Intervista di Alessia Mocci a Giuseppe Marini: vi presentiamo “Il mistero di Galtellì”
“Un luogo “magico” che ti attrae e ti trasmette un senso di pace interiore e di tranquillità. Posizionato in Baronia, una delle più belle aree della Sardegna, costeggiato a Nord dal Rio Cedrino e a Sud dal Monte Tuttavista (800 mslm). Meta molto ambita dai turisti che amano il trekking, l’archeologia e l’eno-gastronomia. A pochi chilometri si può godere del bellissimo mare di Orosei e Dorgali.” – Giuseppe Marini

Galtellì è un paese della provincia di Nuoro reso celebre alla comunità europea dalla scrittrice Grazia Deledda e, oggi, è nuovamente protagonista di un libro grazie a Giuseppe Marini.
“Il mistero di Galtellì” è una recente pubblicazione della casa editrice Rupe Mutevole Edizioni nella collana editoriale Oltre il Confine. L’immagine di copertina è stata curata dallo stesso autore; il libro consta della prefazione a firma di Luigi Alfonso e della presenza di due introduzioni, una di Angelino Rojch ed una del parroco di Galtellì, don Ruggero Bettarelli.
L’autore nato a Tortolì il 5 aprile 1963, è figlio Virgilio e Sebastiana Serra, primogenito di quattro figli. Sin dall’infanzia si dedica alla pittura con importanti risultati. All’età di 19 incominciò a soffrire di forti crisi dolorose della durata di circa un’ora e mezza, sul lato sinistro della testa (cranio, trigemino, occhio e nervi dell’arcata dentale superiore).
Si trattava della micidiale “cefalea a grappolo”, detta anche “sindrome del suicidio”. Si è sposato all’età di 28 anni e si è trasferito con la moglie a Biella, dove trovò lavoro presso una grossa azienda commerciale. Il clima freddo del Piemonte fece aggravare il suo stato di salute e fu costretto a rivolgersi a centri specializzati (Roma, Torino, Pavia, Firenze e Milano) per provare ad essere curato.
In questo romanzo tra realtà, leggenda ed imago, Giuseppe Marini celebra Galtellì ed il suo Santissimo Crocifisso. Giuseppe racconta della sua malattia, dei suoi dolori, della sua guarigione e di una storia persa nei secoli e che, ora, potrà essere letta e riscoperta.
A.M.: Giuseppe la ringrazio per aver accettato questa mia intervista così da presentare ai nostri lettori la sua pubblicazione “Il mistero di Galtellì”. Iniziamo dal titolo, io essendo sarda conosco Galtellì ma penso che non tutti i lettori italiani abbiano sentito nominare questo paese della provincia di Nuoro.
Giuseppe Marini: Grazie a voi per l’ospitalità! Devo innanzitutto mettere in evidenza la figura di Angelino Rojch, che essendo Galtellinese mi ha dato la possibilità di conoscere Galtellì e il suo SS Crocifisso. Fu, infatti, in occasione dei preparativi per la ricorrenza del 400mo anniversario (1612-2012) dei miracoli del SS Crocifisso di Galtellì, che ebbi modo di scoprire l’esistenza di questo crocifisso miracoloso. Grazie ad Angelino Rojch, che ricopriva la carica di Presidente del Comitato de Los Milagros del Cristo di Galtellì, ebbi anche modo di poter prendere visione di un antico volume datato 1612 scritto in Catalano-Aragonese antico, contenente ben cinque atti notarili originali in cui vennero certificati alcuni fatti miracolosi attribuiti al SS Crocifisso di Galtellì. Sin da subito mi innamorai di Galtellì, del suo incantevole centro storico e della squisita ospitalità dei suoi abitanti. Un luogo “magico” che ti attrae e ti trasmette un senso di pace interiore e di tranquillità. Posizionato in Baronia, una delle più belle aree della Sardegna, costeggiato a Nord dal Rio Cedrino e a Sud dal Monte Tuttavista (800 mslm). Meta molto ambita dai turisti che amano il trekking, l’archeologia e l’eno-gastronomia. A pochi chilometri si può godere del bellissimo mare di Orosei e Dorgali. Purtroppo, in quel periodo soffrivo di una grave malattia (Cefalea a grappolo) che mi costringeva ad avere lunghi periodi di degenza ospedaliera, con forti, dolorose e violente crisi alla testa, al trigemino, all’occhio e all’arcata dentale superiore, che mi stavano distruggendo l’esistenza. Mi rifugiai nella stesura di questo mio libro, in cui cercai di raccontare una storia “romanzata” del miracoloso Cristo Crocifisso di Galtellì e fu proprio durante la sua scrittura, che una notte ebbi la sua intercessione. Senza spiegazione alcuna, neppure da parte dei medici, improvvisamente mi alleviò di quel brutto male e di altre gravi patologie. Mai gli chiesi di aiutarmi a guarire eppure quella notte accadde la più straordinaria delle esperienze che si possa immaginare. Esperienza che ho voluto inserire con una mia testimonianza nelle ultime pagine del libro. In seguito portai a termine la scrittura del mio romanzo, in cui dall’inizio alla fine si percepisce una sorta di mistero. Da qui nasce anche il titolo che ho voluto dare a quest’opera letteraria. Un romanzo in cui si fondono leggenda e realtà, con spunti personali, frutto di eventi e sogni.
