“Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo: nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano nella vita
“Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano nella vita.” – Eduardo de Filippo
Così affermava Eduardo De Filippo, autore e attore dall’ampia visione teatrale, non focalizzata soltanto sul teatro napoletano di cui è stato un amato e apprezzato maestro.
Nato a Napoli il 24 maggio 1900, in questo 2020 che volge al termine, ricorrono i 120 anni dalla sua nascita. Cosa c’è di meglio, quindi, per omaggiare la vitalità artistica di un drammaturgo tra i più significativi, se non ricordare il suo lavoro teatrale Natale in casa Cupiello?
“Questo Natale si è presentato come comanda Iddio…” – Luca Cupiello
Opera dai connotati tragicomici, Natale in casa Cupiello, nell’immaginario comune appartiene a un’intramontabile e classica rappresentazione del Natale. Seppur l’atmosfera che attraversa l’opera non sia affatto festosa, ma i toni dei dialoghi uniti a gesti e ad epifanie sono espressione di un clima mesto, il cui motivo si conoscerà nel prosieguo della commedia.
Realizzata nel 1931, e portata in scena il 25 dicembre dello stesso anno a Napoli, sono state svariate le rappresentazioni teatrali e le trasposizioni cinematografiche di cui ha goduto, oltre ad adattamenti per la TV, anche se l’esordio rimane l’opera per eccellenza.
“Un parto trigemino con gravidanza di 4 anni…” – Eduardo De Filippo
Così si esprimeva l’autore descrivendo Natale in casa Cupiello. In origine, infatti, la fatica di Eduardo era stata pensata in un unico atto. In seguito, grazie al successo e alla popolarità di cui è stata oggetto, la messa in scena è stata ampliata, ed oggi consta di tre atti.
E ora la trama, pregna degli elementi natalizi per tradizione, di cui il presepe è il più rappresentativo.
“Con la tecnica non si fa il teatro. Si fa il teatro se si ha fantasia.” – Eduardo De Filippo
Gli avvenimenti affrescati nella commedia hanno inizio il 23 dicembre, antivigilia di Natale, e hanno la durata di 5 giorni circa; a testimoniare gli accadimenti è l’interno dell’abitazione della famiglia Cupiello, unica ambientazione in cui si svolgono i fatti.
Ad affiancare De Filippo, autore e sceneggiatore della messinscena, una scuderia di attori, tutti inimitabili e dall’eccellente interpretazione.
Nei panni del capofamiglia, troviamo Luca Cupiello, impersonato dallo stesso De Filippo. Che è occupato ad allestire il presepe, incarico a cui si dedica ogni anno con estrema partecipazione, il quale è elemento fondante all’interno della narrazione, ed estremamente significativo dietro cui si nasconde un disagio familiare dovuto a conflitti latenti e non risolti che esploderanno poi nel dramma.
Mostrato come un ingenuo, quasi fosse estraneo alla realtà familiare che lo circonda, Luca appare come un uomo trasognato e intento soprattutto ad abbellire il suo presepe, palesandosi come un padre non adeguato a esercitare il suo ruolo.
Ma ciò non corrisponde a verità perché, nonostante l’apparenza, Luca crede profondamente nella famiglia che ha creato insieme a Concetta, la moglie.
Tuttavia, il suo legame ancestrale con il presepe è talmente forte, da essere elemento trainante dell’impianto narrativo, fino ad assumere il ruolo di protagonista. E per Luca è anche mezzo per ottenere dai suoi congiunti un apprezzamento che forse non gli hanno mai tributato, perché dietro ad un’animosità mal celata si nasconde un’accesa ostilità. Ma soprattutto rappresenta un patto con la sua tradizione, un valore legato al passato a cui non può e non vuole rinunciare.
Rappresentazione plastica della sua famiglia, così la intende Luca, ma innanzitutto ritratto di quella di Nazareth, la famiglia per antonomasia.
Inoltre, lo si può anche interpretare quale occhio attraverso cui Luca assiste allo spettacolo della vita che si svolge davanti a lui, mentre estasiato ammira il suo lavoro, credendo di far scendere attraverso di esso pace e serenità sui suoi cari.
“Sulla scena so esattamente come muovermi. Nella vita sono uno sfollato.” – Eduardo De Filippo
Altro personaggio focale ai fini narrativi è Concetta, sua moglie, che l’ha preceduto nel risveglio, ed è indaffarata a svolgere i lavori domestici. Concentrata sui suoi compiti di casalinga, presta poca attenzione alla ‘creazione’ di Luca, mostrandosi non solo indifferente ma anche infastidita dall’occupazione del marito.
