“Marco Antonio” di Giovannella Cresci Marrone: l’inimicizia di Cicerone, la Damnatio Memoriae e la storia della famiglia
Marco Antonio è un saggio scritto da Giovannella Cresci Marrone ed è edito per Salerno editrice nel 2020.
Giovannella Cresci Marrone nasce a Pisa nel 1951. Compie gli studi universitari presso l’Università di Genova dove consegue la laurea in Lettere e, quindi, la laurea in Storia. La Cresci Marrone già borsista del Consiglio Nazionale delle Ricerche, lavora in qualità di ricercatore universitario presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Torino.
Vincitrice di concorso a professore associato di Storia romana, dal 1987 insegna presso l’Università Cà Foscari di Venezia, dal 2000 in qualità di professore ordinario.
Il saggio su Marco Antonio, uno dei personaggi più controversi della storia romana, inizia con un titolo che è dichiarazione di un intento: testimoniare la manipolazione della figura di colui che resta famoso per essere il grande sconfitto della battaglia di Azio nel 31 a.C. e l’amante, poi marito (anche se con nozze non riconosciute dal senato romano) della Regina Cleopatra VII, sovrana d’Egitto ed ultima esponente della casa dei Tolomei.
È noto che la storia vien scritta dai vittoriosi ed è altrettanto noto, e di semplice deduzione, che chi scrive la storia non solo intende non inimicarsi la fazione che si copre di allori ma anche che il suddetto redattore è un umano a sua volta e soggetto a influenze di carattere personale.
Un esempio su tutti è l’inimicizia di Cicerone per Marco Antonio sfociata, in seguito, nell’elenco delle proscrizioni che vide Cicerone tra le vittime.
Si può supporre che l’abile oratore non fosse l’unico ad avere un’idiosincrasia per Antonio ma è facile anche dedurre che nell’altra fazione militassero coloro che avessero a cuore l’amicizia di quello che diventò il triumviro d’Oriente sul finire della Repubblica Romana.
Marco Antonio, come molti altri, subì un processo di Damnatio Memoriae e con lui anche gli esponenti della sua famiglia. Questo a testimonianza del fatto che a Roma le azioni del singolo erano il risultato di una concretizzazione di un’educazione e di intenti familiari.
Gli esponenti rimasti nella famiglia degli Antoni furono “invitati” a non usare ancora il nome Marco nelle prossime generazioni. La combinazione del nome e del gentilizio non sarebbe stata gradita e avrebbe potuto essere fautrice di rimembranze indesiderate nel nuovo mondo che Ottaviano intendeva creare sotto il suo dominio.
La domanda che rimane è: riesce la Cresci Marrone a far virare la reputazione del grande Antonio verso una riconsiderazione della sua persona e della sua opera militare e politica?
Come è possibile, visto il procedimento a suo discapito, che Marco Antonio e il suo operato siano sopravvissuti ad un oblio totale? Tutte le fonti, ovviamente, sono piegate al vincitore ma tra di esse abbiamo quelle di natura trasversale alla sua opera di politico che ci possono restituire la parte della tela che manca, almeno in parte.
Come il frammento del calendario ritrovato a Priverno che ci restituisce uno spaccato nuovo su quale sarebbe stata la politica di Giulio Cesare e su come Marco Antonio ne entrava a far parte.
Antonio morì suicida ad Alessandria in seguito alla sconfitta della sua flotta ad opera di Vipsanio Agrippa (diamo ad Agrippa quello che è di Agrippa). Questo evento ha avuto una risonanza tale, tra tutti gli altri suicidi politici avvenuti a Roma, che l’eco della sua poetica tragedia ha influenzato ben più di un’opera letteraria e cinematografica.
Chi era Marco Antonio?
Ereditò il nome dal nonno, un esponente molto amato a Roma per aver riscosso numerosi successi ma che venne ucciso da Mario e Cinna nel 97 a.C.
Da questo avvenimento inizia per la famiglia degli Antoni un calvario costituito da un inesauribile necessità di denaro causata dalle confische avvenute in seguito alla morte del nonno del nostro Marco.
Si deve aggiungere che lo stesso padre del futuro triumviro non era certo conosciuto come esempio di frugalità. Un difetto che verrà fatto notare, da più di una voce, anche in merito al figlio.
