“Volevo nascondermi” film di Giorgio Diritti: la biografia del pittore Antonio Ligabue
“Ligabue non può non scuoterci, non convincerci…”

Pellicola ascrivibile al genere biografico, Volevo nascondermi è film dedicato al pittore Antonio Ligabue e realizzato nel 2020 dal regista Giorgio Diritti.
Ed è grazie alla sua capace regia, che Giorgio Diritti tratteggia un profilo del pittore molto prossimo al vero. Un profilo intriso di grande umanità; quella che, nonostante le problematiche mentali e fisiche da cui era afflitto, era custodita nel suo animo. Innocente come quello di un bambino.
Ma Antonio Ligabue non era solo un uomo dotato di grande umanità: il suo estro creativo era la sua caratteristica principale, che oggi lo etichetta come uno fra i più validi esponenti dell’arte italiana del Novecento.
“L’arte era la sua vita…”
Nato a Zurigo nel 1899, Antonio Ligabue, interpretato magistralmente dall’attore Elio Germano, fin dalla più giovane età viene dato in affidamento a una famiglia del luogo: le condizioni economiche della madre sono precarie, e non le permettono di occuparsi del figlio.
La famiglia affidataria non lo accoglie però con benevolenza, semmai con una sorta di ostilità.
Le cui cause sono da ricercarsi anche nel singolare comportamento con cui il piccolo Antonio, Tonio per gli amici, si presenta agli altri. Che ne fa un personaggio stravagante, perciò da schernire e un bersaglio da prendere di mira.
Le sue diversità, tristi evidenze che Ligabue si porta appresso, lo rendono un asociale, e in parte sono riconducibili al rachitismo da cui è affetto, dovuto alla malnutrizione.
Difformità, che si accompagnano a una condotta instabile data dal suo carattere, che lo aliena sia dai coetanei come dagli adulti. Ed è proprio a causa del suo temperamento, il quale contempla atteggiamenti anche aggressivi, che viene espulso dalla Svizzera.
Nel frattempo, la madre si unisce in matrimonio con un uomo che assegna il proprio cognome al ragazzo; da Laccabue il suo cognome diventerà Ligabue.
Ed è a Gualtieri, paese d’origine del patrigno, lungo l’argine del Po, che il pittore stabilisce la sua dimora. Un contesto ambientale importante ai fini della narrazione filmica, e focus per illustrare con inedito realismo le condizioni di vita di Ligabue.
Nonostante viva come un diseredato, in una situazione prossima all’indigenza, la comunità del luogo gli dimostra un certo trasporto affettivo, ed è grazie a ciò che Ligabue dà inizio, anche se in modo primitivo, alle sue espressioni artistiche. Ma il pittore non è esente da gesti di autolesionismo, motivo per cui a più riprese viene internato in manicomio. Fino a quando, nel 1927, l’incontro con lo scultore Marino Mazzacurati gli apre un inedito universo artistico, che in seguito lo porterà ad ottenere ampi riconoscimenti.

Nonostante da quel momento l’arte di Ligabue sia molto apprezzata, rimane l’uomo semplice e genuino che è, quello che sarà fino alla fine dei suoi giorni.
Intuendo le sue potenzialità, Mazzacurati lo inizia al mondo dell’arte spingendolo a dare completezza alla sua espressività, dettata dal suo universo emotivo.
Quella che agita il suo animo, ed è oggetto di una pittura realizzata con immagini dai colori accesi e di notevole influenza visiva.
L’iconografia di Ligabue è costituita da belve feroci, riprese nei loro momenti di lotta con scontri anche violenti. Dipinti animati da tonalità forti e prepotenti, al limite del più aggressivo cromatismo, che gli permettono di esprimere il proprio disagio esistenziale, nonché la propria fragilità. Ed è propria la lotta per la sopravvivenza, messa in atto dalle fiere, ad esprimere la sua interiorità che trova la sua origine in una vita segnata dalla sofferenza.
Tali rappresentazioni si possono interpretare quali specchio di un suo intimo tormento, tanto che l’artista pare identificarsi in quegli animali, che verosimilmente sono elementi di riscatto della propria esistenza vissuta in solitudine e priva di affetti. Il quale sollecita in lui il desiderio di una donna. Ma, escluso dall’amore, che istintivamente cercherà a lungo, quest’ultimo sarà sempre un tabù da cui l’artista non riuscirà mai ad emanciparsi.
“Dame un bes” (Dammi un bacio). Richiesta che Ligabue esprime ad ogni donna che incontra, e che nasconde un bisogno d’affetto. Quello che gli è stato negato nell’infanzia, e che è destinato a rimanergli dentro per sempre.
Nonostante la sua produzione pittorica sia motivo di richiamo, il pittore continua a essere affetto da un evidente disagio esistenziale.
Un comportamento atipico, per usare un eufemismo. A tratti, è infatti vittima di una vera e propria alterazione psichica.

