“L’attore cinematografico” di Jacqueline Nacache: alcune citazioni tratte dal libro pubblicato da Negretto Editore
“Immagine senza carne, figura dell’assenza nonché principale vettore dell’identificazione spettatoriale, l’attore cinematografico ha per anni costituito un buco nero nella ricerca e nell’editoria del settore, restìe – quanto meno in ambito europeo – a prendere in considerazione quello che resta il codice più visibile e al contempo più sfuggente del linguaggio cinematografico.” – Alberto Scandola

“L’attore cinematografico” è stato pubblicato nel novembre del 2012 dalla casa editrice mantovana Negretto Editore per la collana editoriale Studi cinematografici diretta da Alberto Scandola che ha curato anche la prefazione del libro e la traduzione con il valente contributo di Nina-Lisa Rivieccio. In copertina troviamo la famosa attrice Anna Magnani in una scena del film “L’amore” di Roberto Rossellini. Il libro con il titolo originale “L’acteur de cinéma” è stato pubblicato nel 2003 dalla casa editrice Nathan di Parigi.
L’autrice Jacqueline Nacache è nata nel 1953 a Costantina in Algeria ed è docente di studi cinematografici presso l’Università di Paris 7-Denis Diderot. Ha pubblicato un gran numero di articoli e libri dedicati al cinema.
Alberto Scandola è professore associato di Storia e critica del cinema presso l’Università di Verona. Si occupa prevalentemente di cinema moderno e contemporaneo. Recentemente, nel 2018, per Negretto Editore ha curato la pubblicazione di “Cinema e pittura” di Luc Vancheri, docente di Studi Cinematografici nel dipartimento di Cinema e Studi Audiovisual presso l’Università Lumière di Lione.
“Le strutture filmiche prese in considerazione da Jacqueline Nacache, che trascura l’approccio socio-culturale al fine di riflettere sul ruolo dell’attore nella costruzione del senso, sono familiari anche al lettore italiano, il quale, tra i numerosi modelli d’analisi, troverà testi e soprattutto volti noti: dai divi del muto (Asta Nielsen) a quelli del Postmoderno (Christophe Lambert), passando per i corpi quotidiani del neorealismo (gli attori-bambini) e le 10 L’attore cinematografico emozioni del Metodo (Marlon Brando, James Dean).” – Alberto Scandola
“L’attore cinematografico” consta di otto capitoli così denominati: “Nascita di un attore” (suddiviso in quattro paragrafi: L’attore, o come sbarazzarsene; Verso un attore di cinema; Un attore senza aura; Pensare l’attore), “Un momento teorico” (suddiviso in tre paragrafi: Una rivoluzione teatrale, I registi storici, Verso il sonoro), “Ciò che fa un attore” (suddiviso in quattro paragrafi: Utilizzare il proprio aspetto, Un rapporto confuso con la mimesis, Corpo voce movimento, The actor is the limit), “L’attore, il regista: artisti e modelli” (suddiviso in tre paragrafi: La direzione d’attori, L’attore come materilae, Armonie e incontri), “Attore e personaggio” (suddiviso in quattro paragrafi: Stati del personaggio, L’attore personaggio, Alcuni attori-personaggio, Lontano dalla mimesi), “L’attore americano” (suddiviso in quattro paragrafi: La naturalezza americana, Le trasformazioni della recitazione hollywoodiana, L’Actors Studio, Un’evoluzione irreversibile), “Attore vero, non attore” (suddiviso in tre paragrafi: Una ricerca di verità, L’attore non professionista, Il bambino attore), “L’attore e l’analisi” (suddiviso in sei paragrafi: Critica: un discorso d’amore, Una problematica: la star, Analisi testuale: l’attore come testo introvabile, Un cantiere in corso, Prospettive, Conclusione).
Alcune citazioni tratte dal libro
“Incarnazione del legame tra spettatore e film, vettore privilegiato dell’immaginario, l’attore cinematografico rimane misterioso e intatta rimane la domanda: che cos’è un attore cinematografico? Intorno a me si stupiscono del fatto che io mi ponga tale questione. L’attore non dovrebbe essere ciò che il cinema fa vedere con maggiore compiacimento?”
“Da Platone a Shakespeare, l’attore è diventato il luogo comune di un’inevitabile analogia tra vita e teatro. Qualunque sia il regista (Dio, il destino, la storia) ogni essere umano può essere visto come parte di una grande pièce la cui fine è fin troppo conosciuta. Montaigne, citando Petronio, lo diceva ai suoi tempi: «Mundus universus exercet histrionam», il mondo intero recita.”
“L’etimologia favorisce sicuramente tale confusione. Per designare l’attore, né il latino né il francese hanno conservato l’upokritès greco (“quello che risponde”), parola che ha subìto molto presto nella sua storia la deriva morale che sappiamo. L’actor latino è più semplice: prima di indicare il mestiere di attore significa molto concretamente «quello che fa, che agisce».”
“Platone non aveva un’alta opinione del teatro, in quanto gli spettacoli drammatici erano secondo lui concepiti per un pubblico volgare, incapace di sforzi di rappresentazione, schiavo dell’imitazione. Preferisce l’epopea, recitata dal rapsodo e riservata ad un pubblico d’elite che non ha bisogno di rappresentazione. Certo la mimesis è condannata ne La Repubblica è una nozione complessa, che indica nello stesso tempo l’imitazione di un modello e il frutto di quest’imitazione.”
“Oggetto di culto durante quasi tutto il periodo del muto, il gesto turba e affascina, seppur in misura minore rispetto alla presenza. Si scopre una nuova lingua, più potente delle parole e ancora di più quando si emancipa dall’eccesso di espressività. Il linguaggio del corpo e del volto è tanto più ammirato quanto più il gesto impara a diventare inutile, a valere solo per se stesso, per il suo slancio, per la sua bellezza plastica: il critico René Jeanne richiede nel 1922 la creazione di un “Museo di gesti” destinato a conservare le performance dei grandi attori.”
