Le métier de la critique: Ludwig van Beethoven, tra Classicismo e Romanticismo
“Voi siete quello che siete per accidente di nascita; mentre io sono quello che sono per opera mia. Principi ce ne sono tanti. Ma c’è un solo Beethoven”. – Ludwig van Beethoven al principe Lichnowsky

A 250 anni dalla sua nascita, 16 dicembre 1770, Ludwig van Beethoven, uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, merita di essere celebrato come un mito indiscusso. Non solo dagli amanti della musica classica, ma anche dai neofiti che si affacciano a lui con reverenziale timore.
È un lungo arco temporale, quello che divide gli anni Duemila dal giorno in cui Ludwig van Beethoven vede la luce; tuttavia, l’interesse e l’attenzione per la sua produzione artistica non si sono mai spenti.
Ad arrivare fino a noi è la figura inossidabile di uno dei maggiori rappresentanti della musica vissuto a cavallo dei secoli ‘700 e ‘800; che, musicalmente appartiene a entrambi, in quanto connesso al Classicismo ma anticipatore del Romanticismo.
Il contesto domestico in cui il musicista nasce e cresce è per tradizione legato alla musica. Il nonno, raggiunta Bonn dalle Fiandre, i van Beethoven sono infatti di origine fiamminga, occupa il posto di strumentista presso la Cappella arcivescovile. A succedergli, in veste di tenore, è il padre di Ludwig, uomo dotato di sensibilità musicale, sebbene venga descritto come un uomo violento, dedito al bere e severo fino all’esagerazione nei confronti del piccolo Ludwig. Che, spronato dallo stesso, il quale probabilmente ne aveva intuito le potenzialità, manifesta attitudine e talento musicale fin da piccolo. A conferma di ciò, nonostante sia un ragazzino timido e introverso, è il suo debutto in pubblico alla giovanissima età di 7 anni.
Avviato all’esercizio del pianoforte e dell’organo, oltre che allo studio della composizione, grazie alla sua evidente inclinazione musicale ben presto il giovane diventa organista di corte.
Quando raggiunge Vienna definitivamente, città dove consuma il resto della sua esistenza, è il 1787. Sul finire del XVIII secolo, Vienna, capitale della musica occidentale, rappresenta per ogni musicista il luogo dove poter esprimere la propria creatività, un ambiente artisticamente vivace dove coesistono realtà culturali fra le più variegate.
Ed è in tale contesto che Beethoven si inserisce e, in virtù delle sue notevoli capacità, attira l’attenzione dell’aristocrazia viennese. Con grandi apprezzamenti dovuti al modo di esprimere la propria sensibilità musicale, che può declinarsi con modi eleganti e raffinati, oppure impetuosi e vivaci, favorito in ciò da un tipo di musicalità scandita da un’ispirazione emotiva dotata di un’enorme espressività.
È nel 1792 che Beethoven incontra Franz Joseph Haydn, musicista già consacrato, il quale si offre di guidarlo negli studi. Che, insieme al compositore Antonio Salieri, saranno presenze durevoli che accompagnano l’evoluzione musicale del giovane. Il cui talento si manifesta soprattutto tramite il pianoforte, strumento che offre al suo esecutore la possibilità di notevoli performance, prove a cui Beethoven risponde in maniera eccellente, tanto da essere figura di richiamo presso l’ambiente culturale della città, il quale lo decreta come il musicista viennese più conteso.
Da ricordare che il compositore è espressione del periodo storico in cui è vissuto; appartenente al Classicismo, che vede un equilibrio formale e regole armoniche adottate nelle proprie opere, è anche anticipatore del Romanticismo musicale di cui incarna alcuni degli ideali propri dell’Ottocento. Il quale è un momento storico e culturale sul quale spirano venti di rinnovamento, grazie anche ad espressioni poetiche e letterarie che segnano trasformazioni artistiche le quali si diffondono in tutta l’Europa.