A.M.: Certo è che Galtellì è presente nella mente di chi ha letto il celebre libro della scrittrice Premio Nobel Grazia Deledda, “Canne al vento”.
Giuseppe Marini: Grazia Deledda, amava trascorrere lunghi periodi a Galtellì. Per lei era un luogo in cui ritrovava tutti quegli elementi, necessari e importanti, per portare a termine opere letterarie come il celebre libro “Canne al vento”. Esiste ancora la casa in cui soggiornava e le è stato anche dedicato un parco. Amo percorrere i luoghi in cui lei ha posato i suoi passi e mi pare di vederla, mentre affacciata da un antico muretto a secco contempla la valle del Rio Cedrino. Essendo anche ritrattista, le ho voluto dedicare un mio ritratto che ho offerto in dono alla comunità Galtellinese. Chissà quale giudizio avrebbe dato a questa mia opera letteraria? Me lo chiedo ogni qualvolta che visito il “Parco Deleddiano”.
A.M.: Nella Prefazione di Luigi Alfonso troviamo una breve citazione tratta dal libro “Divozione e Miracoli del SS. Crocifisso di Galtellì” del 1923 ad opera di Mauro Sale: “Divozione e Miracoli del Santissimo Crocifisso di Galtellì e specialmente del sudore sanguigno che emise l’anno 1612. Tutto fedelmente levato e raccolto sommariamente dai processi originali e dalla Informazione, che si fece nel medesimo anno, e nel seguente 1613.” Che cosa è accaduto a metà della stesura del suo libro prima dell’ennesimo ricovero a Milano?

Giuseppe Marini: Avevo completato la prima stesura del mio romanzo e affidai all’amico Luigi Alfonso l’incarico di pre-editing. Fu ben lieto di accettare, anche perché pure lui conserva un buon ricordo di Galtellì. Non finirò mai di ringraziarlo per il brillante lavoro che ha svolto. Fu lui a consigliarmi di inserire alla fine del romanzo, la mia testimonianza sull’intercessione avuta dal SS Crocifisso. In quel periodo avevo una crisi di cefalea a grappolo ogni 3,5/4 ore giorno e notte. All’arrivo di ogni crisi ero costretto a farmi un’iniezione di un potente farmaco che dopo alcuni minuti mi attenuava il dolore. Diversamente ogni crisi aveva una durata di circa 180 minuti. Impossibile da sopportare. Un dolore atroce, pulsante e intenso su tutto il lato sinistro della testa. Il cranio che pareva volesse esplodere, il nervo del trigemino infiammato, l’occhio dolorante e lacrimante e un forte male a tutti i nervi dell’arcata dentale superiore sinistra. Un vero concentrato di forte dolore e sofferenza. Avevo iniziato a soffrirne dall’età di 19 anni e le crisi che inizialmente si presentavano periodiche erano diventate croniche. Da circa 20 anni mi facevo seguire dall’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Con loro provai diverse terapie sperimentali che però si rivelarono sempre inefficaci. Mi impiantarono pure un elettrodo sul nervo occipitale che poi a causa di un rigetto si rivelò inutile. Mi rimaneva una sola cosa da fare per poter porre fine a quelle terribili sofferenze… l’utilizzo della morfina. Sapevo che sarei andato incontro ad una fine lenta e fisicamente devastante, ma era l’unica soluzione per bloccare quelle maledette crisi. Perciò presi appuntamento con l’Istituto Besta di Milano per il giorno 29 novembre 2011. La notte prima, come mio solito, la passai senza prendere sonno, per via del forte dosaggio di cortisone che assumevo. Il tempo fra un attacco e l’altro lo trascorrevo scrivendo il mio romanzo e verso le 2:30 di notte, mentre descrivevo la scena in cui un vecchio frate posto dinanzi all’altare del SS Crocifisso di Galtellì che osservava le ferite del nazareno, riviveva la sua passione e ad ogni colpo di maglio che gli conficcava i chiodi nella carne, lui ne percepiva il dolore. Contemporaneamente, ad ogni colpo di maglio sui