“Clic” di Johanna Finocchiaro: le parole non sempre parlano, alcune volte tentano
“La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura.” – Italo Calvino
Click è una parola che rimanda alla velocità, alla rapidità, all’interattività. Sembrerebbe lontana anni luce da ogni tradizione letteraria. Eppure nelle sue Lezioni americane Italo Calvino tratta la rapidità come uno dei “valori o qualità o specificità della letteratura”.
La rapidità non è superficialità, esattamente come non lo è la leggerezza.
Ce lo spiega Calvino e ce lo dimostrano anche le liriche di Johanna Finocchiaro presenti, appunto, nella raccolta Clic edita nel 2020 dalla Casa editrice L’Erudita.
Per chi non conoscesse Johanna e la sua vulcanica energia, rimando ad una piacevole intervista che le ho sottoposto non molto tempo fa e che è stata pubblicata sempre su Oubliette Magazine QUI:
Qui mi concentrerò più nello specifico sulla sua recente silloge poetica, non prima di aver ricordato che l’autrice attualmente risulta finalista nell’ambito dell’importante Premio letterario InediTO.
Con rapidità Johanna entra nel cuore delle cose, nella complessità del reale in cui non sempre è possibile esprimere il tutto con i mezzi umani: “Le parole non sempre parlano/ e i fatti non sempre gridano/ A volte sì./ Tentano”.
Eppure i mezzi umani, spesso, toccano e sfiorano la leggerezza del Divino, come ad esempio è concesso, da tempo immemore, alla Danza: “Le stelle filanti danzano,/ nuotano libere di vanità./ Sono pesci in una boccia,/ un palco antico di verità”.
Anche Platone, parlando danza e di musica, ne aveva scorto una matrice di verità divina. Spesso la realtà o le persone che ci circondano assumono la rapida scorrevolezza dell’acqua, elemento per antonomasia dinamico e cangiante, degno di osservazione, elemento a cui è possibile paragonare, forse, la fonte stessa della vita, cioè la madre. Del resto non è l’acqua la “Culla di civiltà perse ma non perdute”? Analogamente, non è l’acqua l’elemento in cui i contrari si riconciliano, esattamente come la madre è colei in cui, dice la poetessa, gli altri “mi riconoscono”?
Spesso la realtà è il caos da cui nasce la poesia, analogamente al caos primigenio da cui nasce la vita; il caos è la premessa di ogni creazione; il caos (dal greco χαίνω = “apro, spalanco”) è la voragine infinita da cui tutto deriva; è, in termini dionisiaci, la musica ispiratrice di tutto: “Serve musica;/ senza stimoli non scrivo. Serve caos;/ senza rumore non trovo silenzio./ Il silenzio senza parole se non le mie”. Serve l’arcobaleno che tutto abbraccia e comprende.
La realtà è la purezza della neve o la bellezza della luna, elementi-immagine di quella perfezione vitale del Cosmo cui la poetessa guarda. Sembra scorgere, talora, un’eco della brevitas di Emily Dickinson e in particolare nei seguenti versi: “Datemi bianco e verde e natura./ E sale marino./ Lo spazio tra terra e cielo./ Ne sarò portatrice e amante”.
In questi aneliti verso la purezza, tuttavia, scorrono la vita e la Storia, anche queste colte nella loro rapidità. Non manca tuttavia, come del resto in tutte le liriche, un desiderio di conoscenza. Allora anche un documentario può essere luce, nonché chiave interpretativa e comprensiva: “Le immagini passano, molto potenti:/ colore e materia primordiale./ Ne guardo qualcuna, la sera./ Difficile azzeccare. Se non mi commuove,/ se non mi sconvolge, cambio canale”.
Dalla Natura-simbolo, passando per Storia-documento, si giunge alla Filosofia-concetto che si ritrova in molte liriche concettuali e mai banali, spesso ossimoriche e paradossali, ma di forte potenza evocativa: “Dillo come sai fare tu./ Senza dirlo”.
Mai la poetessa rinuncia ad esaltare la libertà dell’uomo. Mai, infine, rinuncia a pronunciare la propria fortuna nella vita, tipica di chi riconosce di avere tutto, dove il tutto non sono tanto le cose quanto le persone e gli affetti. Quest’ultima tematica si evince, significativamente, proprio in una lirica intitolata significativamente Clic, che fa pensare all’espressione “a portata di clic”, quasi ad evocare la fortunata facilità con cui la poetessa può circondarsi degli affetti della sua vita: “Ho una madre. Un padre. Un fratello. Un nipote. Un tetto,/ un libro in testa, un libro in mano; /ho due mani./ Un gatto, grande e robusto, nero, un letto,/ tre sogni a dir/ poco./ Quattro o cinque a dir il vero./ Ho un Dio che mi ha creata a Sua immagine e di cui non/ho sembianze./ Ho un tamburo che danza rituale e sbraita meschino di notte./ Ho un mondo. Il più delle volte, le volte buone./ E ricordo a me stessa quel mondo. Dovrei amarlo. Dovrei/ sentirlo”.
Tutte le poesie sorprendono in quanto trattano con cura formale, lessicale e ritmica le tematiche: anafore, ripetizioni e parallelismi corroborano lo stile narrativo che caratterizza le liriche, mentre le continue pause (segni di interpunzione) spezzano il ritmo, separando e al contempo congiungendo parole, concetti, sequenze dotate di senso.
Buona lettura a tutti e ad maiora!
Written by Filomena Gagliardi