“Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani” di Mario Lentano: il mito è un racconto di genere fluido
“Andò a Cipro ed entro nel tempio odoroso/ Di Pafo, dove c’è un suo santuario e un altare fragrante./ Entrò dentro, e richiuse le porte splendenti:/ qui le Cariti la lavarono e la unsero con un olio / straordinario, usato per la pelle degli dèi eterni,/ un olio divino e soave che la profumò tutta./ Afrodite amica del sorriso indossò allora tutte/ Le sue belle vesti eleganti e s’adornò d’oro,/ poi lasciò la fragrante Cipro e si diresse a Troia,/ procedendo rapidamente nel cielo in mezzo alle nubi.” – Inno omerico ad Afrodite
Nel XII secolo a.C. le vicende di una montagna, l’Ida, seconda solo all’Olimpo, iniziarono ad imbastire le storie mitiche di quella che sarà la più grande guerra di quell’epoca: la guerra di Troia.
Molte personalità eminenti si trovarono aggrovigliate nella ragnatela tessuta dagli dèi e tutte avrebbero concorso al loro volere.
Mario Lentano ci porta all’interno della biografia mitica di uno di questi personaggi. Questa biografia non è su nessuno dei grandi personaggi che si sono scontrati per i loro interessi politici o per le grazie di una donna.
Questa biografia è sull’ultimo dei personaggi su cui Omero avrebbe creduto che l’attenzione, secoli dopo, si sarebbe appoggiata: Enea.
“Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani” è un saggio edito da Salerno Editrice nel 2020 e, come anticipato è scritto da Mario Lentano.
Mario Lentano insegna Lingua e letteratura latina. Il suo ambito di ricerca si espande su tutto quello che riguarda il mito e sui racconti che formano il substrato delle origini della città di Roma e della sua età monarchica. Si occupa altresì di Teatro comico in ambito latina, sull’arte della declamazione di scuola e di studiare le dinamiche familiari antiche nel loro ambito antropologico nel mondo antico.
Il saggio inizia con una prefazione doverosa per capire al meglio come affrontare la biografia di un personaggio che non fu di carne e ossa ma con un corpo costituito da racconti mitici, insegnamenti e messaggi per coloro che si sono appassionati alle sue gesta fino a renderlo più uomo di qualsiasi altro.
Ci sono sempre state più versioni delle narrazioni mitologiche, perché?
Il fatto è semplice: il mito è un racconto di “genere fluido”, può cambiare e può arricchirsi di particolari a seconda di chi sia a raccontarlo. È sempre stato così, tutti possono modificare quello che già si sa di un mito e nessuno di questi verrà tacciato di compiere un atto impuro. Tutto questo perché il mito serve a raccontare e risponde ad ogni esigenza di insegnamento che si ritenga debba appartenergli.
La leggenda di Enea inizia con il Poema omerico ad Afrodite. La dea, per una sorta di pena del contrappasso impartita da Zeus, si invaghisce di un membro cadetto della famiglia reale di Troia e gli genera un figlio.
Anchise si trova dunque tra le trame degli dèi, non meno di quanto saranno Priamo ed Ecuba, quando Afrodite gli comunica che il frutto di quell’unione che la umilia diverrà il capostipite di una lunga discendenza.
Tutto in Enea, come accade ai grandi eroi, è stabilito da tempo. Il suo nome nasconde il dolore di Afrodite per la relazione con un umano; la sua educazione fu affidata a delle ninfe Oreadi (nate per vivere al fianco degli alberi e con essi destinate a morire) e, forse, come narra una delle variazioni del mito della sua infanzia, fu anch’egli addestrato da Chirone esattamente come Achille ed Eracle.
Chirone come le ninfe ed Enea sono creature ambivalenti per natura.
Enea verrà restituito al padre quando sarà pronto ad intraprendere la sua entrata nel mondo dei mortali e sarà Anchise a condurlo nel suo percorso verso la maturità effettiva.
In Omero troviamo Enea già uomo, coinvolto nella vita del palazzo reale e nelle azioni di Paride nel ratto di Elena da casa di suo marito.
La sua prima menzione, all’interno del poema omerico, è all’interno del Catalogo delle Navi:
“Comanda i Troiani il grande Ettore dall’elmo splendente,
figlio di Priamo; assieme a lui si armano
i più numerosi e migliori soldati, desiderosi di lotta.
Comanda i dardani il nobile figlio di Anchise,
Enea, che generò ad Anchise la divina Afrodite,
unitasi ad un mortale nelle valli dell’Ida;
non è solo, sono con lui i due figli di Antenore,
Archeloco ed Atamante, esperti di ogni battaglia.”
