“Le città invisibili” di Italo Calvino: alla ricerca del fondamento perduto
Nella Presentazione de “Le città invisibili”, l’autore Italo Calvino dichiara che dispone di tante cartelle che contengono scritture su disparati oggetti; “Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse.”
La scrittura nasce sempre, volontariamente o no, da un’accumulazione e da una liberazione del materiale immagazzinato, nella memoria propria, oppure in quella che si può riversare in un foglio o, più modernamente, in una memoria di massa. Si dice che si salva in una cartella un testo, un’immagine, un conteggio, qualunque cosa. Prima o poi sarà utilizzata per diventare qualcosa d’altro.
“… tutte queste pagine non facevano ancora un libro: un libro (io credo) è un qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori.” – lo scrittore è l’uomo-dio che decide di entrare o di uscire in un Altrove, paradisiaco o infernale, sempre a metà strada fra quelle due essenze.
“… per essere un libro, deve avere una costruzione, cioè vi si deve poter scoprire un intreccio, un itinerario, una soluzione.”
Nulla da aggiungere, la scrittura è principalmente questo: produzione di materia fisica che prima o poi esploderà producendo energia.
Il viaggiatore ora si trova nella “città di Zaira, dagli alti bastioni.” – ho sempre amato le città col nome di donna.
Zaira ha una sua architettura, ma non solo di essa “è fatta la città, ma di relazioni fra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo spazio.” – mi capitò un giorno di paragonare mentalmente la piazza maggiore del mio paese a quella più celebre di Pompei. Furono senz’altro architetti equivalenti coloro che le progettarono.
“L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e che non avrà.” – capita ogni volta che una novità ci appare come un segreto finalmente svelato che talvolta si ricollega a quel che già conosciamo.
“… una certa grazia perduta, la quale tuttavia può essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quello che era.” – ricordo la Fontana di Piazza D’Armi, che fu estirpata dall’Amministrazione come una radice infetta (e reclusa da qualche parte, così dice la gente). La vorrei rivedere, un giorno, visitarla come si fa con un familiare carcerato. Una cartolina rende quel mio sentimento ancora più straziante.
“Guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro.” – e cosa non lo è, Italo, non lo eri tu? Non lo sono io? Non è il Cosmo intero?
Quello che manca a ognuno di noi è la sfera di vetro. Se vuoi, possiamo oggi decidere di crederci, o domani di non farlo più.
“… ogni uomo porta nella mente una città fatta soltanto di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città particolari la riempiono.” – siamo pronti a cogliere le differenze, mai l’unità…
“Non così a Zoe. In ogni luogo di questa città si potrebbe volta a volta dormire, fabbricare arnesi, cucinare, accumulare monete d’oro, svestirsi, regnare, vendere, interrogare oracoli. Qualsiasi tetto a piramide potrebbe coprite tanto il lazzaretto dei lebbrosi quanto le terme delle odalische.” – anche un altare consacrato a Dio? – esiste in essa un terreno comune al Sacro e all’Umano?
“… è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici, Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.” – una guerra, oppure una rivoluzione civile che segue i sogni umani, giungono a volte a distruggere, in parte o del tutto, una città, sbarazzandosi di un numero ingente di suoi abitanti, come se fossero dei parassiti nocivi. Quelli che rimangono, decideranno il da farsi, magari abbattere le mura medioevali e incliti palazzi, favorendo il sorgere di estesi condomini popolari. Sic transit gloria urbis. Ogni cancellazione o mutazione è sempre parziale e temporanea.
“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” – sono le parole che il veneziano Polo trasmette al suo Kan.
La mente e il caso servono per tirar su le mura; e per tenerle in piedi quanto basta per poi tirarle su. Nella mia natia Reggio furono abbattute, per dei motivi che si sono persi nel tempo. Ora si dice genericamente che fu l’ignoranza a farlo. Oppure l’interesse: l’economia è la risposta razionale alla domanda che il governo della città si pone, di un determinato momento della storia; poi essa si tramuta puntualmente in follia.
Viaggiare è mutare se stessi insieme al panorama che scorre davanti ai nostri affaticati occhi. “Di tutti i cambiamenti di lingua che deve affrontare il viaggiatore in terre lontane, nessuno eguaglia quello che lo attende nella città di Ipazia, perché non riguarda le parole ma le cose.” – si tratta per entrambe di informazioni collegate al disordine del cosmo.
“Capii che dovevo liberarmi dall’immagine che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito a intendere il linguaggio di Ipazia.” – intendere non significa capire, ma ascoltare tentando di avere un’idea di uno o più significati.
Il viaggiatore dovrà “salire sul pinnacolo più alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.” – e non c’è inganno senza linguaggio.
Valdrada: “la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso nel suo specchio…”, due illusioni che si compenetrano.
“Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico.” – come due io, di cui uno immerso in un placido sonno e l’altro in un’incerta veglia;
“… a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto.” – le due parti sono diversamente correlate, non indipendenti, ma recise l’una dall’altra. Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, “guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano”: non accettano di essere un’unità. Quel che conta è mantenere il medesimo numero di informazioni, la medesima misura del disordine.