chiodi, mi giungeva una forte e dolorosa fitta nella tempia sinistra, paragonabile all’entrata e uscita di un grosso spillo, con un improvviso forte tuono accompagnato dal bagliore accecante di un lampo. Il tutto durò circa mezz’ora e mi ritrovai frastornato e stremato con davanti a me l’ultima pagina che avevo scritto in cui descrivevo la passione del Cristo vissuta dal frate. Incredulo per quello che mi era appena accaduto, andai fuori a fumare una sigaretta per cercare di riprendermi dall’accaduto. La luce della luna quasi piena mi mostrava la chiara figura di un vecchio pino che aveva due grossi rami che si elevavano dal tronco come fossero due braccia e come per magia, la figura di quell’albero, si trasformo in quella del SS Crocifisso di Galtellì. Non un Cristo qualsiasi, ma proprio quello. Non volli credere a ciò che avevo dinanzi a me e con un po’ di timore ritornai dentro casa. Mi andai a dare una rinfrescata sul viso e poi ritornai all’esterno. L’albero con le sembianze del SS Crocifisso era ancora più illuminato dalla luna e più mi avvicinavo a lui più la figura del Cristo era reale. Seppur con un poco di paura, passo dopo passo, mi avvicinai a lui. Gli arrivai talmente vicino che lo avrei potuto anche toccare, ma non lo feci. Riandai via e ritornai per diverse volte e lui era sempre lì. Pertanto, mi arresi all’evidenza e mi inginocchiai davanti a lui. Tiravo su lo sguardo e lui pareva muovere il capo. Poi pian piano giunse la luce dell’alba e quell’immagine svanì. Controllai l’orario e mi resi conto che dall’ultimo attacco erano trascorse circa 8 ore (mai successo in passato). Non raccontai nulla di quanto successo e mi feci accompagnare in aeroporto. Giunsi a Milano in Ospedale alle ore 15:30 e venni subito visitato da uno dei medici del reparto. Mi chiese quando avevo avuto l’ultimo attacco e gli mostrai il mio calendario con evidenziati gli orari di ogni attacco avuto. Notò che l’ultimo lo avevo avuto verso le 23:30 della notte appena passata e restò sbalordito. Mi fece presente che questo tipo di attacco non si blocca da solo e che qualcosa era sicuramente successa. Decisi quindi di confidargli la mia esperienza. Lui essendo neurologo e psicologo si limitò solo a dirmi che, di qualsiasi cosa si fosse trattato, aveva sicuramente bloccato l’arrivo degli attacchi. Pertanto, non reputò più necessario neppure ricoverarmi. Ritornai in Sardegna con una grande forza d’animo e con il grande desiderio di portare a termine il mio romanzo. Scoprii tempo dopo che, quella stessa notte, si verificò anche la calcificazione di una massa tumorale e anche i gravi problemi alle ginocchia e alla colonna vertebrale che mi costringevano all’uso di una stampella svanirono, riportandomi ad una nuova vita. A Galtellì sanno quanto era grave il mio stato di salute e rivedermi in piena forma e in salute li emoziona e li rende molto orgogliosi. Sono ormai trascorsi 9 anni da quella “magica” notte e mai più ho avuto attacchi di cefalea a grappolo. Nel mio romanzo ho preferito inserire il racconto dei miracoli del SS Crocifisso, riportando fedelmente quanto tradotto e riscritto da Mauro Sale il 05.08.1923 (tratto da un testo originale del 1613) in “Divozione e Miracoli del Santissimo Crocifisso di Galtellì”.
A.M.: “Il mistero di Galtellì” consta di due introduzioni, una a firma di Angelino Rojch ed una di Don Ruggero Bettarelli, il parroco del paese. Così Don Ruggero scrive: “Il racconto di Giuseppe “Il Mistero di Galtellì” che dà alla stampa sa di romanzo storico, di facile lettura, e il tempo che il lettore ad esso dedica è breve perché si assimila “in un sol boccone” un linguaggio popolare, semplice ma accattivante.” Si rispecchia in queste parole?