Ma, a discolpa, c’è da sottolineare che le somme per la Clientela e la politica romana non erano poi così inferiori a quelle profuse da altri suoi pari.
La carriera del padre si differenziò da quella del nonno. Accusato di cupidigia, sembra non fosse particolarmente versato per la politica, anche la sua attività militare fu giudicata insufficiente e non all’altezza delle aspettative del senato. Morì in seguito ad una battaglia navale ma non le conosciamo la di cui dinamica. La cosa che importante conoscere è che tale battaglia, avvenuta nel groviglio di eventi della guerra contro Mitridate VII, lasciò un’impronta di ignominia sulla casa degli Antoni.
I debiti lasciati dal padre si riversarono sulla famiglia e questo aggravò la già precaria vita economica della famiglia. La madre di Marco Antonio, il nostro personaggio, si risposò con Publio Cornelio Lentulo Sura. Tale personaggio ebbe anch’esso più di qualche guaio di carattere politico e di conseguenza economico.
Il Nostro Marco Antonio iniziò la sua vita politica tra il 67 e il 66 a.C. Sappiamo che era bello, spavaldo e con una personalità piuttosto appariscente.
Si sarebbe potuto pensare che i guai della sua famiglia gli avrebbero imposto un profilo più cauto ma, con ogni evidenza, Marco Antonio non lo riteneva necessario. Inoltre gli piaceva accentuare la somiglianza della sua persona con quello che la famiglia degli Antoni aveva identificato come suo progenitore ancestrale: Ercole che, più tardi, si assocerà a Dioniso.
Perfino le sue frequentazioni venivano considerate eccessive e l’amicizia con Clodio e Curione catalizzeranno non poco la sua vita. E, nel caso di Curione, questo attirerà l’inimicizia di Cicerone ma non sarà l’unico motivo di risentimento.
La vita di Marco Antonio, nella sua giovinezza, prendeva forma in un mondo che iniziava a considerare l’ordinamento della Repubblica come qualcosa di stretto e troppo canonizzato. Il popolo prendeva coscienza di avere un peso nella società romana e i cambiamenti chiesti iniziavano a spingere sulla rigidità del mos maiorum.
A seguito della congiura di Catilina anche il secondo marito della moglie, che lo aveva cresciuto ma mai adottato, perde la vita giustiziato sommariamente da Cicerone console per quell’anno.
La condizione economica, sua e dei fratelli, portò senza dubbio Marco Antonio ad avere una condotta sociale e politica audace e spregiudicata in varie occasioni. Questa è la chiave secondo cui il futuro triumviro andrebbe giudicato ma non è affatto detto che sia una giustificazione a tutto il suo operato.
Sua madre, per riavere la salma del marito, fu costretta a chiedere l’intercessione della moglie dello stesso console fautore della sua morte.
A seguito degli avvenimenti che portarono alla costituzione del mostro a tre teste: il primo Triumvirato, Marco Antonio (che non aveva ricoperto cariche di particolare rilevanza) all’età di 25 anni, già protagonista di numerose goliardate, parte a seguito di Aulo Gabinio per l’oriente.
In questa campagna, in cui Marco Antonio era prefetto di cavalleria, si distinse non in maniera marginale e probabilmente segnò quella che sarebbe stata la sua futura politica ed esistenza.
Nel 54 a.C. Marco Antonio si trasferisce in Gallia per militare sotto Gaio Cesare.
Durante questo periodo Marco Antonio diede prova del suo talento in battaglia e iniziò a definire la sua condotta in quella che sarà la sua carriera militare. Come Cesare, infatti, imparò ad essere solidale con i commilitoni e non si dimostrò mai superiore a qualcuno di loro. Questo gli portò l’affetto e la lealtà di coloro che militavano e militeranno sotto il suo comando.
Alcuni di questi gli rimarranno fedeli fino alla fine mentre altri, la di cui defezione ferì marco Antonio, passarono ad Ottaviano.
Il futuro triumviro, che aveva ancora molta strada da fare per divenirlo, si distinse per l’aiuto apportato durante la campagna di Cesare in Gallia, merito che gli venne negato dalla storiografia se non per qualche piccolo accenno.
