“Geografie dell’altrove – Studi su Hölderlin” di Luigi Reitani: coltivare la nostalgia di non esistere

Che dire di un saggio che non è perfetto, come nulla lo è ‘n coppa a ‘sta terra, ma preciso e esauriente come pochi? Nulla di impossibile o di eccessivamente complicato. Basta reagire, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo. Poi la reazione ti condurrà dove ancora non sai, ma sicuramente Altrove.

Geografie dell’altrove - Studi su Hölderlin di Luigi Reitani
Geografie dell’altrove – Studi su Hölderlin di Luigi Reitani

L’Introduzione mi promette una cosa bellissima: non mi darà una visione generale dell’opera di Friedrich, così potrò agire impunemente sui particolari.

In genere scrivo le mie reazioni in itinere, cosicché eventuali infortuni possano essere indennizzati da qualche istituto assicurativo, lasciando che siano gli errori stessi a creare l’errare errabondo di chi erra erroneamente. Con questo smilzo ma opimo saggio, non mi ci si sono nemmeno provato a scrivere man mano che lo leggevo, preferendo sottolineare cautamente alcune frasi, riproponendomi di aspettare infine la lettura della pagina bibliografica, che è la mia preferita in quanto normalmente è l’ultima di ogni libro, per socchiudere qualche istante gli occhi e dire a me stesso: now go west boy!

Fino a ora non ho scritto che inutili amenità, indicando però almeno tre delle direttrici più importanti della poetica di Friedrich (en passant, preferisco citarlo col nome di battesimo, cosicché non mi devo scomodare ogni volta a cercare la o coi puntini in testa).

Heimat è per luiil focolare domestico”, dove egli “vive il legame con la sua terra d’origine con un inestimabile senso di appartenenza”, sentendo l’energia gravitazionale dovutaall’enorme peso morale e simbolico della famiglia e del Ducato nella sua educazione.

Egli sfugge, appena può, dalla sua amata Heimat, per recarsi in Altrovi accessibili. Diversamente, “Il poeta si sposta con l’immaginazione” e Heimat diventa il luogo dove egli può coltivare la nostalgia di (non) essere esistito in altri luoghi, lungo il tragitto dettato dal Nostos, il viaggio verso casa, proveniente da quell’Altrove in cui non è mai vissuto, “laddove la peripezia non risiede nel cammino, ma nella meta stessa”, reale o mistificata che sia.

In una lettera a un amico, Friedrich scrive:Credo che non esista bambino cui non venga in mente di chiedersi cosa c’è oltre il suo orizzonte.”

Mio padre mi portava a camminare lungo l’immenso parco del Campovolo. Mi capitava talvolta di scorgere in cielo la scia di un aeroplano, con davanti quella specie di vespina, come mi pareva il velivolo: allora io gli chiedevo dove potesse essere l’aereo in quel momento. Una volta, per gioco, mi disse che era ormai in Sicilia. Io gli credetti e cominciai a sognare quella terra lontana.

Viaggiare significa uscire da schemi sociali preordinati, far propria l’idea del mondo come divenire, aspirare a una conoscenza assoluta, ma significa anche accettare il rischio della perdita di sé e del proprio luogo d’origine.” Significa soprattutto uscire per rientrare Altrove, in un universo parallelo.

Ho la fortuna di avere tre origini, una reale e due acquisite con la novità esistenziale del matrimonio. Si tratta, ormai, di tre Heimat da cui spesso, appena posso esco, per fuggire, grazie al Nostos, in uno degli altri due Altrovi e, se possibile, in un quarto non ancora conosciuto.

Fra le varie ipotesi sfoggiate da eminenti studiosi sul “nome di Alabanda”, personaggio di Hyperion, sposo l’interpretazione di “andare alla banda, ovvero sbandare.” In emiliano, banda vuol dire parte, dal mé bàndi, specie nel bolognese, significa dalle mie parti: uno dei tanti Altrovi possibili.