“La città esiste e ha un semplice segreto: conosce solo partenze e non ritorni.” – a ogni attimo si parte e si muore, e si rinasce Altrove.
“Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere la città col discorso che la descrive.” – esistono gli occhi che vedono, la mente che ricorda, la mano che scrive: ognuna di esse fonda una nuova città.
“La menzogna non è nel discoro, ma nelle cose.” – certo, è nelle cose la prima delle finzioni, ma non l’ultima, che è questa, al momento: “Olivia è avvolta in una nuvola di fuliggine e d’unto che s’attacca alle parte delle case.”
“La città di Sofronia si compone di due mezze città…” – cosa non è l’altra metà di qualcos’altro? “Una delle mezze città è fissa, l’altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito è schiodata…” – come lo fu la scala di marmo disegnata dal Bernini a Palazzo Bussetti: “… la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi di un’altra mezza città.” – chissà dove sarà stata rinchiusa?
“… Eutropia per capitale, il viaggiatore vede non una città ma molte, di eguale grandezza e non dissimili tra loro, sparse per un vasto e ondulato piano. Eutropia è non una ma tutte queste città insieme, una sola abitata, le altre vuote, e questo si fa a turno.” – strana analogia con gli stati della particella che seguono un cammino che riempie e vuota lo spazio, creandolo di volta in volta.
“È l’umore di chi guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma.” – dipende da come tu ci passi; e “non puoi dire un aspetto della città sia più vero dell’altro.” – Bohr insegnava ai suoi allievi che una particella esiste solo qualora la si attesti, durante l’entanglement fra lei e il suo osservatore.
“Se dunque dovessi descriverti Aglaura tenendomi a quanto visto e provato di persona, dovrei dirti che è una città sbiadita, senza carattere, messa lì come vien viene.” – ignoro se anch’io sono stato messo qui a prescindere da come sarei venuto.
“A certe ore, in certi scorci di strade, vedi aprirtisi davanti il sospetto di qualcosa d’inconfondibile, di raro, magari di magnifico…” – e sono prezioso anch’io?
“– … ho pensato a un modello di città da cui deduco tutte le altre, – rispose Marco – È una città fatta solo d’eccezioni, preclusioni…” – e altre simili negatività.
“Se una città così è quanto c’è di più improbabile, diminuendo il numero degli elementi abnormi si accrescono le probabilità che la città che, pur sempre in via d’eccezione, esistono.” – l’esistenza è sempre un’eccezione.
“A Melania, ogni volta che si entra in una piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo.” – a una relazione, una connessione che ci ri-crea.
Kublai Khan chiede: “Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa.”
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.” – è forse un’illusione che ci sia un arco, delle pietre, una loro relazione.
“… la linea più breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno zig-zag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che si aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte, e ancora aumentano per chi alterna traghetti in barca e trasbordi all’asciutto.” – capita ognora a tutte le particelle del mondo, e ai loro stati fisici.
“… ogni abitante si dà ogni giorno lo svago di un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi…” – ma si arriva Ovunque, ché Ovunque non è realtà certa.
“Perdersi a Eudossia è facile: ma quando ti concentri a fissare il tappeto riconosci una strada che cercavi in un filo cremisi o indaco o amaranto…” – ogni punto è onnicomprensivo.
O può essere che: “la vera mappa dell’universo sia la città d’Eudossia così com’è, un a macchia che dilaga senza forma, con vie tutte a zigzag…” – Polo parla di “urla nel buio”, io di silenzi immoti.
“… l’ingorgo di passato presente futuro che blocca le esistenze calcificate nell’illusione del movimento…” – Time doesn’t exist, sentenziò Julian Barbour. E nemmeno lo spazio.
Polo dice: “Forse del mondo è rimasto un terreno vago ricoperto da immondezzai…” – magari fosse vero, ed esistente!
La città illude con “il suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un diritto e in un rovescio, come un foglio di carta. Con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.” – le informazioni del mondo, pietosa bugia, sono tutte (nessuna esclusa!) indicate in una superficie piatta, assicura la fisica delle stringhe: esistono fino a 11 dimensioni, alcune accartocciate, tutte fittizie.
“L’ordine di successione delle ere s’è perso; che ci sia stata una prima Clarice è una credenza diffusa, ma non ci sono prove che lo dimostrino…” – né che lo neghino: è una teoria scientificamente religiosa.
“Forse Clarice è sempre stata solo un traballio di carabattola sbrecciate, male assortite, fuori uso”: – è la nostra prima e ultima speranza.
“Dicono che questo non è solo adesso che accade: in realtà sarebbero stati i morti a costruire l’Eusabia di sopra a somiglianza della loro città.” – i morti sono il materiale da costruzione da sempre più a miglior prezzo e resistente.
“La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni” – Panta rei esclamò quel tale, un giorno!
“… ma ogni anno la città s’espande e gli immondezzai devono arretrare più lontano…” – conquistando nuovo spazio.
“… più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza.” – più essa s’espande.
Ogni città fa così. Il mondo è questo e null’altro: “I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.” – e si sommano algebricamente.
“Kublai: – Abbiamo dimostrato che se noi ci fossimo, non ci saremmo.
Polo: – Eccoci qui, difatti.”
O il mondo o noi: o nessun Altro.
Io sono Pioli. Tu sei Polo. Tu Kublai. Tu Calvino.
Ha mai conosciuto PioliPoloKublaiCalvino? Io sì.
“… una regina poteva essere una dama affacciata al balcone, una fontana, una chiesa…” – ogni cosa si trasformerà in qualcos’altro.
“Ormai Kubla Khan non aveva più bisogno di mandare Marco Polo in destinazioni lontane…” – Altrove a volte è Qui, Qui è Altrove.
“… era il perché del gioco a sfuggirgli…” – qualcosa scappa sempre, ed è l’essenziale.
“La conquista definitiva…” potrebbe essere “il nulla…” – e tutto il resto che gli corre appresso.
“Irene è un nome di città da lontano, e se ci si avvicina, cambia.” – non si riesce ad attestare la sua particella, se non mutandola.
“… forse di Irene ho già parlato sotto altri nomi; forse non ho parlato che di Irene.” – forse non ho nemmeno parlato.
“Di Argia, da qua sopra, non si vede nulla; c’è chi dice. ‘È la sotto!’, e non resta che crederci…” – ogni conoscenza è fondata su una fede.
“Dov’è il piano che seguite, il progetto?” – A Tecla, nessuno ti risponderà, tutti hanno da fare.
“Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome dell’aeroporto.” – tutto il paese è quel mondo.
“Olinda non è la sola città a crescere in cerchi concentrici…” – perché ne esistono di altri tipi? – un’Olinda si sussegue all’altra, poi toccherà alla “ventura” e a “quelle che cresceranno in seguito.”
“… viaggiando ci si accorge che le differenze si perdono…” e poi si ritrovano, si riperdono, si…
“… la speciale dote di Laudomia è d’essere, oltre che doppia, tripla…” – i vivi, i morti e i non nati. Antonio Moresco li chiama increati.
“… la Laudomia dei morti e quella dei non nati sono come le due ampolle d’una clessidra che non si rovescia, ogni passaggio tra una nascita e una morte è un granello di sabbia che attraversa la strozzatura…”, ogni passaggio strozzerà un’anima.
“Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra i punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere.” – che sia proprio la consapevolezza a elargire mestizia?
“Andria è la sola città che io conosca a cui convenga restare immobile nel tempo.” – non so se è una scelta o una necessità, e nemmeno se è realtà.
“Ogni cambiamento implica una catena d’altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città è il cielo non restano mai uguali”: ha parlato il cielo o la città?
“Ma come ho fatto ad arrivare dove tu dici, se mi trovavo in un’altra città, lontanissima da Cecilia, e non ne sono ancora uscito?” – domanda a cui non è arduo rispondere: “I luoghi si sono mescolati…”
Marozia: “… due città: una del topo, una della rondine.” – che si alternano.
“… entrambe cambiano nel tempo, ma non cambia il loro rapporto: la seconda è quella che sta per sprigionarsi dalla prima”. E = mc2.
“… fuori da Pentesilea esiste un fuori?” – solo se esiste un dentro.
“… la vera Berenice è la successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste…” – materia e antimateria, che rischiano di annichilirsi ogni volta, ma se il cosmo esiste ancora (se!), significa che le dosi non si equivalgono.
Leggo con emozione la Postfazione a “Le città invisibili” di Pier Paolo Pasolini: “… il ventenne, in confronto con il quarantenne è un mostro di realismo…” – meno sognatore, più materiale.
Anch’io un giorno crescerò, e decrescerò, al punto giusto per essere me stesso.
“… è un libro di un ragazzo.” – un’età per cui non ha ancora senso contare.
“… è l’opera di un vecchio.” – un’età che tutto acquisisce un nuovo senso.
“… i desideri sono ricordi…” – credo sognati, e mai scordati, più che vissuti.
È “una scrittura metallica…” – un gioco che fa volare chi scrive (e chi legge).
“Ogni canone è sospeso…” – poiché avanza e torna indietro, in un buio relativo.
“… è il surrealismo…” – che vaga sopra la realtà e la fotografa con una reflex truccata.
“… le città che Calvino sogna, in infinite forme, nascono invariabilmente da uno scontro tra una città ideale e una città reale…” – tutto diventa surreale, fittizio è ormai ogni conflitto.
“… un’anomalia nel rapporto tra mondo delle Idee e Realtà” – il poeta blocca quell’attimo.
Sta a noi smuoverlo ogni volta. Ehi, aspetta! – è Italo che mi chiama. Dimmi, fratello. E le altre città perché non le hai nominate? Perché così potrò un giorno tornarci!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi
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