Fu durante la sua carica di tribuno della plebe che il suo rapporto con Giulio Cesare scricchiolò qualche volta e, durante il periodo in cui Pompeo e Cesare si contesero il predominio su Roma, la condotta di Marco Antonio fu più volte messa in discussione per i suoi evidenti atti di trasgressione al mos maiorum, per i suoi debiti e la sua spavalderia nei confronti del Senato. Cicerone non lasciò passare nulla di tutte queste trasgressioni e Cesare non mancò di mostrare la sua riprovazione.
Il Senato, a discolpa di Antonio, cercò di osteggiarlo. Scoprì, infatti, che essere il padrone di Roma, anche se temporaneamente, era più difficile di quello che è probabile si aspettasse.
Non mancherà, in futuro, di far fare la stessa esperienza ad Ottaviano.
È indubbio che Cesare non si circondasse di individui capaci. È sempre stato irragionevole pensare, che il dittatore, avesse voluto al fianco qualcuno la di cui personalità fosse, in toto, quella descritta dall’oratore di Arpino.
Che senso avrebbe avuto? Cesare era vanitoso ma non sciocco.
Fin qui abbiamo un Antonio giovane, ambizioso, mediamente spregiudicato e con un ego non inferiore a quello di Silla, Pompeo o Cesare e, perché no, a quello del futuro Augusto.
Nulla della sua vita faceva pensare che non potesse divenire colui che avrebbe dominato. Testimoni erano anche le sue doti militari, la sua tecnica avvolgente che applicò in ogni ramo della sua vita: amore, famiglia, politica e amicizia.
Ben prima di conoscere la donna per cui tutti ricordano alla sua storia, Antonio aveva (come vedremo durante la campagna per il suo consolato del 45 a.C.) deciso che la sua politica sarebbe stata di essere un uomo tra gli uomini. Avrebbe mostrato rispetto per le altre culture e avrebbe tentato di essere quanto più includente possibile verso coloro su cui voleva esercitare il potere per conto di Roma.
Glielo aveva insegnato Cesare. Lo aveva imparato e la sua personalità curiosa e allergica alle restrizioni del codice di vita romano gli hanno indicato la via.
Uno stratega, ecco cosa si profilava sulla soglia del mondo nuovo che stava nascendo e Cesare lo sapeva.
Ma Roma è una belva che non smette mai di mordere oltre che di allattare i suoi figli.
Dimenticarlo è stata la sventura di Antonio, non altro.
Alla morte di Cesare, la condotta di Marco Antonio fu controversa. Approfittò, come chiunque altro avrebbe fatto al suo posto, per prendere il posto vagante, non fu mai del tutto avverso ai cesaricidi nelle sue azioni. Si appropriò del potere lasciando in un limbo inascoltato gli eredi designati con la scusa di essere troppo impegnato ad ottempere al volere di Cesare.
Costrinse Ottaviano a muoversi nell’illegalità e nulla ci fa pensare che Antonio, da politico e soldato consumato (da uomo nato a Roma e vittima del suo vissuto), non avrebbe agito nella stessa maniera se le sorti fossero inverse.
La storia non è obiettiva, noi storici dovremmo tentare di esserlo pur avendo i nostri beniamini, a mio avviso.
Gli anni dopo la morte di Giulio Cesare e la nuova guerra civile tra Antonio e Ottaviano, per non parlare di tutti i problemi tipici di un impero, portarono alla costituzione del II triumvirato nel 43 a.C.
Marco Antonio divenne il triumviro d’Oriente e secondo coscienza si comportò, eccessi e meriti compresi. Si prodigò per riaprire la campagna partica. Si appropriò dei modi dell’oriente e iniziò ad elaborare il suo concetto di impero. Come già detto non mancò, nonostante avesse permesso la legittimazione della sua adozione da parte del divo Giulio, di mostrare ad Ottaviano che governare l’Italia era ben più di una patata bollente.
Fu colpa di Sesto Pompeo?
Lepido e Antonio per lo più rimasero a guardare. Il puer doveva formarsi le ossa e, se fossero stati fortunati, farsi da parte.
Tutti sottovalutarono Ottaviano.
Il futuro Augusto fu spietato nelle sue condotte? Esagerò nella sua retorica di delazione dei confronti del collega?