“Due direzioni condizionano di solito qualsiasi discorso sulla recitazione; due direzioni che potremmo per farla breve rapportare alla dialettica nicciana dell’apollineo e del dionisiaco. Da un lato l’ordine, la calma, il controllo – ovvero, per un attore distaccato un modo di recitare elaborato in modo cosciente, un lavoro sottomesso a delle regole precise; dall’altro la passione e la possessione, l’attore entusiasta che, lontano dai giochi di maschere e di simulazione, si lascia trasportare fuori da se stesso.”

“L’inizio del Novecento è segnato, oltre che da un turbine d’idee, di opere e di esperienze, da una rivoluzione teatrale, i cui centri nevralgici sono Mosca e Berlino. Ma sarà nella Russia zarista, poi sovietica, che il movimento avrà le ripercussioni più forti sul cinema. Le idee di Konstantin Stanislavskij (1863-1938) e Vsevolod Mejerchol’d (1874-1940) fanno molto di più che ripetere la classica dialettica sensibilità/distanziazione. […] Le concezioni di Stanislavskij sono in presa diretta con lo sviluppo della psicoanalisi e l’interesse che sollevò la nuova disciplina per l’introspezione, l’esplorazione della memoria e dell’interiorità.”
“In Europa e negli Stati Uniti l’evoluzione dell’attore si svolge in un modo più pratico che teorico. Bisogna che l’attore si adegui al cinema, o che il cinema si adegui all’attore, e in un modo o nell’altro bisogna arrivare a una deteatralizzazione della recitazione.”
“Dopo le paure del passaggio al sonoro, diventa ovvio che la recitazione teatrale non solo non si oppone all’autonomia del cinema come arte, ma vi contribuisce. I difensori dell’arte pura si erano in parte sbagliati. Da Guitry a Rohmer, passando per Renoir, Cocteau e Pasolini, il teatro avrà alla fine ispirato le correnti più reattive del cinema, proteggendolo dall’eccesso del realismo. Di questa impresa anche gli attori sono in parte responsabili.”
“I cineasti innovatori, da Dreyer a Pialat, da Bresson a Godard e Rohmer, si sono disinteressati delle dive dalla bellezza limpida e si sono rivolti ad attori meno a norma, più sorprendenti. Oggi, per questo motivo, il cinema francese dispone d’un repertorio di volti irregolari e interessantissimi (Jeanne Balibar, Emmanuelle Devos, Charlotte Gainsbourg, Valeria Bruni Tedeschi, Karin Viard, Sylvie Testud). Il liscio e il glamour sono finiti. La pelle ha ritrovato la sua grana, i lineamenti la loro diversità, i corpi la loro geometria variabile.”
“La plasticità e l’espressività non esentano l’attore cinematografico dal compito dell’imitazione e della rappresentazione. Eppure il suo impegno nella “menzogna” mimetica è a volte difficile da definire quanto il suo lavoro. Può dover solo farsi vedere, pura presenza esposta, riferimento alla pittura o alla fotografia: l’attore posa, nell’immobilità attenta del modello davanti al pittore, e la differenza sta solo nella durata della posa. Campi e controcampi destinati ad inserirsi in un concatenarsi ancora indeterminato.”
“L’attore cinematografico va ancora oltre, sempre messo a confronto, in un momento o nell’altro della sua prestazione, con la verità dell’azione e non con la sola riproduzione mimetica. Quello che non è completamente realizzabile (fare l’acrobata, il virtuoso, ingoiare quantità di alcol o di cibo, avere rapporti sessuali, ferire, uccidere) lo deve compiere in parte, con l’aiuto di accessori, di elementi di sostituzione, o semplicemente fermandosi al punto che separa l’atto simulato dall’atto reale (allora la cinepresa si allontana, si ferma, riprende un corpo o un effetto di sostituzione).”
“La naturalezza è inseparabile dalla grazia perduta dell’innocenza, oppure dipende dalla tecnica drammatica? L’attore cinematografico permette di formulare la domanda con una nuova vitalità. La naturalezza, in questo caso, non è ciò che confonde l’attore cinematografico con l’attore di teatro realista, ma ciò che lo distingue più fortemente.”
“Tutto ciò che il cinema può fare è cancellare l’attore per mezzo della tecnologia. E le soluzioni sono diverse, dal montaggio per arresto-sostituzione di Méliès all’isolamento dell’attore su uno sfondo di blue screen, dove egli dialoga con partners invisibili, inserito in un mondo sconosciuto. Si pensi allo stupore dichiarato da Bazin, nel 1946, davanti alle sovrimpressioni che danno corpo agli spettri. Chi potrebbe ancora interessarsi alla recitazione fuori moda di Martha Scott in La nostra città (S. Wood, 1940) quando l’effetto speciale ha la possibilità per la prima volta di fabbricare un “vero fantasma”?”
“Ancora un paradosso dell’attore: il cinema non cerca più di cancellare la forma umana se non per reinventarla, secondo il termine del critico, «freneticamente». La persistenza degli attori in carne ed ossa in questo caso non è a rischio, e non solo perché Aki Ross è troppo irreale per tenere una conferenza stampa o fare un bagno di folla, ma perché, senza aspettare gli sviluppi tecnologici, l’attore cinematografico aveva sempre accettato la propria dimensione virtuale e ne aveva tenuto conto.”
Le librerie, per eventuali richieste dei lettori, sono tenute a rivolgersi ai distributori regionali che sono indicati nel sito Negretto Editore.
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