“Avete molto talento e ne acquisterete ancora di più. Avete un’abbondanza inesauribile d’ispirazione, avete pensieri che nessuno ha mai avuto, non sacrificherete mai il vostro pensiero a una norma tirannica…” – Franz Joseph Haydn
Ludwig van Beethoven incarna un tipo di musicista di stampo già moderno, il quale influenza il linguaggio musicale del XIX secolo, tanto da essere modello per artisti a lui coevi e per quelli successivi.
Ultimo rappresentante del Classicismo, la sua grandezza è stata aver adottato elementi propri del Classicismo sintetizzandoli con gli ideali del Romanticismo in una forma musicale quasi rivoluzionaria, in quanto spinto da una tensione che lo porta a superarsi, e ad approdare poi, per ciò che riguarda la composizione, a proprie forme armoniche.
Certo è, che a Beethoven non manca il talento per esprimersi attraverso note e partiture musicali, ma a supportare il suo costante impegno è una ferrea disciplina concentrata esclusivamente sulla musica. Così assorto nel suo universo, lo spazio da dedicare alla quotidianità è esiguo ed egli non intende spezzare quell’armonia musicale che rappresenta la sua ragione di vita e una totale consacrazione alla propria disciplina.
Appagato dal suo presente, il suo riferimento musicale è ancora Haydn, con cui continua ad adoperarsi per raggiungere inediti virtuosismi, nonostante fra i due non si stabilisca una vera e propria amicizia. Joseph Haydn che, insieme a Mozart e a Beethoven, secondo la letteratura, formano una triade che lascia un’impronta musicale atemporale.
Ma l’idillio fra Haydn e Beethoven viene a interrompersi, forse a causa dell’audacia musicale di Beethoven e del suo estro compositivo costretto in una metodologia che gli va stretta. Tuttavia, come affermerà Beethoven, Haydn ha esercitato un’influenza importante sulla sua produzione artistica.

Sono anni questi, intorno ai primi dell’Ottocento, in cui Beethoven dà vita a composizioni rimaste patrimonio di tutti e non del singolo che le ha partorite. Anni in cui brani dalla perfetta armonia, atti a suscitare forti emozioni nell’ascoltatore, si insinuano in una contestualizzazione temporale che acclama il musicista come genio. La straordinarietà della sua musica si manifesta con una dimensione espressiva capace di trasmettere una forza evocativa non uguagliabile, in cui ogni emozione viene filtrata dall’eloquente intensità di cui sono intrise le sue creazioni. Creazioni che si coniugano in 9 sinfonie, 5 concerti per pianoforte, concerti per violino e violoncello, 32 sonate per pianoforte, 18 quartetti per archi, 1 Fidelio, 1 messa solenne.
È il 1802 quando nasce la Terza sinfonia dedicata al generale Napoleone Bonaparte, a cui il musicista dà il nome di Eroica. Anche se nel 1804, quando Napoleone si proclama imperatore, profondamente deluso, Beethoven straccia la prima pagina della partitura e la dedica al principe Lobkowitz, il suo amico di sempre.
“Composta per festeggiare il sovvenire di un grande uomo (Napoleone Bonaparte)” – Ludwig van Beethoven
Ma non solo luci sul glorioso cammino di Beethoven, perché ad oscurare il suo presente si allunga un’ombra maligna. Accade quando il musicista comincia ad accusare i primi sintomi della sordità, che si fanno strada in maniera subdola interrompendo uno straordinario percorso artistico. È il 1796 l’anno che segna una svolta nella vita del compositore: prende consapevolezza della sua sordità e, malgrado cerchi di arginarne il peggioramento, la disfunzione diviene totale prima del 1820.
“Questi fatti mi portavano quasi alla disperazione; è mancato poco che ponessi fine alla mia vita, solo l’arte mi ha trattenuto dal farlo, mi sembrava impossibile dover lasciare il mondo prima di aver espresso tutto quello che sentivo dentro” – Ludwig van Beethoven
La causa della sordità di Beethoven è rimasta sconosciuta, ma numerose sono state le ipotesi. Si è parlato di una labirintite cronica e di altre patologie, tutte ampiamente discusse ma di cui mai si è avuta certezza.
