“Un cuore pulito” di Romano Battaglia: la crisi interiore e la contemplazione in monastero

Sono venuto in questo eremo, dove da secoli vivono monaci che hanno adottato come regole di vita la contemplazione, la povertà, l’amore per la natura, il silenzio e la semplicità. Ho deciso di trascorrere qui un periodo di solitudine perché sento che ne ho bisogno. Sono stanco, il mio slancio vitale si è affievolito come una candela che, consumatasi lentamente, non dà più luce. Devo ritrovare quella parte di me che da troppo tempo è indebolita dagli avvenimenti della vita, da quel peso che ci impedisce di essere spontanei con noi stessi e con gli altri.”[1]

Un cuore pulito di Romano Battaglia
Un cuore pulito di Romano Battaglia

Inizia così il libro Un cuore pulito” (Rizzoli, Milano 2001), scritto da Romano Battaglia, giornalista e scrittore scomparso nel 2012: l’autore sta attraversando un periodo di crisi interiore, di stanchezza dell’animo e sente il bisogno di silenzio e di meditazione. Giunge dunque in questo vecchio monastero (non meglio identificabile) anche perché ha sentito parlare di un anziano monaco “dotato di grandi poteri dello spirito, capace di risvegliare la parte assopita della nostra anima[2].

Al suo arrivo, lo scrittore viene accolto da Padre Vinicio e Padre Benedetto, il quale gli chiede della sua vita e delle ragioni che lo hanno condotto al monastero e, preparandolo all’incontro con l’anziano carismatico monaco di cui sopra, gli dà un prezioso consiglio: “Prima di avvicinarlo e parlare con lui, dovrai cercare di conoscere la vita del monastero, abituarti alla semplicità e dimenticare qualsiasi attaccamento ai beni materiali che stanno fuori dalle mura. Se non avrai un cuore pulito, non potrai capire pienamente il significato delle sue parole”.[3]

Ma non è ancora il momento.

Il giorno seguente, l’autore parla con padre Gabriele, con padre Francesco e padre Silvano dell’importanza di tornare a lasciarsi istruire dalla natura e dai suoi ritmi, se desideriamo la pace interiore e la verità, ma mai potremo raggiungerle se prima non impariamo ad ascoltare la natura.

Il bosco è un mondo meraviglioso da rispettare, da scoprire. […] Il bosco è un’immensa cattedrale verde e il suo mormorio è la voce di Dio[4], gli dice padre Francesco.

Ma come possiamo accostarci alla natura senza un cuore pulito?

Il titolo del libro ritorna più volte, ma non risulta mai ripetitivo, poiché è associato, anzi è la componente basilare di diverse situazioni esistenziali che ci coinvolgono tutti in quanto esseri umani.

Romano Battaglia sperimenta anche un’intensa introspezione, importante quanto i dialoghi con i monaci: “In questo luogo avrò finalmente il tempo per tracciare un bilancio della mia vita, per inoltrarmi lungo sentieri che non avevo mai battuto prima e capire esattamente chi sono e che cosa ho fatto per me stesso e per gli altri[5].

Può fare ciò proprio perché si è preso una pausa dal logorante e frenetico frastuono della vita di tutti i giorni, in questi nostri tempi, che è un veleno per l’anima, poiché induce anche ad una bramosia che ci fa dimenticare quanto già abbiamo,soprattutto l’amore di cui siamo circondati[6].

Al pomeriggio del secondo giorno, ecco l’incontro con padre Dominique, un monaco francese che ha avuto una vita travagliata e a tratti tragica, sperimentando dapprima l’abisso della disperazione e poi, nella medesima notte in cui ha pensato di togliersi la vita, il dolce conforto della visione di Gesù in una chiesa in cui era entrato per chiedere perdono a Dio. Da lì in poi, la sua vita cambiò completamente e giunse in questo monastero.

Nei giorni successivi, l’autore incontra altre volte padre Dominique e parlano molto, immersi nella quiete della natura del monastero.

Padre Dominique mi sta accompagnando lungo le scorciatoie della vita per condurmi alla scoperta della verità. SI esprime in maniera facile, anche se la sua conoscenza è vasta e profonda. Ci si rende conto che in lui è avvenuta una faticosa rinascita attraverso il dolore”[7].

Il dolore è dunque sempre e solo distruttivo? Solo se ci si arrende ad esso.

Padre Dominique è un esempio di come, dalle profondità della più nera disperazione, ad un passo dal gesto estremo di togliersi la vita, in un attimo si può trovare la forza di risalire, di cambiare vita, di illuminare la propria esistenza.