Mi accanisco a usare un plurale non gradito al correttore del mio programma di videoscrittura. Perché lo faccio? Perché non v’è un solo Altrove, bensì uno alla volta. Nella memoria essi sono tanti, discontinui fra di loro, pur essendo uniti dall’energia che ho consumato per raggiungerli uno dopo l’altro. Le bande sono qui, con me, ma anche là, col me che verrà. In più tarda età rispetto a quel fanciullo che si aggirava insieme all’amato padre nel parco del Campovolo, a me piace tornare sul luogo del delitto, insieme a una nuova ipostasi di me, che può essere un figlio, un congiunto o un amico, in modo da rivivere con occhi nuovi (i suoi e anche i miei) quella mia antica banda.

Nel capitolo dedicato all’influsso di Goethe su Friedrich, riporto la perla che mi ha maggiormente colpito. Friedrich va a trovare “l’idolatrato ‘maestro’” Schiller ed è disturbato dalla presenza di un misconosciuto scrittore, che diventerà l’autore di quel Werther che tanto influenzerà il suo Hyperion.

Per il resto, basta leggere il capitolo e s’imparano tante altre cose, che non son degno di riportare.

Luigi Reitani
Luigi Reitani

Nel successivo capitolo, Luigi Reitani tratta alcuni aspetti della poetica di Friedrich: “Non si parte più dalla natura umana, ma dalla letteratura”, però ci si rientra subito, umanizzando il personaggio, che acquista la sua linfa vitale dall’unico umano in carne e ossa che ha conosciuto, l’autore. Le esperienze dell’uno si mescolano a quelle dell’Altro. È un po’ quello che dice Stephen King, che la storia la creano i personaggi, mentre allo scrittore spetta il gravoso compito di star loro dietro.

Friedrich attribuisce a ogni suo frammento poetico un valore operativo, simile a quello che è previsto dalla famosa teoria einsteniana E = mc2. Questa è la mia personale e assurda sintesi di quel che ho capito di quanto Luigi ha scritto nel capitolo successivo.

Il senso dell’arte moderna è invece dato nel futuro: la progettualità contemporanea è anticipazione di ciò che rivelerà la propria compiutezza solo nel tempo.” Il poeta èun filologo-ermeneuta, artefice di una rivoluzionaria ‘archeologia del sapere’, il quale è in grado di ricomporre i cocci del passato, frantumare la crosta del presente e progettare le sue idee nel mondo di domani.” Questo è il carico di lavoro svolto da un poeta che per 38 anni, fino alla morte, ha sofferto di schizofrenia. Ogni cosa è possibile, per quanto improbabile e, quando non lo è, diventa, in casi estremi, incontrovertibile. Perché questo accada, come per ogni esperimento della fisica moderna, occorre non tanto il metodo galileiano, ma soprattutto l’utilizzo della matematica, la più indecidibile delle certezze umane.

Ogni frammento è tale solo se si distacca dal mondo attuale, per produrne uno a sua misura. E su questo progetto non occorre andare alla cieca, ma basarsi su una vera e propria ingegneria del Nulla, del Vuoto, del Caos.

Luigi scrive che Friedrich lascia ai posteri tutta un’eredità di frammenti”, rimanendo “in questo naufragio, l’astratta certezza dei numeri e del loro calcolo, il virtuosismo geometrico dei significanti. Da queste schegge e da questa matematica nascerà nel Novecento la grande lirica europea.”

Nel capitolo seguente, Luigi affronta un testo, il cui titolo è già un mistero: Die NympheMnemosyne.

Qual è il reale titolo definitivo: quando la particella, secondo la tesi di Bohr, al contatto con la misura da parte dell’osservatore, inizia finalmente a esistere? Il fatto che Mnemosyne sia sotto a Die Nymphe, depone che sia essa l’esistenza finale della poesia. Ma perché Mnemosyne?