Sempre nel 1796 Beethoven tiene numerosi concerti che lo conducono in Germania, in particolare a Dresda, Lipsia, Norimberga e Praga. L’apprezzamento che gli viene tributato è ancora enorme, ma se il pubblico loda incondizionatamente i suoi virtuosismi al pianoforte, non gli mancano i detrattori. Fatto questo non insolito per coloro che si rivelano personaggi senza tempo, figure eccelse il cui apporto è tangibile, di qualsiasi campo dello scibile si tratti.
Alcuni definiscono le sue opere delle ‘assurdità’, soprattutto gli affezionati a Mozart, rimasti legati alle sue espressioni musicali. Prove che dimostrano quanto Beethoven si fosse allontanato dal modello tradizionale della forma sonata. Beethoven però non si cura delle critiche, e impermeabile ai giudizi malevoli su di lui prosegue oltre, lasciando ai posteri ampia testimonianza della sua genialità. Genialità che si esplica in una produzione ampia ed eterogenea la quale offre brani di un indiscutibile significato artistico, che vedono l’affermarsi in questo periodo della sinfonia come la forma musicale atta a trasmettere ideali e messaggi anche di carattere sociale. Si può affermare che Beethoven sia stato il protagonista di un diverso ruolo assunto dal compositore: da artigiano della musica (a servizio dell’aristocrazia o della Chiesa) il musicista diviene un artista che dà libero sfogo al proprio sentire e, non ultimo, è finanziariamente indipendente.
Ma, non c’è solo musica nella vita di Beethoven. Anche la lettura dei classici greci, di Shakespeare e dei fondatori dello Sturm und Drang: Goethe e Schiller. Studi che influenzano notevolmente il suo temperamento romantico, già conquistato agli ideali democratici propri della Rivoluzione francese, all’epoca già diffusi in tutta Europa.
Quando poi la sordità esplode in tutta la sua virulenza il musicista si vede costretto a comunicare per iscritto. Tramite i cosiddetti quaderni di conversazioni.
Tuttavia, seppur profondamente addolorato dalla menomazione, è noto infatti che il senso per eccellenza dei musicisti sia proprio l’udito, Beethoven non si scoraggia, ma risoluto continua a fare esercizio della sua disciplina. Da questo momento, instancabile, si dedica soprattutto alla composizione, attività che lo vede impegnarsi oltre misura.
Infine, dopo aver speso la sua vita al servizio dell’arte, è il 1827 quando si spegne per sempre il talento del genio della musica per definizione. Lascia ai posteri un’ampia eredità raccolta da interpreti eccellenti.

Uno di questi è Ezio Bosso, musicista scomparso di recente all’età di 48 anni. Compositore, pianista e direttore d’orchestra di altissima levatura, Bosso ha sempre dichiarato che la sua prima fonte di ispirazione creativa è stata propria la musica di Beethoven.
“Bisogna trasformare ogni sconfitta del corpo in una rinascita dello spirito…” – Ezio Bosso
Per una disgraziata sorte, la vita del giovane musicista ricorda quella di Beethoven, per cui un parallelo fra i due è assolutamente legittimo. Entrambi sono stati costretti a lasciare la vita e la loro arte troppo presto. Nonostante avessero ancora molto da dare, in quanto capaci di suscitare negli altri emozioni non solo musicali, ma anche intrise di umanità, perché entrambi dotati di un forte sentimento collettivo.
Anche se uguagliare il talento di Beethoven è difficile. Perché i miti si possono emulare ma non uguagliare. Rimangono per sempre miti, anche se la loro presenza fisica non è più di questo mondo.
“Il sogno è che un’orchestra mi dica: facciamo tutto Beethoven. Così finalmente dirigo il mio papà musicale. Se mi si chiede cosa mi piacerebbe dirigere, torno all’infanzia: a 5 anni, ascoltandolo sognai di dirigerlo…” – Ezio Bosso
Written by Carolina Colombi
Lo stacco tra Haydn e Beethoven, ricorda un po’ lo stacco tra Freud e Jung. Beethoven e Jung, nelle loro rispettive ‘opere’, hanno prevaricato il trascendentale.