“Carmina docta” di Vincenzo Moretti: una strada sterrata per uscire dalla caverna
Vincenzo Moretti (Casale Monferrato 1947), scrittore, poeta e critico letterario, dopo la laurea a Torino nel 1970 con Giorgio Bàrberi Squarotti, di cui è stato collaboratore per qualche decennio, ha pubblicato numerosi studi sulla letteratura italiana tra Ottocento e Novecento, sia come contributi su riviste letterarie, atti di congressi e miscellanee, che in volume. Tra i suoi libri ricordiamo: la racconta di saggi letterari Scapigliatura e dintorni (2005), le sillogi poetiche Il troppo e il vano (1992), I segni dello Scorpione (2005), Terra di salute (2016), Dall’isola nell’isola (2019), i racconti La scomparsa (2016).
Attualmente vive tra Torino, la Sardegna e Cambridge (UK) e ha recentemente vinto il premio I Murazzi per l’inedito 2020, all’unanimità, con dignità di stampa per Carmina docta. È così che nasce questo nuovo libro, appena pubblicato da Genesi Editrice nella collana I frombolieri.
Vincenzo Moretti è autore dotto, dottissimo, di versi cesellati con cura e d’immagini piene di forma e di molteplici significati, ben tornite come nei Carmina docta di Catullo. È scrittore di robusta tempra e nulla d’umano gli è alieno, con una penna capace di solcare tempo e spazio, con passi e cadenze antiche, echi e risonanze autorevoli, ma sempre ricondotte dove il Nostro vuole, piegate a quel moderno e contemporaneo, suo, personale, autentico e pur figura d’altro, ove dalla piccola esperienza, dai piccoli attori di vita, sempre si può sentire un motto, un’arcana e antica voce che dà valore atemporale e universale ai versi.
La Prefazione dell’ottimo Sandro Gros-Pietro, in apertura di questa raccolta di dodici carmina, è preziosa, ampiamente illuminante, capace di cogliere e mettere a fuoco gli elementi identificativi non dell’opera in questione solamente, bensì del Moretti poeta e letterato che scandaglia, attraverso cinque cornici stagionali (Botte di vita, Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità, Infine) in otto sezioni, un percorso esistenziale che partendo dalla morte di Sebastiano Vassalli romanziere (Genova 1941 – Casale Monferrato 2015) filtra, attraverso l’esperienza del dolore, che a sua volta filtra e informa di sé, luoghi e persone.
Allora il ricordo, vero o reale, letteratura o finzione, prende a raccontare per quadretti rapidi, ma netti, lucidamente taglienti, spesso ironici, i vari momenti della vita di uomini e donne. E questo lo fa prendendo con mestiere a piene mani dai classici e dai moderni come dai contemporanei, da Oriente a Occidente, rendendo anche in questo un omaggio prezioso a Vassalli viaggiatore nel tempo.
In questo raccontare la prosa e la poesia si fondono e confondono in un verso liberissimo, ma non meno musicale, ritmico e cadenza. Non abbondanza di figure retoriche, ma pur ci sono, sapientemente amalgamate dal dire così aderente al reale, seppur impastato dalle immagini strane, dai rovesciamenti iperbolici di una realtà frastornata che, fraintesa, fraintende.
Qualche rapido asindeto rende il verso veloce come la fuga di Annetta; gli accostamenti per contrasto del largo fiume ch’è povero d’acque o di un alambicco che versa acqua torbida, solo per citarne alcuni, accanto al verso che in frequenti enjambements ci trascina e trasporta dalle immagini, dagli eidola (idoli) alle cose, al concreto, coi piedi per terra. E ci troviamo di nuovo “hic et nunc: Piove. È mercoledì. Sono in città (…)”.
La chiusa di Annetta, Sebastiano e l’hospice è una sorta di autoepitaffio del Vassalli e in esso e con esso di tutta la poesia, la scrittura e la sapienza insieme: “Ebbi la sorte/ di essere un nulla che molto ha sognato,/ un nulla che ho riempito di racconti (…) E ritornare/ cenere: preferisco non marcire”.
