“Lampadari a gocce” di Savina Dolores Massa: un romanzo che sembra il dipinto di un frattale
Lampadari a gocce, di Savina Dolores Massa, inizia con il Casta Diva, un mercantile fermo nel porto di Gibilterra per delle riparazioni.

A seguire, l’autrice fa un elenco affascinante di tipologie umane, ognuna con il suo modo caratteristico di affrontare la vita. Tra tutte queste distingue il marinaio, a cui fa da maestro il mare.
Siccome un’opposizione diretta, contro forze così soverchianti, sarebbe insensata, il mare gli insegna ad attutire i sobbalzi dei marosi opponendovi un’andatura ondeggiante. Infatti è meglio accompagnare i salti, le cadute, gli schianti e i contraccolpi del mare e della vita assecondando tali scossoni e cercando di ritrovare costantemente il proprio punto di equilibrio, piuttosto che impuntarsi per rimanere immobili.
Tra le pagine di Lampadari a gocce si susseguono tempeste e bonacce, erosioni e rinascite, moti ondosi continui e onde anomale inaspettate, come nella vita, dove chi ha patito è riconoscibile, non solo per i segni lasciati sul suo volto dalla sofferenza, ma anche per quell’andatura ondeggiante anche in terraferma.
Perché il mare nel romanzo è metafora della vita stessa, oltre che maestro.
Ma decidere di vivere per mare è tipico di chi ha qualcosa che vorrebbe lasciar andare e che allo stesso tempo non vuole abbandonare. E finché non ci riuscirà, egli non potrà allontanarsi dal mare. Perché solo quel circolare orizzonte azzurro, promessa d’infinito, può dare rifugio alla sua coscienza e quiete al suo animo.
Notturno e gli altri membri dell’equipaggio di Casta Diva hanno bisogno di gettarsi alle spalle il passato, forse di sfuggirlo, sebbene allo stesso tempo lo inseguano. Notturno ascoltando le note di una canzone in grado di instillargli gocce di memoria di colei che vorrebbe dimenticare. Gli altri seguendo i fili della loro mente. Come spiegare questa contraddizione?
È nella natura dell’uomo essere costantemente in conflitto con se stesso, tra un volere un qualcosa o mille, e desiderare il loro contrario. Perché stupirsi?
Ma in Lampadari a gocce, oltre alla storia di Notturno, a quella del napoletano Martino, del cuoco Cormorano e dei marinai Ruben e Andreas, si svolge a capitoli alternati la storia di Izta, che in un carnevale a Veracruz, in Messico, conosce l’archeologo Robert portandolo quella stessa sera a visitare il suo strano negozio. Lì si vendono istantanee di effimeri riquadri artistici, frazioni di Mondi riprodotti dalla fantasia e dall’estro di Izta, che lei stessa disfa per crearne degli altri con cadenza settimanale: ogni martedì. Perché i turisti possano acquistare le foto di qualcosa che di lì a poco non ci sarà più, delle impronte di memoria.
Quanto poco durano i mondi creati da Izta. Ma d’altronde, persino le civiltà umane sono durate, rispetto all’esistenza dell’universo, appena un istante. E solo alcuni loro frammenti, qualcosa di più. E in fondo sono arrivati fino a noi giusto per essere fraintesi.
Il tempo nasconde e muta ogni cosa, e solo la magia di una Mambo cieca, a cui Izta si rivolge per sapere di lei e Robert, sembra conoscere il passato come il futuro, il destino di ogni uomo e quindi anche il loro. Ma la Mambo ha un sorriso falso, perché non c’è persona per cui non sia prevista una fine, con una certa quantità di sofferenza nel mezzo, e saperlo avrebbe dovuto cancellarglielo dal viso. Questa Mambo non è in grado, o non vuole, spiegare in modo comprensibile a Izta ciò che vede. E quando disegna una risposta sulla terra nuda, essa svanisce risucchiata dai suoi occhi ciechi, dalle sue orbite vuote. È forse questa la risposta?
La storia di Izta e Robert si svolge in un Messico magico e ricco di tradizioni, è lei che fa da collante a questo mondo magico e misterioso, mentre l’archeologo è più razionale, scientifico, e un futuro vorrebbe crearselo con le proprie mani. Nel mentre, il Casta Diva dopo un avvenimento che cambierà il destino di tutto l’equipaggio, persino dei non direttamente interessati, ripartirà toccando diversi porti: Amsterdam, Bergen e Napoli.

