del mondo. Oggi molte persone sono disperate perché non amano Dio. Dio si prende cura di coloro che credono in lui. Molte persone sono sazie ma disperate. Hanno “gioie tristi”, come le chiamava il poeta spagnolo Salinas, che da ateo divenne credente. Hanno il mondo ma non hanno Dio. Molte organizzazioni religiose hanno tradito la loro missione scacciando Dio e alleandosi con il mondo e il suo spirito, come tutti possono vedere: ma Dio si manifesta anche nonostante il peccato degli uomini. Dio sta in ogni dove, è possibile incontrarlo sempre.
Romualdo di Ravenna, santo cristiano medioevale, considerato l’ultimo Padre del Deserto, fondatore dell’eremitismo occidentale, aveva questa Regola: “Siedi nella tua cella come nel paradiso. Scordati del mondo e gettatelo dietro le spalle. Fa’ attenzione ai tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci. L’unica via per te si trova nei Salmi, non lasciarla mai. Se da poco sei venuto, e malgrado il tuo primo fervore non riesci a pregare come vorresti, cerca, ora qua ora là, di cantare i Salmi nel cuore e di capirli con la mente. Quando ti viene qualche distrazione, non smettere di leggere; torna in fretta al testo e applica di nuovo l’intelligenza. Anzitutto mettiti alla presenza di Dio come un uomo che sta davanti all’imperatore. Svuotati di te stesso e siedi come una piccola creatura, contenta della grazia di Dio; se come una madre Dio non te la donerà, non gusterai nulla, non avrai nulla da mangiare”. Ma per essere santi non è necessario farsi eremiti in quanto l’amore per Dio si può avere anche vivendo una vita normalissima. L’amore dell’uomo per Dio altro non è che la risposta verso quello di Dio per la creatura. Dio ama tutti gli uomini ma non tutti vogliono rispondere a tanto amore. Dio si manifesta nel presente. Il luogo nel quale l’eternità si interseca con l’uomo è il presente. Dio non ama nel passato né nel futuro dell’uomo. E l’uomo non può aderire alla volontà di Dio che nel presente. È nel presente che l’uomo può esercitare la propria libertà, perché il passato non è più e il futuro non è ancora. Agendo nel presente, l’uomo può condizionare tutto il suo futuro. È demoniaco rimuginare sul passato o vivere nell’attesa illusoria che qualcosa cambierà. Il cambiamento deve avvenire nell’hic et nunc. Sono poche le grandi occasioni per servire Dio, ma quelle piccole ci vengono offerte ogni giorno. Lo sguardo illuminato permette di scorgere nella quotidianità la volontà di Dio sulla nostra vita (la sua legge eterna) a cui noi dobbiamo aderire ogni giorno. Anche se non crediamo entro una religione formale: basta seguire fino in fondo la legge del nostro cuore. A questo punto il male è ciò che ostacola, dentro e fuori di noi, questa volontà di Dio alla quale dobbiamo collaborare. Altrimenti realizziamo un progetto negativo, contrario a Dio, quindi al nostro vero bene.
Dicono i maestri spirituali che il male è stato congegnato da Dio per essere superato dalla volontà dell’uomo. Gregorio Magno (Commento morale a Giobbe V, XXIII, 41) scriveva che sono quattro i pensieri negativi dell’uomo:
- Ubi fuit: il luogo di peccato dove stava;
- Ubi erit: il luogo di disgrazia dove starà se non si ravvedrà;
- Ubi est: la condizione disgraziata del male attuale;
- Ubi non est: il paradiso che non raggiungerà se continuerà a peccare.
Di fronte al male che circonda l’esistenza umana, certi pensieri possono spingere alla disperazione, come fece Giuda, che dopo aver tradito Cristo si suicidò. Ma la natura dell’uomo sta nel superare la condizione avversa e cambiare vita, quindi, come diceva Gregorio Magno, diventano pensieri che spingono l’uomo a ravvedersi. Ricordiamo che oggi le neuroscienze dimostrano che il cervello è progettato per superare le difficoltà. Ed è curioso osservare come nel greco del Nuovo Testamento la conversione è detta metanoia, cioè “cambiar mente”.
Questa volontà diversa dalla nostra che per molti starebbe alla base della nostra vita, cioè Dio o sacro, sarebbe presente in ogni ambito della nostra vita. Per alcuni tutto è Dio, per altri Dio può presentizzarsi in ogni cosa, per altri ancora Dio è comunque presente in tutto senza che vi si immedesimi. Paolo (Atti 17, 28) proclamava così: “In lui viviamo, ci muoviamo e esistiamo”. Qualcosa del genere dovrebbe aver ispirato il mito indiano per cui il dio Prajāpati crea le cose per poi poterle divorare: egli dopo la creazione si sente svuotato e vede le creature lontane da sé, quindi le mangia. Secondo le correnti indiane, Dio siamo noi stessi ma la nostra coscienza non se ne accorge perché Egli è in stato dormiente. Alcuni parlano di Kundalini. Il risveglio di questo mitico serpente attorcigliato attorno alla nostra colonna vertebrale coinciderebbe con la vera iniziazione dell’essere umano, cioè con la reintegrazione nella originaria natura divina.
All’inizio ogni forma di arte nelle varie culture era una forma di rito. Questo è vero soprattutto per l’arte indiana, che è un complesso e variegato insieme di operazioni estetiche avente un marcato afflato sapienziale. L’intera civiltà indiana ha espresso nelle varie forme di arte un contenuto sapienziale ben preciso: è possibile raggiungere il divino attraverso l’esperienza estetica.
Anche l’arte della parola serba un “succo”, in sanscrito rasa, un segreto con cui è possibile avvicinare il fine ultimo della vita. Il sanscrito, colta lingua letteraria indiana, è artificiale ma è considerata una lingua sacra, come se fosse il linguaggio degli dèi. Le moltissime regole applicate con precisione matematica imitano la perfezione di una lingua divina. Addirittura non esisteva in sanscrito il fonema “ḷ lungo”, ma solo “ḷ breve”, però i grammatici successivi lo introdussero per dare alla lingua una idea di compiutezza.
Written by Marco Calzoli
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Rubrica Meditazioni Metafisiche