Ovviamente, nella nuova Roma (ma anche in quella Repubblicana) tutto era lecito. Pompeo lo insegnò a tutti loro, Cesare glielo rimembrò: se non ci riesci con le buone, allora spingili ad accettare il fatto compiuto.
Antonio non fu da meno lungo la sua carriera. Antonio conosceva le regole del gioco il giorno in cui fece le sue prime mosse, ci era nato in mezzo e aveva imparato dai migliori.
La tradizione ci ha sempre fatto pensare a come Antonio fosse una piaga per Roma: fatto che era, a mio avviso, una calunnia verso colui che fu al fianco di Cesare per gran parte della sua scalata.
I suoi successi diplomatici in Oriente furono degni di nota, anche se Ottaviano calcò la mano sulla mancata conquista effettiva del regno partico e nonostante tutto il suo operato si perda nelle interpolazioni postume al suo suicidio.
Anche la vita personale di Antonio non collima con ciò che la storiografia dei vincitori ci ha detto di lui. Cleopatra non lo assoggettò e non lo corruppe.
La sovrana d’Egitto fu la sua compagna nel suo progetto e non una strega ammaliatrice, nessun dubbio che provassero affetto l’una nei confronti dell’altro.
Antonio provava affetto per tutte le sue mogli. Ebbe un rapporto paritario con ognuna delle sue consorti e se questo a Roma voleva dire che era un effemminato a lui non interessava.
Se anche la magnificente Ottavia, sorella di Augusto, lo amava e rispettava doveva esserci ben più di qualche ragione di stato.
Purtroppo le fonti sono troppo avare e non possiamo sapere se, oltre al progetto di un impero più equo con i suoi abitanti, Antonio volesse spostarne la capitale se la sorte gli avesse arriso.
La storia sarebbe stata molto diversa.
Nel 31 a.C. ad Azio, a causa di scelte non ben chiare durante la battaglia e del talento di Marco Vipsanio Agrippa, Ottaviano vinse e non molto dopo Antonio e Cleopatra morirono.
L’enorme differenza tra i due fu Quella vittoria.
Ottaviano divenne Augusto. Antonio perse.
Quali sono state le cause di tutto questo? Il caso, la proverbiale tracotanza di Marco Antonio, le sue passioni e le scelte politiche che credo avesse valutato ma di cui non comprese appieno le conseguenze. Roma non era pronta a cambiare come lui avrebbe voluto.
La sua discendenza, escludendo Antillo e Tolomeo Cesarione, fu cresciuta in casa di Augusto ed ebbe sorti alterne.
Caligola, suo nipote, divenne imperatore come anche il suo pronipote: Nerone.
Credo che sia piuttosto ingenuo pensare che la loro condotta sia stata una sorta di rivincita sulla politica Augustea. In quella casa non viveva solo Augusto e i genitori dei due sovrani hanno patito ben più di quello che Augusto avrebbe voluto per loro.
Se Antonio fosse vissuto forse l’impero sarebbe stato più includente o tutta la politica di Antonio si sarebbe rivelata una facciata. Non stupirebbe nessuno se fosse così avvenuto e non abbiamo prove per affermare né l’una né l’altra affermazione.
Antonio avrebbe effettuato un cambiamento simile a quello di Costantino? Sarebbe stato diverso, almeno Antonio era coerente e non avrebbe odiato la sua terra natìa.
Quello che divenne legalmente un impero dopo Azio non può essere accusato, in maniera moderna, di razzismo: vi erano vinti e vincitori, cittadini e stranieri, popolazioni apprezzate e popolazioni non considerate all’altezza.
Questo dovessimo mettere alla gogna ogni regno della storia, ad occidente ed oriente, non ci sarebbe nessun tribunale in grado di salvarli. Nessuno di essi.
Questo saggio è un ulteriore passo avanti nel recupero di una delle figure umane, oltre che storiche, più controverse dell’umanità e gli sono grata.
Marco Antonio non era un succube e non era affatto un pazzo, era un generale di Roma e per la sua visione di essa si è battuto.
Noi storici, oltre a restituire alla storia grandissimi uomini come indubbiamente fu Marco Antonio, dovremmo analizzare i fatti accaduti con coerenza e discernimento. Altrimenti incorreremo negli stessi errori dei colleghi del passato e perpetreremo nelle negligenze che intendiamo cancellare.
Written by Altea Gardini