Savina Dolores Massa ci conduce in giro per il mondo, distruggendo tutte le nostre certezze, di un’autrice sarda che ambienta i suoi libri in Sardegna (lo aveva già fatto con Undici); di un napoletano, Martino, che non sa fare le pizze; di verità che non lo sono per niente.
Il romanzo di Savina Dolores Massa si presenta come un’opera di una precisione matematica, sebbene ciò non sembri a un primo sguardo. La vita dei personaggi che lo popolano pare svolgersi in modo del tutto naturale, secondo i dettami del caso e delle singole volontà.
Eppure, nel romanzo, tutto torna e appare un disegno, ricco di colori e dalla forma misteriosa. Basta badare bene ai dettagli, essi infatti si ripresentano con puntualità implacabile nei punti chiave della storia. Per esempio il tema della notte scelto da Izta a un certo punto per il suo bazar, quel tema si ripresenta in mille modi diversi per tutto il libro, facendo sì che Lampadari a gocce si presenti come un affascinante frattale, una figura geometrica solo in apparenza disordinata, asimmetrica, ma che invece rispecchia se stessa a diversi livelli. Dal macro al micro. Proprio come un quadro di Pollock.
Il romanzo di Savina Dolores Massa si può scomporre all’infinito: ogni sezione in una più piccola, e si vedrà sempre lo stesso potente disegno generale, pur sembrando qualcosa di diverso ogni volta.
Nell’intero romanzo è mirabilmente rappresentata un’impossibilità a essere felici, ma anche la paura di essere abbandonati. In entrambe le due storie principali, questa impossibilità unita alla paura è presente; non solo, analizzando ogni singolo capitolo, ogni singola sottostoria, anche quelle di poche righe, esse ritornano immancabilmente. Eppure, ogni storia, ogni rigo, appare così unico da nascondere la natura frattale dell’opera.
Sia Izta che Notturno hanno sofferto una mancanza, un abbandono. A Izta è Robert a colmare quel vuoto. Forse anche per questo è così forte la sua paura di perderlo. A Notturno, questa mancanza, la supplisce Agata; che gli dà la forza per andare avanti. Da tempo la sua vita si era fermata, e questo amore compensatore di quell’altro, diverso, su cui si era impantanato il suo vivere, potrebbe permettergli di ripartire. Notturno sembra ritornare bambino, e poi adolescente, con il suo primo amore a mandargli in subbuglio la mente. E nemmeno questo avviene per caso.
Sia Izta che Notturno sono attanagliati dai sensi di colpa, bloccati dai fantasmi del loro passato, anche se in modi e per ragioni diverse. E infatti diversa sarà la loro reazione.
Notturno è stato educato al fatalismo, e dopo una notte insonne arriva a fare questa considerazione: “Ho passato la notte sommerso nello schifo. Sono sopravvissuto, e allora significa che non creperò nello schifo.” Da qui prende avvio la sua reazione, soprattutto grazie ai consigli di Martino. Che lo fa raccontandogli la sua storia, raccontandogli di Napoli e dei napoletani. E sono pagine meravigliose queste, con una poetica ammaliante, in un italiano arricchito da tanti termini dialettali e una cadenza quasi melodica.

Come se le parole suonassero e cantassero.
Dove Savina Dolores Massa fa rivivere una Napoli dall’allegria triste, chiassosa e odorosa, commovente e divertente. Come se a scriverle fosse una napoletana ‘namurata. Una Napoli musicale. Ed è la sua musica che sembra di sentire. Così come per tutto il romanzo risuonano musiche jazz e di rithm and blues, come se le si sentissero.
Per tutte queste ragioni, e tante altre ancora, ritengo Lampadari a gocce uno dei migliori lavori di Savina Dolores Massa, secondo solo al Carro di Tespi, e un libro da leggere assolutamente, come tutta la produzione dell’autrice oristanese; o è napoletana? No, forse è messicana. Non so più… Ormai Savidò è cittadina del mondo, lo è da un pezzo, e forse noi ce ne accorgiamo solo adesso.
“Metti musica, mi amor…”
Written by Claudio Piras Moreno
Copertina flessibile: 330 pagine
Editore: Il Maestrale (28 luglio 2020)
Collana: Narrativa
ISBN: 978 8864292233