Le tinte forti e colorate presenti delle sue opere, visivamente urticanti, diventano un rimando atto a manifestare la sua sensibilità, che spesso si declina in versi e urla non ben definiti, i quali a loro volta diventano motivo per l’immedesimazione con gli animali feroci raffigurati nelle sue tele.
E specchio dei fantasmi che abitano la sua anima.
L’arte di Ligabue è stata inserita a pieno titolo nella pittura naïf, il cui linguaggio artistico non si colloca in una corrente artistica vera e propria, ma è soprattutto un atteggiamento estetico atto a esprimere l’emotività dell’artista, anche se l’autore non ha una formazione professionale o scolastica di rilievo.
Precursore della pittura naïf è stato Henry Rousseau, che già sul finire dell’Ottocento fa un sapiente uso di questa tecnica pittorica.
L’esecuzione con cui vengono realizzate le opere naïf è piuttosto elementare, la cui principale caratteristica è rappresentare in modo fiabesco e allegorico scene quotidiane che, raccontate tramite una visione colma di attributi fantastici in un accostamento di colori vividi traducono in immagini le percezioni proprie dell’artista. Ed è proprio in base a tali presupposti che Ligabue viene etichettato dalla critica come pittore naïf.
Affermando che il frutto delle sue intuizioni pittoriche si origina dalle sue visioni oniriche trasposte sulla tela, che veicolano una simbiosi con gli animali raffigurati.
Tigri con le fauci spalancate, leopardi in lotta con serpenti, galli in accesi scontri fra loro o leoni che attaccano le gazzelle, le situazioni sono illustrate con una violenza ancestrale assai minuziosa.
Ligabue, inoltre, opera anche al fine di realizzare numerosi autoritratti, in un numero prossimo ai 300, avvicinandosi anche alla scultura. Disciplina, anche in questo caso, che si presenta come occasione per sviscerare la propria sofferenza e dare sollievo al suo animo.
Attività praticata con l’argilla recuperata presso la riva del Po, e poi masticata per renderla maggiormente lavorabile. Lavori andati purtroppo perduti, perché non sottoposti al processo di cottura che avrebbe reso il materiale più consistente.
È infine nel 1957 che la notorietà di Ligabue raggiunge un’ampia platea di pubblico e attira l’attenzione dei critici. Tuttavia, il pittore non si affranca dalle sue bizzarrie omologandosi a una certa linearità di comportamento.
Un’esistenza fuori dagli schemi quella di Ligabue, che lo vede spesso accolto in istituti per la cura delle malattie mentali, perché di continuo suffragata da momenti di crisi nervose dovute al suo ‘male di vivere’, che tanto ricordano Vincent Van Gogh.
Ed è un episodio, eclatante più di altri, a confermare la sua inquietudine che con l’età pare non sopirsi.
Si racconta che nel 1961, già famoso e riconosciuto come un valido pittore, viene allestita una sua mostra personale a Roma.
L’artista, però, sembra disdegnare tale evento, e fugge dalla popolarità vagando per tutta la notte fra le strade sconosciute della capitale.

Trascorso qualche tempo, nel 1965, l’artista abbandona per sempre questo mondo, lasciando dietro di sé un’eredità di non semplice interpretazione, ma un prezioso patrimonio artistico di cui i posteri possono fruire.
“A Roma non si parla d’altro che di voi…”
Il pregio del film Volevo nascondermi sta soprattutto nella minuziosità e nella ricerca del dettaglio con cui viene descritta l’univocità di Ligabue, e nella capacità di cogliere la sensibilità insita in un uomo dagli evidenti limiti fisici, ma da un’indole satura di grande umanità.
Film egregio, che mostra un Ligabue autentico, dall’animo genuino che si manifesta in tutta la sua interezza senza veli o nascondimenti di sorta.
E ciò il regista lo mette ben in evidenza, disegnando il profilo del pittore non come una vittima, ma come un essere umano che, seppur con palesi problematiche mentali e fisiche non ha esitato a dar voce al proprio estro creativo vincendo i propri limiti.
Film di grande onestà intellettuale, Volevo nascondermi apre uno scenario su ciò che Ligabue è stato ed ha rappresentato. Uno scenario con risvolti poco conosciuti, ma che fa del film fa un’opera di alto livello. Straordinaria anche la messa in scena della realtà contadina in cui si è consumata la vita di Ligabue; dal contesto storico dell’epoca fascista al realismo impresso alle espressioni del parlato di tutti gli interpreti.
“Ma lei sa fare solo delle bestie?”
Written by Carolina Colombi