Finale finché qualcuno non la rilegge e ne discute l’esistenza. Quindi perennemente oscillante fra l’essere e il non essere, anzi: l’esistere e il non esistere. Nella poesiaAchille mi è morto/ e Ajace giace”, “E perirono molti altri ancora”, “Ai celesti infatti non/ aggrada, se qualcuno non serba l’anima/ trattenendosi, ma egli deve; a lui/ simile manca il lutto.”

Scrive Luigi:Ritengo tuttavia che ci siano numerosi elementi probanti a favore della tesi che qui Hölderlin parli dell’errore del lutto.”

Non so dire perché, meglio: non so esprimerlo, ma la mia mente va a Keats:

“Una cosa bella è una gioia per sempre/ cresce di grazia; mai passerà /nel nulla; ma sempre terrà/ una silente pergola per noi, e un sonno/ pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato.”

Se la formula di Einstein è valida per tutto ciò che esiste, per ogni suo frammento, e se il principio della termodinamica, mai comprovato, ma che funziona Ovunque, non cesserà di essere tale: perché mai piangere? Se a thing of beauty is a joy for ever?

Mnemosyne è il ri-cordare, il ra-mmentare, il ri-membrare tanta bellezza.

La figura retorica del chiasmo, come il leopardiano io solo combatterò, procomberò sol io, non può essere un semplice orpello nell’opera di Friedrich, perché in essa nulla è semplice, ma tutto lo è, orpello, essenziale e mai causale. Caso o necessità? La risposta è una sola: Friedrich!

Lascio Luigi alla sua formula matematica a + b: b + a, e passo al capitolo successivo.

La dissonanza è quindi quel dolore nella storia di un individuo (e del mondo) che ne sembra negare a prima vista l’armonia, ma che si rivela essere parte di un generale disegno compositivo.”

Plotino crede che la bellezza e l’armonia musicale, assieme all’amore, costituiscano le prime tappe della risalita verso la Luce della conoscenza, conquistabile alla fine dalla sola filosofia.

Per Gialal, poeta islamico, la musica terrena evoca, similmente, quella delle sfere celesti, la vibrazione creatrice che ha dato inizio al mondo.

Il cristiano Massimo ha in comune con gli induisti Sciankara e Aurobindo e col taoista Zhuang-zi la visione dell’universo come gioco cosmico.

I numeri rivestono grande importanza nelle teorie cosmologiche di Pitagora, in quelle di Giamblico, nella Cabala giudaica, in Gioacchino da Fiore e nel Giainista Vardhamana.

Quant’è tipico dell’uomo l’affidarsi alla musica, al gioco, alla bellezza, all’amore, che rappresentano la soluzione che regolarizza, almeno per quel frammento temporale che è l’attimo, l’abisso, l’immensità del vuoto che ci circonda.

Friedrich Hölderlin
Friedrich Hölderlin

Friedrich bin ich, aber du auch!

Il penultimo capitolo mi fa inorridire, quando mi avvedo delle profonde differenze esistenti fra le traduzioni di Hälfte des Lebens, effettuate da Errante, Contini, Traverso e Vigolo, così diverse fra di loro, a partire dal titolo (uguale solo negli ultimi due), quasi contrastanti, eppure interessanti, traduzioni gravemente traditrici, e forse inevitabilmente tali.

Scrive Luigi:Ritengo che ogni poesia viva per essere tradotta”, che è come dire che si ritiene che ogni essere vivente viva per morire, trasformando sé in Altro. “La sua unicità linguistica aspira a essere declinata. La traduzione non è una duplicazione 1=1”. È forse la solita equazione di Albertino? Si parla di una funzione simile a quella resa da un medium: “Una traduzione può però gettare nuova luce su un testo e infondergli la vita.” La traduzione è quindi una Resurrezione, una delle tante possibili.

“… una poesia non tradotta è una poesia tendenzialmente morta.”

Nel caso di Friedrich, la cui massima parte dell’opera poetica non risultò mai pubblicata in vita, è oggi ricavabile solo da reperti monumentali e archeologicamente discussi a ogni livello, localizzata e quasi nascosta in quaderni dalla grafia a volte indecifrabile, in numerose versioni fra loro divergenti, pur semplicemente, il compito del ricercatore diventa simile a quella del creatore.