Vi è dunque, nell’uso che Moretti fa di questo patrimonio la chiave di lettura e la soluzione a quella possibilità di non marcire.
Da Callimaco, a Hieronymus Bosch, dai Sepolcri foscoliani, da Marcel Proust a John Vigna e Mickey Spillane, da Porta romana bella di Nanni Svampa, dalle immagini di un Sacro Monte ad Aldo Ferrarino, passando per svariati brani musicali, attori cinematografici e pittori. Niente manca, davvero. Di tutto un po’ e nessun sentore di stantio o di putrescente, perché Vincenzo Moretti contestualizza, decontestualizza e ricontestualizza con grande maestria e ci racconta come, novello Ulisse, dopo il richiamo al libro IX dell’Odissea, preso da vitalità disincantata abbia intrapreso un dì “un viaggio/ con il biglietto per la sola andata” approdando, come ben sa chi conosce la sua biografia, non all’isola dei Feaci, ma a quella dei Sardi e, in Sardegna, in quell’isola nell’isola (per citare un suo lavoro) che è l’Ogliastra, dove ha trovato nuova dimora.
E riecheggia Petrolio di Pasolini (appunto 55, Il pratone della Casilina) nel poemetto Il fosco Fausto, San Petrolio, ma quanto è bello, poi, il mito del bosco verticale, fratello solo più giovane del mito platonico della caverna, con l’uso delle note immagini simboliche e metaforiche prese in prestito dalla filosofia, ma usate a descrivere, con un’ironia e un tristemente disincantato insegnamento di pariniana memoria, che si rivolge – come “le foglie durissime/ delle magnolie che bussano/ inutilmente contro gli avvolgibili/ sordi” – all’umana incapacità di guardare e vedere, di ascoltare e sentire, se non ciò che ha creato come ombra della verità, se non ciò che nasce da un capovolgimento in assurdo dal mondo e dell’ecosistema, creato come moda e accettato per rivoluzione ecologista. Moretti ritrae, racconta un vuoto che è tutto esistenziale, ma non condanna, non giudica: ciò che spesso manca è la consapevolezza dell’essere e dell’esserci. Non si arrende e non arretra, tuttavia, il Nostro poeta.
Senza rifarsi al motto di Chénier, “Sopra pensieri nuovi facciamo versi antichi”, pur tuttavia compie un’operazione simile ché qualcosa d’antico c’è in quelle foglie che cadono malinconiche, di Mimnermo, forse, nell’autunno dei giorni e della vita, proclamando “in versi verità modeste”, ma non per questo minori o meno vere, oneste, muovendosi tra polvere di sterrati e “pioggia d’altri tempi”.
Una poesia di vita, fatta di uomini e di donne, di materia e forma, di linfa vitale e di morte, di una sessualità spesso richiamata da immagini e situazioni a volte più chiare ed esplicite, talora da ammiccanti immagini a doppia lettura, che arricchiscono di molto anche la più semplice, volgare, nel senso di comune, umile e bassa vicenda.
Conosce bene le pagine dei Crepuscolari Vincenzo Moretti e in alcuni toni pare avvicinarsi a Gozzano, ma non meno a tagli e inquadrature del Neorealismo. E per dirla con e come Alberto Arbasino, anche Moretti si muove tra piano umano ovvero vita quotidiana e piano disumano ovvero finzione letteraria, rappresentazioni della fantasia, in una parte “arrangiata” del quotidiano che utilizza i fatti, le cose, le situazioni come contenuti narrativi a vantaggio della letteratura.
Discorsi infiniti e infiniti rimandi e altrettanti approfondimenti porta la scrittura di Vincenzo Moretti e altrettanti ne meriterebbe per l’assoluta ricchezza e sintesi di contenuti e forme unica e originale.
Written by Katia Debora Melis
Un pensiero su ““Carmina docta” di Vincenzo Moretti: una strada sterrata per uscire dalla caverna”