Tommasino è altro personaggio che partecipa alla rappresentazione; figlio di Luca e Concetta è un ragazzotto che oggi potremmo definire un ‘bamboccione’.
Quindi, Pasquale, zio del ragazzo e fratello di Luca. Anch’esso personaggio singolare, in quanto dotato di poca voglia di ‘faticare’, e approfitta della sua condizione vivendo a carico del fratello.
“Ogni minuto muore un imbecille e ne nascono due.” – Eduardo De Filippo
Nonostante il clima non sia gioioso, la famiglia vive i momenti che anticipano il Natale avvolta da un’apparente tranquillità. Ad irrompere e portare scompiglio è Ninuccia, anch’essa figlia della coppia, che arriva sulla scena con un impeto esagerato. E, strepitando fa il suo ingresso nell’abitazione e partecipa i presenti alla sua drastica decisione: abbandonare Nicolino, il proprio marito, uomo d’affari gradito ai genitori della giovane, i quali considerano un vero colpo di fortuna averlo sposato. Ma, innamorata di un altro con cui vorrebbe scappare, alla giovane non importano più i quattrini del marito e il benessere che questi le procurano.
Ed è fra parole pesanti come pietre e una sotterranea ironia, che nasce un’animata discussione fra la figlia e il padre, artefice di un equivoco tanto clamoroso quanto dannoso, il quale non concepisce l’innamoramento della figlia di un uomo che non sia il marito.
Della controversia fra i due è Concetta a pagarne lo scotto, la quale è vittima di uno svenimento causato dall’apprensione per la sciagurata decisione della figlia.
Mentre, nel trambusto che si è venuto a creare come dal nulla compare una lettera.
Una missiva dal contenuto intimo, in cui Ninuccia dichiara al marito il proprio innamoramento per un altro. Involontariamente, e senza essere consapevole del contenuto della lettera Luca la consegna al marito di Ninuccia, arrivato nel frattempo a casa Cupiello.
Le vicende che poi si sviluppano vedono Ninuccia riappacificarsi con Nicolino.
Mentre, dopo aver sciolto il nodo dell’ingarbugliata vicenda, almeno apparentemente, continuano i preparativi affinché il Natale sia davvero un momento condiviso in famiglia e frutto di accoglienza. Accoglienza a cui Tommasino risponde accompagnandosi con Vittorio e portandolo con sé presso l’abitazione dei genitori, il quale si scoprirà essere l’amante segreto di Ninuccia.
Se non che, gli equivoci all’interno della famiglia Cupiello sembrano non avere fine, in quanto Luca invita Vittorio a consumare la cena in loro compagnia.
Nonostante Concetta si prodighi perché Vittorio e Nicolino non si incontrino, ugualmente i due si incrociano in un momento disgraziato, nell’istante in cui i due amanti suggellano la loro intesa in un abbraccio.
Testimone di quel gesto, non appropriato a una donna perbene e maritata, è Nicolino, il quale invita il giovane a uscire di casa e a confrontarsi in un duello, come accadeva in altri tempi quando due avversari si sfidavano per contendersi le grazie della stessa donna.
Infine, dopo gli ultimi drammatici avvenimenti, nel terzo atto, sentendosi responsabile del pasticcio e a causa delle troppe emozioni, il capofamiglia ha un malore. E colpito da un ictus è costretto a letto incapace di compiere anche i più semplici gesti quotidiani.
Ed è così, con un finale che non è a lieto fine, e non offre allo spettatore gli elementi di una bella favola dal tipico spirito natalizio, che si conclude Natale in casa Cupiello. Finale che arriva quasi inaspettato portando un velo di mestizia su tutte le vicende.
Mestizia che è un po’ filo conduttore di tutta l’opera, attraversandola in maniera sottile, seppur palpabile, e da rintracciarsi anche negli atteggiamenti di Concetta e di Tommasino, non così propensi a celebrare il Natale attraverso l’iconografia del presepe, come invece avrebbe desiderato Luca.
“Essere superstiziosi è da ignorante, ma non esserlo porta male.” – Eduardo de Filippo
Opera fondata sulle molteplici incomprensioni che vedono la famiglia Cupiello dibattersi fra equivoci e verità, atti a ricordare la commedia degli errori di shakespeariana memoria, è affresco di vicende non proprio edificanti in cui nascono e si sviluppano contrasti propri di molti nuclei familiari, e a cui i Cupiello non si sottraggono. Il tutto raccontato con un’ironia di fondo intrisa di tristezza.