Giuseppe Marini: Il mio libro è nato come sceneggiatura per un film e poi trasformato in romanzo. L’amico regista Cesare Furesi ne ha tratto una nuova sceneggiatura per un suo film “Miracolo a Galtellì” che a breve vedrà il suo primo ciak di cui non posso che esserne orgoglioso. Chi ha avuto modo di leggere il mio libro ha fatto le stesse considerazioni di Don Ruggero Bettarelli. Ci sono realtà e leggenda che si intrecciano e fondono insieme. C’è storia, passione, speranza, amore e soprattutto fede. Il tutto descritto da chi pur non avendo avuto precedenti esperienze letterarie, ha saputo trasmettere le proprie emozioni, stimolando curiosità e attenzione per un pubblico ampiamente vario. Anche il commento di Angelino Rojch centra in pieno lo stato d’animo dei vari protagonisti presenti nel romanzo, in chiara similitudine con l’autore.
A.M.: Nel prologo del libro ci troviamo a Roma e siamo nel 1394 d.C.: “È notte fonda. Si odono i rintocchi di alcune campane che echeggiano negli antichi quartieri della città. Solo qualche bagliore illumina a sprazzi le vie. Anche la luna riesce ad insidiarsi nei meandri dei viottoli antichi, talvolta superando i lumi fissi sui muri delle abitazioni.” Di qui a breve incontriamo un frate…
Giuseppe Marini: Il “mistero” è sicuramente molto presente in tutto il romanzo. Lo stesso vecchio frate che a notte fonda compare nei viottoli di Roma, vive nel mistero e agli occhi degli altri rappresenta anch’esso un mistero. Quasi tutti i protagonisti sono avvolti da una sorta di enigma e tutti fanno capo al più grande, “Il Mistero di Galtellì”. Per rendere più verosimile il romanzo, ho voluto inserire in ciascun capitolo un mio disegno che ne rappresenta il contenuto.
A.M.: “È una giornata stupenda, quando il veliero entra nel porto pieno di imbarcazioni di varie dimensioni e di gente. Per lo più venditori di pesce e operai che si offrono per aiutare a caricare e scaricare le merci. Ad attendere il veliero del barone, nel molo, ci sono tre carri: uno trainato da buoi e due da cavalli. Gli ormeggiatori effettuano le manovre di sbarco e cominciano il passaggio dei bagagli a bordo dei carri.” Lasciamo Roma per arrivare in Sardegna ed il nostro frate pronuncia queste parole: “Ogni luogo per NOI è adatto. Non esiste un luogo in particolare per quello che sarà il mio destino.” Che cosa pensa del destino? Noi esseri umani dobbiamo essere desti nell’osservarne i segni così da seguirli ed arrivare alla meta?

Giuseppe Marini: Il destino non è altro che la vita che viviamo e conduciamo giorno dopo giorno. Se non avessi conosciuto Angelino Rojch, non avrei conosciuto il SS Crocifisso di Galtellì e non avrei mai pensato di scrivere la sua storia romanzata. Di conseguenza non avrei mai pubblicato questo mio libro e neppure quest’intervista avrebbe mai avuto luogo. Ma forse era destino che anche noi due un giorno ci saremo incontrati per quest’intervista.
A.M.: Causa pandemia le presentazioni letterarie non sono praticabili ma ho notato che in tanti hanno ben pensato di utilizzare i social network ed il video come alternativa.
Giuseppe Marini: Essendo la mia prima pubblicazione letteraria, non ho ancora avuto modo di affacciarmi nei social network nelle vesti di scrittore. Finora l’ho sempre fatto per l’altra mia grande passione che è il disegno. Amo disegnare e dipingere, ma da un po’ di tempo sta crescendo anche la passione per la scrittura. Ho scritto altri 5 romanzi (di diverso genere) che nel tempo cercherò di portare in pubblicazione. L’utilizzo dei social network lo considero importante e anche indispensabile per una buona promozione e ne farò sicuramente uso.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Giuseppe Marini: “T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.” – Pier Paolo Pasolini
A.M.: Giuseppe, abbiamo una accezione del destino molto simile. Personalmente sono molto vicina al pensiero dell’antica Grecia e, dunque, alla parola ἀνάγκη (ananke) che rappresenta il fato, la necessità. Necessari i nostri diversi percorsi per l’incontro in questa intervista, sì, lo penso anche io. È stato molto interessante per me leggere la sua esperienza e posso dirle che, anche nei momenti difficili, dovrà sempre tenere in mente la sua visione, perché le porterà sollievo e pace. La saluto con le parole di Jules Verne: “Alcune strade portano più ad un destino che a una destinazione.”
Written by Alessia Mocci
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