“La nostra Siria grande come il mondo” di Mohamed e Shady Hamadi: quando la parentela si fa improvvisa
A rischio di cogliere l’assurdità, mi sento di dire che il rapporto fra i genitori e la loro prole muta notevolmente a seconda del sesso. Non rientra l’affetto in questo discorso, ma la competenza. Un figlio si sentirà almeno un po’, a volte per tutta la vita, un rivale del padre. E la stessa cosa capiterà alla figlia rispetto alla madre. Significa che il genitore dello stesso sesso rappresenta un punto di riferimento particolare: io non voglio essere te, ma la mia individualità sarà su di te fondata.
Questo è capitato a me e sta capitando anche ai miei figli. Non è l’unica regola, né essa è priva di eccezioni, ma si tratta di un fenomeno che si ripete normalmente.
Questa è la base teorica da cui ho pensato di dover partire nella disamina di quest’opera che è stata scritta dai due Hamadi, il padre Mohamed e il figlio Shady, un capitolo a testa, rito che si ripete 5 volte, dopo una breve introduzione scritta dal solo Shady, intitolata Un padre e un figlio.
E è una congiunzione ordinaria, non avversativa, ma non è ancora un con. Ora sono curioso di capire cosa rimarrà della mia teoria.
Scrivere, afferma Hamadi figlio, “può diventare un gesto simile a quello del parlarsi, più facile e più complicato al tempo stesso.”
Più facile perché la scrittura si fa da sé e si può auto-correggere, e uno si può prendere tutto il tempo che vuole.
Più difficile perché scripta manent.
Ho tradotto a modo mio l’idea che mi ha appena comunicato Hamadi figlio. Il quale si chiede perché è stato così difficile, per due consanguinei, giungere a una comunicazione reciproca sul tema Siria. La risposta è racchiusa nel dolore che Hamadi padre ha provato in tutti questi anni, e che l’ha zittito.
Mohamed: racconta la sua storia partendo dal nonno che ha solo sentito nominare, e che ha rappresentato per lui il Maestro che ugualmente ha creato la lezione esistenziale che ha informato la sua vita. La sua giovinezza è stata volta a cercare di capire e di agire in nome della giustizia, in un luogo dov’essa era bandita. “Vivevamo in un modo di delatori…”. Dove ogni giorno si celava la minaccia all’esistenza propria e quella degli amici. Ho sottolineato questo periodo: “Una delle cose che più mi sono rimaste di quel periodo è proprio la capacità di guardare negli occhi i miei interlocutori…” – questo ha favorito il “capire da quel contatto visivo cosa stesse passando nella mente dell’altro.” Ogni disgrazia porta con sé un regalo ineffabile.
Shady: guardare “non era un’azione svolta solo dagli occhi, ma anche dalla memoria e dal cuore.” Scrivendo, ora stai trasmettendo a me le immagini non come le hai vissute, ma come le hai sapute trasformare e trasmettere. La scrittura questo è: elaborazione, e poi ri-elaborazione, a volte quasi asfissiante, senza di cui il discorso può essere manchevole o caotico. Essa pretende un ordine che tende a semplificare, limitando, chiarendo; ma anche ad amplificare alcuni concetti. Lo stesso capita quando si scatta una foto con una reflex: occorre scegliere, oltre che il tempo, anche la regione dello spazio-tempo che si vuole far risaltare sul resto del cosmo. Tutto è relativo. Shady, hai conosciuto tua nonna a nove anni, sentendo la sua voce al telefono, distante migliaia di chilometri. Poi la incontri e non riesci a rapportarti con lei, per via della lingua araba che inizierai a imparare solo dopo che hai notato l’esistenza di queste “due barriere da scalare”, che impedivano la comunicazione