Ma nonostante Omero lo presenta come un eroe del fronte troiano non lo reputa mai degno della prima fila di condottieri. Inizia anche da questa considerazione la connotazione ambigua del personaggio di Enea.
Non mancheranno autori nei secoli a venire che tenteranno di dare più lustro ad Enea, come Quinto Smirneo nel III secolo d.C., per rispondere ad un’esigenza di spiegare il successo del personaggio che, invece, in Omero non spicca e troppo spesso non è nemmeno, nonostante la presentazione del catalogo delle armi e in quella che l’eroe fa di se stesso ad Achille, degno dell’onore dei protagonisti principali.
Molti dei racconti che ne raccontano il mito o varianti della guerra di Troia sono andati perduti, ne possiamo provare tracce tanto in Omero quanto nel poema che renderà celebre il figlio di Anchise, ovvero L’Eneide, ma non li troveremo e le domande degli storici e dei commentatori di queste opere rimarranno senza risposta.
Il mito tramandato dall’Aedo greco ci mostra Enea in posizioni di forti difficoltà e al limite della codardia, spesso viene salvato dalla madre o da Poseidone in virtù di un futuro che gli è stato destinato ma che non troverà compimento nell’Iliade.
Gli scontri di cui è protagonista Enea avvengono con Diomede che lo mette in ridicolo e, poi, la situazione si ripete con Achille. Infatti, lo scontro con quest’ultimo non solo deve essere monitorato dagli dèi che stanno combattendo, coperti dal proverbiale velo, al fianco dei loro beniamini ma deve essere evitato in tutti i modi.
Per Enea si verifica un fatto senza precedenti nell’Iliade. Non sono eventi inspiegabili a salvarlo dalla battaglia ma sua madre che scende dal suo trono olimpico per portarlo via.
Questo episodio, insieme alla frase che lo vuole in posizione defilata perché furioso con Priamo per la mancanza di lodi al suo operato, concorrerà a tutta una tradizione che dipinge Enea come un eroe codardo che ha lasciato che la sua città crollasse per, nel migliore dei casi, trarne benefici.
Durante i secoli, l’ipotesi che Enea fosse un traditore della sua patria è tornata molte volte. Forse si accordò con i greci, forse fuggì mentre Troia crollava e ogni volta queste variazioni sul tema sono servite a vari scopi.
Ad Ovidio servirono a giocare con Virgilio, cosa che avveniva più spesso di quanto ci si potesse aspettare. L’autore delle Metamorfosi amava punzecchiare l’autore dell’Eneide.
Altre volte, sviscerare il tradimento o la pusillanimità di Enea, è servito a creare un ammirabile esercizio di avvocatura o semplicemente analizzare la natura del governo di Roma in contrapposizione ad Augusto.
Cosa accade quando un mito ha finito di insegnare? Esso viene assunto tra gli dèi ed è finalmente mortale ed immortale al tempo stesso.
Sulla morte di Enea e sulla posizione della sua sepoltura si è discusso non meno che sulla sua vita. Si è parlato della cronologia tra il troiano e Romolo, su quante generazioni siano passate tra i due o non siano passate affatto.
La cosa che è interessante in questo viaggio tra la biografia di Enea scritta da Mario Lentano è che, nonostante tutte le tradizioni diverse, contrastanti e/o complementari, Enea si è fatto uomo: ha contrastato la sua natura cercando di mediare tra le luci e le ombre, ha bilanciato la sua natura semidivina, ha lottato nonostante se stesso assecondando contro ogni cosa che era logica il volere del suo destino.
Cos’è Enea se non lo specchio di chiunque su questo pianeta? Cos’è questo se non un mito che, ogni giorno, dona l’insegnamento più adatto a chiunque cerchi risposte ponendosi domande?
Inoltre Enea ha da insegnare anche quando l’unica cosa che si può fare è lasciarsi guidare e andare alla deriva. Enea non ordisce indovinelli, non mente, non millanta e non inganna, pur cercando conoscenza e facendo ciò che riteneva giusto con le uniche carte che il destino gli aveva fornito: la sua natura di uomo.
“O Citerea, non temere, a te restano i fati dei tuoi
Saldi, vedrai la città e di Lavinio le mura promesse,
e Enea dall’animo grande su in alto, alle stelle del cielo,
innalzerai, né giudizio alcuno è venuto a mutarmi.” – Eneide, Libro I
Written by Altea Gardini