“Lezioni di persiano” di Vadim Perelman: la necessità di salvaguardare la memoria collettiva
“Sono stanco di avere paura” – Gilles/Reza
“Esistono centinaia di storie simili,/ storie di coraggio, fortuna e rapidità di pensiero/ di chi è riuscito a sfuggire/ alle persecuzioni naziste./ Mi piace pensare che Lezioni di persiano/ rappresenti una summa di queste storie” – Vadim Perelman

Basato sul racconto Erfindung Einer Sprache (Invenzione di una lingua) di Wolfgang Kohlhaase, e presentato nella sezione Berlinale Special Gala uscirà nelle sale italiane il 19 novembre distribuito da Academy Two, Lezioni di persiano di Vadim Perelman, già candidato all’Oscar nel 2003 per “La casa di sabbia e di nebbia”.
Francia, 1942: in un bosco in cui filtrano raggi di luce assistiamo a un turbinio di foglie secche che diventano fogli bruciati: subito dopo incontriamo Gilles Cremier (interpretato dallo strepitoso attore argentino Nahuel Pérez Biscayart che con il film “120 battiti al minuto” ha vinto a Cannes 2017 il premio come Migliore promessa maschile) che, caricato su una camionetta, baratta l’ultimo tozzo di pane con un libro raro… e a questo punto partono i titoli di testa.
Di fronte al plotone nazista che li sta per fucilare, Gilles tenta il tutto per tutto: urla di non essere ebreo ma persiano e a riprova mostra il libro scritto appunto in farsi.
Così Gilles diventa Reza ma soprattutto diventa una merce preziosa: infatti il capitano Koch (Lars Eidinger, già visto in “Personal Shopper” e “Dumbo” di Tim Burton) vuole aprire un ristorante tedesco a Teheran e ha offerto come ricompensa otto lattine di carne in scatola a chi gli porta un persiano da usare come insegnante.
Entriamo così in un campo di concentramento, ispirato al campo di Natzweiler Struthof e realizzato con elementi autentici (ad esempio i cancelli erano quelli di Buchenwald) – ma tutto il film è caratterizzato da un’accuratissima ricostruzione storica grazie alla consulenza di Jörg Müllner – campo che si rivela e viene rivelato come un microcosmo di relazioni di potere.
E in un equilibrio perfetto di suspense, ironia che sfocia in satira pungente e lacrime ecco che Gilles/Reza deve improvvisare lezioni di persiano… ma soprattutto inventare una lingua e ricordarsela!
Questo “falso farsi”, creato con un escamotage linguistico che esplode prepotente nella scena finale che chiude il cerchio rispetto alla scena iniziale, pian piano fa saltare tutti gli equilibri (irresistibili ancorché inefficaci sono le macchinazioni di Max e Elsa che cercano di far scappare Reza per farlo uccidere dalle guardie e liberarsi definitivamente di lui) e anche le rigide dicotomie ebreo/tedesco; prigioniero/carnefice; insegnante/studente.

Infatti mentre Koch impara questa lingua (inventata) confessa cose che non riesce a dire in tedesco (ad esempio, che il fratello non gli rivolge la parola da quando è diventato nazista): lui e Reza passano al tu e quando gli chiede “chi sei tu?” per la prima volta in tutto il film non viene usato il titolo cioè “Hauptsturmführer Koch”, (“Capitano Koch”) ma semplicemente “sono Klaus Koch”.
Le immagini riprese dall’alto in campo lunghissimo, di ciminiere con fumo nero e carri con ammassati corpi nudi e l’uso del sonoro (ad esempio le fucilazioni in sottofondo) costituiscono la linea estetica ed insieme morale di un film che nel rispetto della Storia e delle vittime, ribadisce ancor oggi la necessità di salvaguardare la memoria collettiva.
Ma anche di prendersi una piccola rivincita quando Koch arriva a Teheran con passaporto belga e parla il falso farsi che ovviamente risulta incomprensibile: per gli ufficiali iraniani risulta sospetto perché “sembra tedesco!”… è il turno dei nazisti di nascondersi e di essere considerati “razza inferiore”.
Written by Monica Macchi