verbale. Qualche anno dopo, nel 2009, riusciste a superare, più o meno, il problema. Il merito è di entrambi, ma soprattutto tuo, che ti sei sobbarcato in quest’impresa che un po’ invidio. Come già scrissi altrove, fra le lingue l’arabo è quella che più sembra, a me che non la conosco, composta da tutt’un’unica parola senza mai fine. Ma non è così. Sono io l’ignorante senza fine. Tua nonna morirà senza che tu le abbia mai chiesto tutto quello che desideravi sapere da lei. Consolati, è un problema di tutti. Interessante quello che dici dell’ironia del prigioniero: “è uno strumento di sopravvivenza psicologica”, che serve a dissimulare, ma non troppo, gli effetti rimasti dopo la fine del loro dramma umano. Essendo io un uomo solitamente ironico, è probabile che io sia un carcerato senza saperlo. M’inquieta quello che dici sulle morti nascoste “in una fossa comune, un buco dove è negato anche ai genitori un pellegrinaggio del dolore.” Questa è una vera tragedia. Poiché sono, oltre che ironico, anche multitasking, scrivo queste amenità mentre sto ascoltando un tuo video in cui lanci la proposta di creare un monumentum che ricordi l’esodo dei tanti Siriani scappati nel nostro paese, specialmente a Milano. Ti do una bella notizia: in attesa che quegli iloti morali della politica (che tali sono a tutte le latitudini e longitudini) facciano finalmente qualcosa di buono, il monumento a tutti gli infelici uccisi o scampati alla morte fuggendo, lo stai erigendo tu con tuo padre. Perché sono iloti, quei miserabili? Perché sono i veri profughi senza terra, non sapendo gestire nemmeno quella in cui sono nati e su cui spadroneggiano convulsamente. Tu invece vorresti che “gli altri” chiunque essi siano, abbiano gli stessi diritti, anche se “il mio mondo si sta spostando altrove”.
Mohamed: “Mi era rimasta addosso la paura del controllo, l’idea che non puoi mai sapere se qualcuno ti sta guardando e sta ascoltando quello che dici o, addirittura, sta immaginando quello che pensi.” L’Altro è un Io che vive fuori di te, con cui devi rapportarti per poter essere un Noi. Questo è l’Umanesimo. Che rimane un’utopia se vi si innesta il sentimento della paura. Quell’Altro diventa l’ipotetico nemico da cui fuggire. Mohamed ha patito la prigione sia in Siria che nel Kuwait. È stato minacciato, torturato, liberato, costretto ad andarsene via. Eppure le sue parole mantengono un tono conciliativo. La sua serenità è forse ingannevole. Non è facile comprendere se sia sincera. Ammirevole è però il suo sforzo per manifestarla. Resta sgomento il suo ricordo. In Kuwait scoprirono che il suo nome e la sua identità erano falsi. Sei mesi di galera. Dopo un processo viene espulso dal paese. Cioè: è accompagnato al confine con l’Iraq e mollato lì, “in un deserto asfissiante”, insieme ad altri derelitti. Poi si finge iracheno per ritornare nel Kuwait, dove viene ri-beccato in castagna (“altri sei mesi di prigione”!). Mohamed dice che la mancanza di “certificazione vera” da parte delle autorità “è la premessa per garantire i diritti di cui godono i cittadini.” La sua è una banalità a cui non avevo mai pensato. Penso alla mia stupidità quando, nel richiedere la carta d’identità digitale, malvolentieri apposi la mia impronta digitale in un apposito riquadro.
Shady: si reca a Beirut, in un altro dei luoghi frequentati dal padre anni prima. “Il solo pensiero che mio nonno e mio padre avessero camminato per quelle vie o fossero entrati in uno di quei palazzi mi faceva provare una nostalgia fortissima per qualcosa che non ho mai vissuto.”