Che si parli di serenità, di coraggio, di salute e di malattia, l’atteggiamento a cui l’anziano monaco invita è quello di una serena accettazione della vita, guardandola in faccia con gli occhi puri, senza farsi prendere da immotivate paure: “Quanta gente non sa dare il giusto valore alla vita e spreca i suoi giorni in pensieri negativi, sfociando inevitabilmente nella malattia dell’anima[8].

Giunge così il settimo e ultimo giorno di permanenza di Romano Battaglia al monastero.

La conversazione tra l’autore e padre Dominique verte sull’anima, sulla conoscenza di sé, sul rapporto tra spirito e materia. L’anima è proprio ciò che manca all’uomo, poiché questo l’ha abbandonata nel caos della vita di tutti i giorni, dell’angoscia esistenziale, preferendo affidarsi alla tecnologia.

Alla domanda su che cosa sia l’anima, padre Dominique ne dà una definizione che luminosa e pura: “È una luce che ciascuno ha dentro di sé. Pervade il nostro essere, lo illumina, guida le nostre attività, fortifica la nostra volontà, migliora la nostra ricerca. È l’immagine di Dio. Spirito e materia sono in equilibrio grazie ad essa[9].

Romano Battaglia
Romano Battaglia

L’anima è in connessione diretta con l’esistenza: che esistenza si potrà condurre se non si ascolta la propria anima? Saremmo vuoti, distratti, pieni del nostro ego, incapaci di gioire del singolo istante: saremmo persi. Tuttavia, se consideriamo e teniamo per certo che non siamo solo, che c’è “una luce che illumina il nostro cammino, un chiarore che ci indica la strada da percorrere[10].

In particolare, il problema dell’uomo dei giorni nostri è che si ferma alla materia, all’aspetto materiale della vita e da esso ne è catturato; dovrebbe comprendere che la materia non esiste di per sé e non esiste senza lo spirito.

Del resto, Sant’Agostino e Pascal, ricorda padre Dominique, affermavano che, nell’uomo, c’è questa costante lotta fra la tendenza verso il basso e la tendenza verso l’alto, un po’ come il mito della biga alata di Platone, con i due cavalli di cui l’uno tira verso il basso e l’altro verso l’alto.

In una vita in cui si preferisce mettere da parte lo spirito, l’egoismo prende il sopravvento e da questo deriva l’assenza di virtù e di valori. Ma che futuro potremo mai costruire in queste condizioni, considerando che “l’uomo di oggi è il risultato delle azioni di ieri[11]?

Il ritorno alla natura e l’ascolto della nostra voce interiore sono e saranno determinanti non soltanto per costruire un futuro ma anche e soprattutto per essere autenticamente vivi spiritualmente.

Verso la fine, padre Dominique dà un consiglio molto prezioso a Romano Battaglia, che lì era giunto perché stanco e demotivato: “Devi smettere di preoccuparti e di commiserarti. Lascia che sia la stessa voce che ti ha condotto sin qui a guidare il tuo cammino. Devi percorrere la via del ritorno con passo leggero, ritrovare il contatto con la vera essenza del tuo essere, innalzarti al di sopra degli eventi. Impara a distaccarti dalla realtà che ti circonda e cerca di avere un cuore pulito[12].

Solo un cuore pulito vive davvero la vita, perché sa apprezzare il dono di ogni piccolo istante e ogni lezione che la vita stessa ci dà lungo il cammino, perché, nella sua purezza, non è preda dell’io.

Ci sono libri da tenere accanto a sé sempre, nel comodino, nella borsa, o nello zaino.

Libri che, in realtà, non si finisce mai di leggere, una volta incominciato, perché sono fonte inesauribile di consiglio ed ispirazione per ognuno di noi: questo libro di Romano Battaglia è uno di questi.

 

Written by Alberto Rossignoli

 

Note

[1]    Romano Battaglia, “Un cuore pulito”, Rizzoli, Milano 2001, pp.11-12.

[2]    Ibidem, p. 12.

[3]    Ibidem, p. 18.

[4]    Ibidem, pp. 28-29.

[5]    Ibidem, p. 46.

[6]    Ibidem, p. 47.

[7]    Ibidem, p. 78.

[8]    Ibidem, pp. 90-91.

[9]    Ibidem, p. 114.

[10]  Ibidem, p. 115.

[11]  Ibidem, p. 123.

[12]  Ibidem, p. 132.

 

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