“Stjepan detto Jesus, il figlio” di Maria Rita Parsi: la guerra dei Balcani degli anni ‘90
“La mia bisnonna Anja era veramente allegra di natura, perché rideva spesso e cantava. Magari era un po’ sventata e beveva tutte le sere perché diceva che il vino era una medicina. Ma in casa nostra si mangiava sempre qualcosa di buono e si beveva in allegria con chi veniva invitato”.
Stjepan detto Jesus, il figlio, libro della psicoterapeuta Maria Rita Parsi, pubblicato da Salani editore nel 2020 per la collana Salani romanzi, è testo di formazione.
Ma etichettare il libro come un romanzo è forse un po’ riduttivo, in quanto la narrazione affonda le sue radici in una storia, dai risvolti dolorosi, che è emblema del momento storico in cui sono ambientati i fatti: la guerra dei Balcani degli anni ‘90, territorio acceso da violenti scontri fratricidi che hanno visto la devastazione di cose e persone.
Conflitto nato nella ex-Jugoslavia, e che ha visto la popolazione affrontarsi in scontri che hanno causato un numero di vittime molto alto.
Inevitabilmente, la circostanza in cui si sviluppa il racconto è la guerra, con tutte le ripercussioni umane che ne sono conseguite. Gli stupri etnici, per esempio, tema scottante e alquanto crudo che è filo conduttore narrativo del libro. Ma soprattutto è questione spinosa da trattare, seppur l’autrice la affronta con immediatezza e spontaneità, destinando al libro la caratteristica di testo fruibile da lettori di ogni età.
“Io avrei voluto avere subito l’indirizzo di dove trovarla, perché ero addolorato e sempre più impaziente. Allora gli ho chiesto nuovamente di darmelo. Lui non si è spazientito. Anzi, ha cercato su un’agenda che era nel cassetto del tavolo e poi, su un piccolo foglio di carta, ha segnato l’indirizzo di un Internet point”.
Raccontata dal punto di vista di un bambino, frutto della violenza compiuta sulla madre da un soldato, la narrazione è tutta incentrata sul viaggio che Stjepan, il protagonista, intraprende.
Un viaggio fisico, ma soprattutto emotivo, che lo porta alla ricerca della donna che gli ha dato la vita per abbandonarlo poi quando era poco più che neonato.
Verosimilmente per non provare per lui odio e rancore.
Mariaka è una donna in fuga da se stessa e dal suo doloroso passato, ma soprattutto da quel bambino pronto a ricordarle il suo dramma intimo quale è stata la violazione del suo corpo da parte di un uomo senza scrupoli.
Schiacciata da un peso troppo grande da sopportare, per una colpa che non ha commesso, ma che la presenza del piccolo tornava a ricordarle, è andata in cerca di un altrove; un luogo dove rintracciare una parvenza di pace e far tacere i fantasmi che la perseguitano.
Ha preferito quindi allontanarsi da lui e affidarlo alle cure della bisnonna. Che si è prodigata per dargli l’affetto che non aveva e una vita apparentemente normale.
Tuttavia, Stjepan è pervaso dal vuoto che la assenza della madre ha lasciato nella sua giovane vita.
Consapevole della situazione, e a conoscenza del dramma vissuto dalla madre, comprende quanto dolore ci sia stato dietro all’abbandono di Mariaka.
A quel punto, Stjepan non resta altro che fare una scelta, audace e coraggiosa, il cui scopo è risolvere una vicenda rimasta sospesa nel tempo.
Soprannominato Jesus, perché nato proprio nella notte di Natale, il ragazzino, di appena nove anni, parte. Abbandonata la povera casa dove ha vissuto fino a quel momento con la bisnonna, in compagnia di una tartaruga, del suo cane e della sua macchina fotografica lascia tutto per andare alla ricerca della propria madre.
Sarà un viaggio lungo e doloroso quello intrapreso da Stjepan; tuttavia disseminato da incontri proficui e rassicuranti con persone che hanno conosciuto Mariaka, e gli manifestano grande empatia. E, per custodire il ricordo del viaggio, che alla fine sarà un viaggio di trasfigurazione, con loro scatta un’istantanea.
Infine, in un commovente incontro ci sarà la riunificazione con la madre, che per lei sarà anche motivo di riconciliazione con se stessa e con quella parte di sé a cui si è sempre negata.
E sarà l’occasione per Stjepan di rispondere ai molti su cui la sua mente si è a lungo arrovellata.
Quindi, con un gesto forte che consegna l’immagine di un ‘uomo’, e non di un bambino, nell’accezione più positiva del termine, Stiepan va oltre, oltre al legame e al sentimento che nutre per Mariaka. Perché vuole avere notizie anche del padre, pur senza stigmatizzare il suo cattivo comportamento, e neppure vendicarsi del male subito dalla madre, le cui conseguenze sono ricadute anche su di lui.
Ed è così che risponde con un atteggiamento maturo, da adulto, forse troppo per la sua giovane età. È con un atteggiamento colmo di umanità che Stjepan replica ali duri colpi che la vita gli ha inferto.
A quel punto, l’odio, obbligato da un gesto violento e irreversibile, alla fine si trasformerà in un gesto d’amore.
“La bisnonna Anja piangeva spesso pensando alla mia mamma e a tutte le persone che erano morte durante la guerra, o che erano andate via”.
A dare al libro una valenza singolare è una narrazione che si sviluppa attraverso lo sguardo di un bambino, uno sguardo pieno di speranza che si apre al mondo, e che non esita ad affrontare difficoltà pur di trovare quella parte di sé rappresentata dalla presenza di sua madre.
Ambientato in un contesto logistico duro e crudele, e simbolo di sofferenza che ha attraversato la zona dei Balcani, Stjepan detto Jesus, il figlio è testo che suscita emozioni anche contrastanti. Ammirazione e tenerezza per Stjepan, stigmatizzazione per la madre che, nonostante sia stata brutalizzata, avrebbe dovuto prendersi cura del suo piccolo, per nulla responsabile del male commesso da un adulto.
“Quei bambini e quelle bambine delle fiabe mi hanno insegnato a non piangermi addosso e ad accettare l’idea di non poter contare sui genitori. Ho imparato ad affrontare le prove, anche le più dure e difficili, con coraggio, ricercando e trovando gli alleati migliori per sconfiggere nemici, streghe, orchi e orchesse”.
Senza emettere giudizi, l’autrice non affronta la questione degli stupri etnici da un punto di vista etico, ma con un’esplorazione di tipo psicologico, che mette in luce le dinamiche che si stabiliscono tra la vittima e il suo carnefice.
Ovviamente, seppur velata da un racconto struggente, quella che la Parsi esprime con il suo romanzo è una condanna senza se e senza ma. Una condanna per una guerra che, come tutte le guerre, è costata un alto numero di morti.
Scritto con mano felice, quasi in punta di penna, immedesimandosi nel piccolo orfano, la Parsi dà alla narrativa un contributo importante con il suo libro. Da apprezzare e di cui godere, e soprattutto da leggere attentamente, seppur il tema trattato sia scabroso e tocchi il lettore nella sua emotività più profonda.
Impegnata nella società civile, Maria Rita Parsi ha fatto sue campagne di sensibilizzazione atte a soffermarsi su problematiche che dovrebbero suscitare l’attenzione di tutti e non solo degli addetti ai lavori. Quelli inerenti all’infanzia e all’adolescenza innanzitutto.
“Dopo un silenzio lungo e imbarazzante che stavo quasi per alzarmi e andarmene, Zlasko ha allungato una mano e l’ha messa sulla mia mano sinistra”.
Written by Carolina Colombi