“Per fare buon teatro bisogna rendere la vita difficile all’attore.” – Eduardo De Filippo
La chiave di lettura con cui si può interpretare il lavoro di De Filippo può essere più di una, ma la morale è una e unica, seppur nascosta dietro a qualche risata, risate amare però.
Rappresentazione delle miserie umane, neppure troppo sotterranee, le quali nascondono nodi familiari intricati e difficili da sciogliere propri del tema dell’incomunicabilità familiare, Natale in casa Cupiello non è un lavoro teatrale costruito sul sentimentalismo tipico del Natale, dove alla fine la benevolenza trionfa sulle contrarietà. Ma un’opera che descrive come la principale festa della cristianità non sia esente da problematiche e conflitti che abitano in seno a molte famiglie.
Da aggiungere l’abilità interpretativa dei personaggi, tutti, nessuno escluso, che hanno contribuito a realizzare un’opera di spessore artistico e umano di rilievo.
Antieroe per definizione, Luca è personaggio sui generis, così concentrato sull’allestimento del presepe sembra un uomo alieno alla propria realtà familiare, nonostante pensi di aver costruito un modello di famiglia felice. Così distante dalle questioni vere che toccano i suoi appartenenti, tanto da crearsene una rappresentazione che non corrisponde al vero, anche se per lui è simile a quella riprodotta nel presepe.
Ed è solo attraverso la malattia che gli arriva la consapevolezza di aver fallito, un declino doloroso non solo fisico ma innanzitutto morale, una constatazione che si cristallizza diventando realtà, triste e definitiva.
Attraversata da un forte pathos, elemento potente di tutto l’impianto scenico, la commedia vede la contrapposizione fra i sentimenti che Luca nutre per i suoi familiari e la realtà che gli si svela in tutta la sua crudezza, distogliendolo dal suo letargo emotivo che lo porta a essere consapevole del tracollo della sua famiglia.
La solitudine, altro elemento che attraversa tutta l’opera, e condizione inalienabile dei personaggi è da interpretarsi come raffigurazione plastica delle incomprensioni fra gli uomini.
Ed è proprio tale sentimento che abita soprattutto in Luca, più che negli altri personaggi.
“Te piace ‘o preseppio?”
Frase storica in cui Luca chiede al figlio cosa ne pensi del suo lavoro, ponendogli una domanda già ripetute, e a cui il ragazzo ha sempre risposto con un rifiuto. Soltanto quando capisce che il padre è in gravi condizioni, lo accondiscende con un ‘sì’, appena sibilato.
Ed è proprio in quel momento che il giovane comprende di non potersi svincolare dalla tradizione del Natale, quella tradizione che ha sempre vissuto con insofferenza, perché le sue radici sono lì, in quella rappresentazione familiare da cui gli è impossibile affrancarsi.
Anche per Ninuccia il momento della consapevolezza arriva quando lo stato del padre le si rivela in tutta la sua gravità; solo allora capisce l’importanza della famiglia, quale rifugio di fronte alle avversità della vita e scudo che protegge i suoi appartenenti.
Anche Pasquale a quel punto è consapevole di essere un uomo solo, nel momento in cui gli viene a mancare il sostegno del fratello ormai prossimo all’abbandono.
“Per far rimanere tutti a bocca aperta…” – Eduardo De Filippo.
Sono più di uno i messaggi trasmessi dall’opera, ed è lo spettatore a doverli cogliere per apprezzare davvero un’opera tutt’altro che banale, nonostante susciti qualche sorriso, anche se sorrisi tristi.
Spaccato di vita vera, che ha sfiorato la soglia dei 90 anni dal suo debutto, Natale in casa Cupiello custodisce in sé una sorta di crudo realismo accostato ad elementi che ne fanno un testo teatrale di assoluta attualità, atti a sottolineare la dicotomia fra tradizione e modernità.
Ed è proprio in ciò che sta il valore intrinseco dell’opera, l’intramontabile modernità di cui gode l’opera, nonostante il lungo arco temporale trascorso dal suo esordio.
“Non chiamatemi senatore, ci ho messo una vita a diventare Eduardo” – Eduardo De Filippo
Written by Carolina Colombi