Mio padre ha sempre vissuto nella città in cui sono nato, salvo per il periodo del militare a Roma negli anni ’30. Gli capitò di veder passare da vicino personaggi del calibro di Mussolini, Hitler e Goebbels. Questo affascina un po’ e fa sorridere. Nulla di più. A me sta capitando il contrario. Amo riportare i miei figli nelle città italiane che ho conosciuto, ad esempio a Trieste e provincia, dove ho svolto il servizio militare. Accompagnando mia figlia Anna all’interno della Grotta Gigante di Sgonico ho provato una certa emozione. Nulla però che si possa paragonare al bisogno esistenziale di Shady di rivivere la vita drammatica del padre. “La malattia della nostalgia mi ha sempre spinto a cercare i luoghi di mio padre per stabilire un contatto.” Sicuro che sia una malattia? O è un’opportunità che manca agli altri? Aggiungi, poche righe sotto: “Volevo trasformarmi nei suoi occhi.” Era un modo di mutare te stesso, aggiungendo nuova energia e massa in grado di proiettarti sempre più Altrove. Tornando al mio caso, decisamente più soft, la logica non è molto diversa. Anch’io ho voluto rielaborare il mio ricordo, rivivendolo con lei. Ricordati che è sempre la stessa fola: E = mc2. Tutto si crea e poi dona sé trasformandosi. Mi angustia non poco l’aneddoto del libraio idealista che tiene aperto il suo negozio senza quasi vendere, per “un atto di resistenza culturale”. Mi angustia molto il suo proposito di bruciare tutti i libri, perché gli altri non meritavano di leggerli. “Il libraio si giustificò dicendo che aveva sofferto troppo negli anni.” Anche tu ti senti rancoroso verso il paese d’origine di metà della tua famiglia. Mi sa che tu ci debba convivere, come si fa con un male oscuro. Finché sarà lui ad abbandonare te. Ora il dramma di tuo padre sta diminuendo i suoi effetti. “Per papà, oggi il mondo è un luogo aperto, un’opportunità.” Questo libro svolgerà da ulteriore terapia. Pensa alla fortuna che hai avuto: grazie alla disgrazia paterna, hai imparato l’arabo. Riporto il tuo pensiero: “Noi siamo il frutto dell’esperienza dei nostri genitori, il nostro spirito, le paure e le emozioni, si formano attraverso le vite di chi ci mette al mondo.”
Mohamed: va in U.S.A., dove scopre che può sentirsi finalmente “Mohamed Hamadi, una persona come le altre, non siriano, non esiliato, non italiano, non un ex carcerato in Kuwait e neppure uomo d’affari in carriera.” Strano che poi si decida di tornare in Italia, per ridiventare tutto questo. Si accorge che Shady “ha capito di essere l’erede di due culture che in casa convivevano, ma che avevano comunque elementi comuni e diversi.” I miei figli lo sono, anche se in misura diversa. Mia moglie è amalfitana. Quando scesi nel 1991 per la prima volta in quella luminosa cittadina, un addetto al parcheggio dei pullman disse a me e al mio amico Onorio: ce l’avete il passaporto? Non sono ancora convinto che scherzasse. Sposarmi con Maria, fra le tante cose, mi ha aperto la mente. I miei figli invece sono nati con la mente spalancata verso due culture non sempre armonizzabili fra di loro. Mohamed parla del suo rapporto con Shady: “Ci siamo sempre amati e rispettati, ma…” in quella preposizione avversativa c’è tutto il dolore che entrambi hanno patito. Si sono scambiate le rispettive solitudini, come fanno le stelle doppie. E hanno raggiunto l’unità che ha permesso la nascita di questo libro. Tutto è avvenuto perché doveva avvenire. E col tempo che il Caso si è scelto da sé.
Shady: racconti quello che ti è successo nella tua infanzia strana di figlio di due mondi così lontani, pur rispettosi l’uno dell’altro. Chiedi a tua madre qual è la tua religione e lei risponde che sei un “libero pensatore”. Eri molto piccolo e non sentisti il bisogno di capire cosa voglia dire. Quando “non mi ricordo più se la suora o la maestra” ti fece alla stessa domanda, tu sapesti rispondere con quelle medesime parole. Ti chiese poi cosa significasse e tu rispondesti giustamente: “Mamma mi ha detto così.” Interessante il rapporto che hai con tua sorella, figlia del precedente matrimonio della madre. “Sono scappato prima io da lei e poi lei è scappata da me. Ci siamo ricongiunti e nuovamente lasciati. È come una ruota che gira…” Anche a me e a mia sorella (due caratteri quasi antitetici) capita questo. Siamo molto diversi. E perciò ci capita più o meno tutti i giorni. Secondo me ci vogliamo bene, come succede a voi.
Mohamed: “La cosa che mi ha sempre colpito di mio figlio è stata la determinazione, la chiarezza sugli obiettivi da raggiungere, sapendo bene cosa è necessario dare in cambio per arrivare a quei risultati: quali sacrifici, quale impegno, quale rigore.” Grande complimento! Mio padre mi adorava, ma non me l‘avrebbe mai fatto perché non lo meritavo. A diciott’anni, durante un pranzo, sorpresi l’uditorio con la mia decisione di non lavorare neanche un giorno in vita mia (avevo appena letto Eros e Civiltà di Marcuse ed ero un appassionato fruitore di autori beat). I miei non gradirono (fecero molta fatica a ingoiare il boccone che avevano in gola). Quando tornai da militare, mio padre, nell’abbracciarmi, mi sorprese dicendomi che mi aveva trovato un lavoretto per tre mesi. Noooo!, pensai, però non potevi aspettare che avessi almeno cenato?! Poi, oltre a quel trimestre, ci aggiunsi quattro decenni di fatiche immeritate! Tu hai avuto un figlio serio, Mohamed! Mio padre ne ha avuto uno rassegnato alla subordinazione. Nel frattempo, tu confessi: “… ero tornato un siriano che pensa alla sua Siria e che di nuovo fa politica, lotta, cerca di cambiare le cose.” Cosa sono io? Un umano che si crede italiano, europeo, terrestre? Non so rispondere alla domanda. Sono orgoglioso d’essere della stirpe di Leonardo, Dante e Leopardi, tutto qui. L’Italia è una terra abbastanza libera. Anche se è una democrazia da bar, dove si può dir di tutto, ma non decidere le sorti di alcunché. Chi determina quanto costerà una pasta e un caffè alla fine è lo stesso che sancisce la Storia del mondo. Della Siria pensi che: “quella terra non sarà mai una terra libera, non ci sarà mai democrazia e ci sarà sempre qualcuno il cui obiettivo è regnare in un clima di confusione e di scontri.” In Italia è lo stesso, con la differenza notevole ma non so quanta duratura: in assenza di scontri. Descrivi alcuni gesti altruisti nella Lombardia del 2013 che mi commuovono molto. Milano e provincia è composta da una popolazione di circa metà meridionali e metà veneti (intendo di origine) e pare che i Milanesi d’origine con tanto di pedigree siano numerosi come i nipponici giapetingi. Tanto razzismo che ho colto nelle parole di alcuni lombardi (se ci vediamo un giorno ti racconto cosa mi disse un giorno un simpatico barista di Ossuccio) è tipico di chi rinnega le proprie remote origini. Ti prego di non diventare anche tu così.
Shandy: “Alla morte non ci pensiamo, eppure è una parte importante della nostra vita…” e lo scopri quando muore tua mamma. È un fatto che fa tremare e che si può esorcizzare meditando il detto arşân: a la môrt a s rîva vîv, alla morte si arriva vivi. Lo diceva mia mamma che era buona circa come la tua. Che è ancora dentro di te, come la mia è dentro di me! L’energia che hai ricevuto da quel decesso ti consente di decidere di volare in Siria. Incredibile quello che ti succede: “quando il velivolo si staccò da terra mi invase un sollievo indicibile.” A me capita il contrario, ogni volta mi si chiude per sette secondi la gola. Giunto in Siria, telefonando da quel luogo mitico a tuo padre, non ti accorgi del senso della tragedia che egli stava ancora vivendo, “perché percepivo solo il mio senso di benessere.” Un compito magistrale del genitore è di saper amare il figlio anche (e soprattutto) quando pensa ai cazzi suoi. Lo dici anche tu: dopo la loro morte si rimembreranno le proprie colpe filiali e ci si sentirà in colpa. Sarà capitato alla maggior parte della prole umana. “… era come se avessi ritrovato un luogo senza conoscerlo, ma in cui non riuscivo a tornare”. E anche tu constati l’orrorifica realtà: “La storia ha portato la Siria da un’altra parte, in un luogo da cui non è ancora tornata e da cui forse non tornerà mai più.” Un solo appunto: mai più è un’espressione che non compete all’uomo. Dici che hai cominciato ad amare la letteratura che riguarda la tortura. Anch’io, non so perché. Ma soprattutto quello che amo chiamare letture d’evasione, gli scritti di chi è carcerato. Il più divertente è Il forzato di Felix Milani. Il più astioso è Senza di me di Kuznecov.
Se vuoi guarire da tale insana passione, ti consiglio Le 120 giornate di Sodoma, però devi poi assumere il necessario ricostituente: Sade prossimo mio di Klossowski. Intanto, buona fuga dall’ottavo capitolo: “Tutti scappavamo da qualcosa, tutti partivamo con la nostra Siria cucita addosso.”
Mohamed: a Sesto abitavi in via Carlo Marx. Ce n’è una anche nella rossa Reggio Emilia (al cui paragone la tua cittadina adottiva è rosa fucsia). Ma anche qui l’aria sta cambiando: pensa che via Marx (intitolata all’ideologo del comunismo, non ai fratelli yankee) porta addirittura a Sesso! Solo 5 km la separano da quest’allegra frazione reggiana. In compenso (e ti ci voglio portare), a Cavriago c’è ancora il busto di Lenin (ai tempi delle lacrime della Madonna di Tarquinia, pare che anche lui si unisse al cordoglio, non dico balle; poi ti racconterò meglio). Dici che cambiasti moschea, quando l’imam “parlava di tormenti per i peccatori anche dopo la morte”. Non fosti in sintonia con lui perché “quelle condanne e torture le avevo subite sulla terra e che non faceva per me una religione che le proponesse anche nell’al di là.” Non ho letto il Corano, ma la sua traduzione italiana sì. Quindi non conosco l’esatto parere di Dio a riguardo. Ricordo soprattutto l’invocazione più frequente: O voi che credete…! Terzo motivo per incontrarci: rispondere ad alcuni miei quesiti su quell’ormai remota lettura. In via Padova ti senti “un cittadino del mondo”. A Reggio c’è via Marsilio da Padova, domani ci faccio un salto. Il tuo avo (bisnonno di tuo figlio) apprezzerebbe il tuo volontariato sociale. La sua eredità psicologica (psiche = anima) risiede nella “fiducia nel fatto che, al di à delle differenze, ci sono tra gli uomini legami più profondi.” Happy end, il tuo: “… la mia giornata, come la mia vita, ha finalmente trovato il suo senso.”
Shady: sarò breve, perché mi sono accorto che ho forse straparlato, com’è mia costumanza. Anch’io come te, amo le opere di Khalil Gibran, poeta profondo e al contempo leggero. Anche lui si sentì forse nel luogo sbagliato, come successe a te e a tuo padre. Cosa capiterà a tua figlia e ai miei due (si fa per dire) pargoletti? Secondo me è un interrogativo da Matusalemme. Non fa per me.
Come vi sarete accorti, la mia non è stata una recensione o una critica, bensì una reazione al vostro libro, che mi ha creato un coinvolgimento (chiamatelo pure entanglement).
Ho cercato di capire la mia anima, cercando di analizzare la vostra.
Nulla di più.
Mohamed, potrei essere il padre del tuo rampollo.
Ti va bene se ti adotto come cugino di secondo grado?
Quanto alla mia teoria: c’ho azzeccato in pieno.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Mohamed e Shady Hamadi, La nostra Siria grande come il mondo, add editore