Ipotizzo che un traduttore di Friedrich, nell’assumersi tale responsabilità, non possa che assolvere il suo compito con rigore e pertinacia, oppure rinunciare a tale eroica impresa.

A pagina 165 sono elencate tutte le problematiche, che rendono incerta e indeterminabile qualsiasi attestazione finale di ciascun verso di Friedrich. Se si sceglie un aspetto, se ne trascura un altro (in modo simile al principio di indeterminazione di Heinseberg, che impedisce di misurare con precisione, al medesimo istante, la posizione di una particella e la sua quantità di moto).

In un punto, ormai disperso, del cosmo creato da Luigi Reitani, qualche autore afferma (e Luigi prontamente riporta) che ogni scrittura è una forma di traduzione. È rappresentazione dell’Altro. Il fatto è tanto ovvio, da parere un attestato miracoloso e dal significato ineffabile.

Perché leggere ancora Hölderlin, si chiede ancora Luigi, nell’ultimo capitolo.

Perché egli crea una nuova Grecia che esiste anche senza doversi recare colà. Esiste ora in lui, e ora anche nel lettore. I due istanti sono separati temporalmente, ma non spiritualmente.

Egli funge da tramite, per iniziare un viaggio verso un luogo che non esiste per tutti, ma solo per chi vi si reca, in compagnia di questo Assurdo Essere, che c’è già stato e che ti permette di assistere alla sua Altra Esistenza.

La mia proprietà (Mein Eigentum) è l’ultima poesia esaminata da Luigi. Termina in questo modo: “Benedite la proprietà di ognuno,/ benedite anche la mia e troppo/ presto la Parca non metta fine al sogno.”

Ciò che caratterizza questa ode è speranza nella disperazione.

Nessuna poesia d’amore di Hölderlin può fare a meno di parlare dell’addio.”

La gioia è l’altra faccia di una lancinante ferita.”

“… cuore lega sempre idealmente con dolore.”

È un gioco con la logica della percezione e con la logica in sé.”

La figuratività di Hölderlin è spesso bollata con il marchio dell’incomprensibile, semplicemente perché si oppone a qualsiasi decifrazione lineare.”

Luigi Reitani - Friedrich Hölderlin
Luigi Reitani – Friedrich Hölderlin

Il poeta che sogna la Grecia, piange quando lascia la Germania:Cosa, infatti, ho di più caro sulla terra?

Finisco questa mia ridicola reazione citando il caso di Sergio B., mio condomino, di anni 81. Unica lingua da lui conosciuta è l’arşân, lingua che egli parla alla perfezione dall’età di un anno. Una volta mi disse che an l era mai stê in nsûn sît, in nessun Altrove si era mai recato, unica eccezione, mi disse, in viaggio di nozze (un lusso alla sua epoca), quando si recò con la sua sposa in Belgio. Ah, sì?, gli chiesi, in quale città? An al so mia in che sitèe, l era andê a cà ed mé cusèin! Erano passati ormai sessant’anni, e Sergio non si ricordava la città, ma appena appena la nazione. Non ebbi il coraggio di chiedergli se avesse mai mangiato un piatto di moules et frites o di carbonade flamande. Secondo me gli hanno fatto i cappelletti col brodo di cappone e i tortelli di zucca. E han bevuto al lambrósch portato dagli ospiti dalla loro Heimat arşâna.

La differenza tra Sergio e Friedrich è tutta qui: il primo, ovunque sia, si sente a casa propria (più in cortile a raccogliere foglie mosse dal vento, che a poltrire dentro l’angusto appartamento), evitando con cura di esporsi Altrove. Il secondo, tutt’oggi, vaga spaesato da un Heimat all’altro proseguendo il suo infinito Nostos.

Lo ripeto, casomai non si fosse capito bene: Friedrich bin ich, aber du auch!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Luigi Reitani, Geografie dell’altrove – Studi su Hölderlin, Marsilio, 2020

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *