Lucio Battisti: il significato de “I giardini di marzo” in un ritratto semiserio del mese

“Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati/ Al ventuno del mese i nostri soldi erano già finiti/ Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti/ Il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti// […]” – “I giardini di marzo”

I giardini di marzo Lucio Battisti
I giardini di marzo Lucio Battisti

Ecco un ritratto de “I giardini di marzo” di Lucio Battisti ma prima raccontiamo la storia del mese.

Marzo è il terzo mese dell’anno secondo il calendario gregoriano, ed il primo della primavera nell’emisfero boreale, dell’autunno nell’emisfero australe, ha 31 giorni e si colloca nella prima metà di un anno civile.

Il nome deriva dal dio romano Marte, dio della guerra, poiché era proprio nel mese di marzo che generalmente iniziavano le guerre.

È un mese che arriva come un leone e se ne va come un agnello; è una guerra civile fra ruggiti e belati fino alla fine dei suoi giorni.

Se in marzo nevica, la neve è bagnata e se piove, la pioggia è gelida.

Febbraio rappresenta l’inverno, aprile la primavera e marzo, invece, significa particolarmente paesaggi brulli, cielo nuvoloso e tempo melmoso.

Fa volare via il cappello dalla testa degli elegantoni, ridicolizza gli arroganti. I passanti sembrano spaventapasseri dagli abiti svolazzanti, piegati secondo un’angolazione assurda. La gente indossa il cappotto invernale sugli abiti leggeri, stivali di gomma e l’inseparabile ombrello.

È il mese più capriccioso dell’anno, e se fosse una persona sarebbe proprio prolissa, suscettibile ed instabile. Nella nostra vita c’è qualcosa di simile a marzo, in un periodo di transizione in cui il vento soffia da tutte le parti senza che nulla accada.

In marzo, alzando il bavero della giacca, ci si può chiedere: “Nessuno ha trovato ancora una scorciatoia per passare dalla stagione sterile a quella feconda?

E proprio come accade nelle favole, magari in questo mese sarai svegliato dal bacio della Bella Addormentata, accontentandoti momentaneamente della Strega Capricciosa.

Ed a tutti gli appassionati di proverbi come me, ecco quelli del mese: “Marzo molle, grano per zolle” (se umido nuoce al grano) ed il più noto: “Marzo pazzerello guarda il sole e prendi l’ombrello”, che tende a sottolineare la variabilità del tempo meteorologico, tipica di questo periodo dell’anno.

E se non sarà sereno, si rasserenerà!

“I giardini di marzo si vestono di nuovi colori/ E le giovani donne in quei mesi vivono nuovi amori/ Camminavi al mio fianco e ad un tratto dicesti “Tu muori”/ “Se mi aiuti, son certa che io ne verrò fuori”/ Ma non una parola chiarì i miei pensieri/ Continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri (mm)” – “I giardini di marzo”

Alla fine del 1972 nella classifica dei singoli più venduti d’Italia, al quarto posto, finì quello di uno dei cantanti più amati d’Italia, ovvero Lucio Battisti, nato il 5 marzo 1943 a Poggio Bustone e spentosi il 9 settembre 1998 a Milano.

“I giardini di marzo” è diventata, nel tempo, non solo una delle canzoni più amate del cantante romano, ma uno dei classici della musica italiana, tripudio di quell’accoppiata che per tanti anni e tanti album ha visto assieme Battisti e Mogol, suo paroliere di fiducia ed autore anche delle parole di questa canzone che prendono spunto proprio dalla sua vita privata e dalla sua giovinezza. La canzone è inclusa nel quinto album del cantante “Umanamente uomo: il sogno” e contiene altre canzoni diventati classici, come “E penso a te”, “Innocenti evasioni”, “Comunque bella”.

Il brano, una metafora dell’infanzia e della povertà, ma anche un’allegoria più generale della mancanza di coraggio, ha uno degli incipit più noti della musica italiana, difficilmente qualcuno non conosce quel “Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati. Al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti”.

E già da queste prime parole si entra nel mood del pezzo, in quello che racconterà Giulio Rapetti in arte Mogol, era la sua vita, i ricordi d’infanzia, quelli della madre, quei “fiori non ancora appassiti” che il famoso paroliere ha così spiegato: “Mi stupivo che i fiori sui suoi vestiti non fossero ancora appassiti perché li aveva portati così tante volte che era un miracolo che non fossero sciupati”.

Sono tutti ricordi, brevi quadri di una vita inizialmente fatta di stenti e poi anche di amori. Mogol racconta un ragazzo timido, che non ha il coraggio di vendere i libri fuori dalla scuola, a differenza dei suoi compagni e costruisce una canzone fatta di piani temporali diversi. Nel ritornello, infatti, si esce dal passato e si torna al presente: “Che anno è, che giorno è, questo è il tempo di vivere con te. Le mie mani, come vedi, non tremano più e ho nell’anima, in fondo all’anima cieli immensi e immenso amore e poi ancora, ancora amore, amor per te” canta Battisti.

Mogol, poi spiega anche quel discorso diretto, quel “Ad un tratto dicesti tu muori. Se mi aiuti son certa che io ne verrò fuorie dice:Questa è una parte che probabilmente non è stata colta da nessuno e non è molto chiara: ho immaginato una donna che chiede aiuto perché si sta innamorando di un altro ma che contemporaneamente ha bisogno di un supporto per uscire da questa situazione, lei si è confessata e lui invece l’ha ignorata per una questione di orgoglio”.

Concludendo, questo è uno dei massimi capolavori della musica italiana nato dall’empatia, dalla folle artistica magia, dall’immenso feeling creativo di Mogol nel testo meraviglioso ed autobiografico e dal genio musicale di Lucio Battisti, cantautore prematuramente scomparso, indimenticato ed indimenticabile!

Musica e parole si abbracciano straordinariamente, l’introduzione melodica leggera, tiepidamente vera come le giornate indecise di marzo e poi il crescendo refrain nella timida ma potente dichiarazione d’amore fino a scoprire “in fondo all’anima cieli immensi e immenso amoreinsieme agli archi che se chiudi gli occhi davvero ti sembra di volare sopra “fiumi azzurri e colline e praterie dove corrono dolcissime le mie malinconie” e soprattutto dove “l’universo trova spazio dentro me”.

È importante ricordare i grandi artisti per le ricorrenze, sono la nostra storia e cultura, le nostre emozioni. E soprattutto in questo tempo assurdo di un’umanità spenta, allontanata, terrorizzata, anestetizzata, segregata, diffidente, lacerata ed abbandonata le emozioni sono tutto ciò che ci resta.

Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi, emozioni…

Non parlerò mai più, un’artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro.  L’artista non esiste. Esiste la sua arte.– Lucio Battisti

 

Written by Mariagrazia Toscano

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

OUBLIETTE MAGAZINE
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.