Johann Heinrich Füssli: la concezione pre-romantica del sublime ed il mondo parallelo dell’inquietudine
Johann Heinrich Füssli (Zurigo, 1741 – Londra, 1825), svizzero di nascita ma attivo in Gran Bretagna, esplora quegli inferni in cui le pulsioni e l’inconscio (ancora da scoprire) fanno precipitare il soggetto; è quel mondo precluso alla ragione, lugubre e popolato di mostruose presenze, che prende forma nel sogno, il quale viene considerato da Füssli “una delle regioni più inesplorate dell’arte”.

Le sue figure si agitano in uno spazio dai contorni irreali e indefinibili, con ombre squarciate da luci abbaglianti.
In una delle sue opere più note, L’incubo, una giovane donna giace in maniera scomposta sul letto, tormentata nel sonno dalla giumenta dagli occhi infiammati che incute terrore nei dormenti.
Accanto ad essa, simbolo della passione senza controllo, una sorta di nano-scimmia, personificazione della bramosia sessuale che, sciolti i freni inibitori della coscienza razionale, si insinua nell’animo della ragazza e lo turba violentemente.
Non soltanto l’eros, il sentimento umano meno soggetto alla ragione, ma anche il mito nordico dei Nibelunghi compare in maniera importante nell’immaginario di Füssli, tingendolo di tinte oscure che simile lo fanno a de Sade.
Anche quando si è accostato all’antichità greco-romana (soggiornò in Italia tra il 1770 e il 1779, visitando Roma e conoscendovi Winckelmann e David), lo ha fatto con una disposizione d’animo già del tutto partecipe della Sensucht dello Sturm und Drang (che si pone come anticipazione del Romanticismo), ossia nei termini di una lacerante, disperata e angosciosa nostalgia.
Per Füssli, la classicità, come indica nel noto disegno L’artista medita commosso di fronte al frammento di un’antica statua (1778-1780 circa), non si dava come un modello da imitare, quanto piuttosto come stimolo a riflettere sull’impotenza dell’uomo di fronte allo scorrere inesorabile del tempo.
Attraverso le sue opere, il pittore svizzero diviene un tramite tra la concezione pre-romantica del “sublime”: per Füssli, è il terrore il principale ingrediente del “sublime”. Un mondo parallelo inquietante e spaventoso si insinua, serpeggiando, tra le pieghe del quotidiano, travolgendone lo scorrere e, anzi, sovente sostituendosi ad esso.
Creature metamorfiche, grottesche e ripugnanti, demoni terrificanti, esseri spettrali sono i misteriosi abitatori di questo mondo parallelo che si rivela quando il sogno o la follia hanno la meglio sulla ragione e sulla realtà.
I bambini scambiati dalle fate al chiaro di Luna, secondo una tradizione popolare raffigurata nello Scambio di bambini al chiaro di Luna (disegno conservato al Kunsthaus di Zurigo) esemplificano così la possibilità di contaminazione e sostituzione dei due mondi.

Nelle opere che illustrano il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, Füssli utilizza la figura di Bottom con la sua testa d’asino per introdurre lo spettatore in una dimensione metamorfica, in cui il reale è deformato dall’irrompere del fantastico: le opere di Omero, Shakespeare e Milton, la mitologia e la cultura popolare offrono al pittore svizzero l’occasione per effettuare delle incursioni nel fantastico, di cui egli esplora soprattutto gli aspetti notturni.
E sarà questa incursione nell’irrazionale che affascinerà gli artisti espressionisti e i surrealisti, che considereranno Füssli uno dei loro maestri.
Il fascino per il demoniaco espresso nella letteratura da Hoffmann trova voce nella pittura di Füssli, ma i fantasmi che egli dipinge hanno spesso un carattere allegorico e satirico, dal momento che vestono secondo la moda del tempo.
Descrivendo il Male, come nelle numerose immagini di Satana che troviamo nel Paradiso perduto di Milton, l’artista spera forse di rafforzare la fiducia nel Bene, creando eroi in grado di sconfiggere l’assalto dei demoni. Se da una parte l’artista svizzero sembra fustigare moralisticamente i vizi del tempo, dall’altra rappresenta l’assalto del mondo infero, il prevalere delle tenebre sulla luce della coscienza, anche e soprattutto grazie ai vizi di cui sopra.

Come per Goya, anche per Füssli il sonno della ragione genera inevitabilmente mostri: emblematico, in tal senso, è L’incubo, di cui abbiamo parlato all’inizio. Ne L‘Incubo abbandona il giaciglio di due fanciulle dormienti (1793), il sogno terrifico si dilegua fuori dalla finestra, mentre la fanciulla in primo piano si risveglia spaventata portando una mano al petto.
Prestando ai suoi esseri demoniaci gli abiti indossati dai suoi contemporanei, o ambientando lo scambio dei bambini non nel Medioevo, ma nel XVIII secolo, Füssli vuole evidenziare l’attualità di un mondo apparentemente immaginario che non si lascia relegare alle superstizioni e alle leggende del passato, poiché seguita, immutato, a vivere nel cuore e nell’anima di ogni individuo: non è soltanto il sogno a rappresentare un pericolo per la ragione, poiché l’immaginario si concretizza ogni volta che la follia incrina il potere della ragione.
Quale catarsi, se essa è possibile?
Ci si può liberare dall’incubo, dal grottesco, dal Male?
Tornano le stesse domande dei miei precedenti articoli su Goya e Bruegel il Vecchio, poiché sono domande antiche quanto la specie umana.
Di certo, la parte passionale dell’essere umano gioca un ruolo fondamentale e un richiamo per le forze oscure, e anche se considerassimo queste solamente dei prodotti morbosi della mente, il problema non cambierebbe poi di molto.
Non si possono negare le passioni, o far finta che non esistano: esse sono ben inscritte nella mente e nell’animo. Possiamo però evitare un loro sconfinamento, un loro assolutizzarsi, un loro estremizzarsi attraverso la ragione, il retto pensare e la filosofia.
Certo, la ragione dovrà sempre avere a che fare con l’immaginario, con l’orrore, con l’incubo: ma ciò sarà, per essa, come un invito a rinforzarsi e ad essere sempre più luminosa.
Written by Alberto Rossignoli
Bibliografia
Antonio Benemia – Livio Billo – Roberto Nuccetelli, “Arte-Immagine. Dal tardo-barocco al post-moderno”, volume terzo, Edizioni Calderini, Bologna 1999;
Aldo Carotenuto, “Il fascino discreto dell’orrore. Psicologia dell’arte e della letteratura fantastica”, Tascabili Bompiani, Bologna 2002.