“Boomerang” di Filippo Roma: quell’inganno che noi chiamiamo amore

Cosa farai da grande? Quanto varrai, in definitiva, ragazzo mio, non dico in che senso e perché? Ma in assoluto!

Boomerang di Filippo Roma
Boomerang di Filippo Roma

Domande che qualsiasi insicuro imberbe si fa continuamente durante la giornata e talvolta quando si sveglia fra un sonno e l’altro.

Leo, appunto. Figlio unico con la sensazione di non essere nemmeno tanto gradito. Certi equivoci si insinuano nella testa dei bambini con spavalderia, scorrono lenti e sotterranei per poi emergere improvvisi.”

Questo è il romanzo che narra di Leonardo detto Leo, figlio di famiglia, nel senso che appartiene a un futuro pressoché certo: lavorare nell’azienda paterna.

Con il passare del tempo Leo si convinse sempre di più, era lui lo sbaglio, l’errore di sua madre. Si dice che i bambini abbiano una grande capacità di dimenticare, facoltà che poi perdono crescendo, ma Leo si teneva dentro quel segreto come un boccone masticato e mai davvero digerito.

Leo, come tutti gli aspiranti letterati, pur avendo una vita piena zeppa di giocattoli, ma povera di affetto, legge tantissimo. Per questo che io leggevo poco, o al massimo i fumetti western, perché i miei genitori mi colmavano di attenzioni e di sentimenti. Mio padre mi promise una bici se avessi letto i trenta libri di Salgari della Serie Avventure di terra e di mare. Mi arresi al diciassettesimo, I predoni del mare (per cui non potei leggere il ventisettesimo, I pescatori di trepang, e pertanto sono rimasto fino a oggi all’oscuro di cosa sia questo trepang), ma quel sant’uomo mi comprò lo stesso un bel velocipede. Questo avrebbe forse pregiudicato la mia vita di recensore di Oubliette Magazine, se non avessi in seguito la ventura di ricevere dalla vita una serie impressionante di malevoli buffetti sulle guance, e grazie anche a una serie quasi interminabile di delusioni amorose.

Solo pochi minuti fa, grazie a Google, ho scoperto che i trepang sono oloturie usate a scopo alimentare, per cui sono più o meno al punto di prima.

Da anni mio padre quasi m’implorava di leggere L’idiota di Dostoevskij, impresa a cui mi accinsi dietro ricatto (però tu mi devi portare a vedere una partita del Milan quando gioca a Bologna): ci andai, due gol di Villa, il mio idolo Rivera azzoppato dopo pochi minuti, poi rimonta del Bologna, 3 a 2 finale per la squadra felsinea.

Il principe Myškin mi procurò uno shock anafilattico paragonabile a quello di cui fu vittima Paolo di Tarso, sulla strada di Damasco, e dopo tale immane lettura sono diventato un bulimico della cellulosa, che è anche parte del motivo per cui ho letto il romanzo di Filippo Roma. Le vie dell’esistenza sono virtualmente infinite.

Fin da ragazzino, Leo leggeva Lev Tolstoj (per cui la sua mente corre spesso a Guerra e pace e a Sonata a Kreutzer), mentre io ancora non avevo deciso se passare dagli albi di Capitan Miki (le cui storie in fondo erano sempre le stesse) a quelli di Tex Willer (le cui storie sono sicuramente sempre le medesime).

Motivo per cui, pur per opposti motivi, sia Leo che il sottoscritto crescevamo troppo intelligenti e leggermente disadattati. Ma soprattutto gravemente imbranati con le ragazze.

Poi Leo, non io, ebbe un colpo di genio. Propose e ottenne dai genitori di studiare nella perfida Albione, da cui tornò molto saputo. Io invece, nel frattempo, m’iscrissi a Filosofia all’Ateneo di Bologna, in via Zamboni, da cui tornai (quattro volte) in treno, dopo di che decisi di smettere quell’impegno ingombrante e d’intraprendere un mefitico anno di naja. In tal maldestro e alienante modo posi le basi della mia futura carriera di commentatore di Oubliette.

Nel partire per Londra, London school of Economics,Leo portò con sé Un amore di Dino Buzzati, e tanta voglia di godersi la vita, che non gli faceva più paura.” Beato lui. Ma sarà vero?

Questa è una fiction, per cui il falso è abbastanza vero e viceversa.

L’autore ammette un’ignoranza:Degli anni londinesi sappiamo poco”. Al suo posto William Somerset Maugham avrebbe vergato a penna come minimo una dozzina di capitoli, dedicando a tale esperienza del protagonista (magari affetto da piede equino) un’intera sezione del romanzo. L’unica cosa che è dato sapere al nostro autore è che una certa Desiree, pur priva d’accento, aveva sverginato un consenziente Leo.

A Londra Leo studiava tanto e scopava tanto, e probabilmente Un amore di Buzzati non venne mai aperto.” Beh, qualcosa sa, diciamo l’essenziale.

Al ritorno nella sua placida Roma, Leo chiede e, seppure a fatica, ottiene dal padre l’autorizzazione a dedicare i prossimi due anni al tentativo di scrivere un romanzo di successo. Dopo di cui si assumerà le proprie responsabilità, rientrando in famiglia.

In un modo o nell’altro, ma soprattutto grazie all’incontro con Barbara, una donna con cui vive una spumeggiante stagione di passione, e che poi abbandona a sé, come si fa con un cane in autostrada, Leo scrive un libro di successo, lui che pareva non avere alcun talento letterario.

Gran parte del successo del libro è un copia-incolla dei messaggini ricevuti da parte di Barbara, che sa catturare le menti inquiete di migliaia e migliaia di lettrici (e di alcune centinaia di lettori, mi sa). Dopo di cui, la nuova speranza letteraria incominciaa soffrire di leggeri attacchi di panico. Si sentiva ingabbiato nella parte di scrittore di successo che lo obbligava a dare sempre il meglio di sé.”

Dopo aver lasciato alla sua sorte Barbara, Leo incontra Elena, di cui si innamora. Dopo aver fatto l’amore con lei, Leo la trova un po’ strana. “No, Leo. Non sono strana, sono soltanto felice, ma quando succede divento malinconica perché ho paura di perdere la felicità.”

Occorre sempre ricordare, cari omogenei di sesso, che la donna è abbastanza più furba di noi, senza che le esca l’ernia per esserlo. Quindi, occorre sempre verificare qualsiasi sua affermazione. Se per caso ci s’imbatte in una donna che è visibilmente più ingenua di noi, essa ci recherà soltanto aspra infelicità e sempiterna disperazione. Ma c’è sempre la speranza che finga, per fatti suoi inesplicabili. Elena non fa eccezione al genere femminile.

“‘Ma le bugie mi fanno diventare pazzo’ rispose Leo, e per un attimo ripensò a quante balle aveva detto lui alle donne.”

Filippo Roma
Filippo Roma

Altro comandamento che ne consegue: bada che, se una donna è disposta a credere alle tue balle, lei prima o poi te la farà pagare, magari sposandoti. Se non lei, quella che incontri successivamente. Esiste un karma dell’amore, ricordatelo sempre.

Leo chiede a Elena di convivere: “Quelle parole con cui adescava le donne, ‘condivisione’ e ‘progetto’ gli tornavano indietro esattamente come un boomerang”, come in una precisa partita doppia (dare e avere).

Tenetevi (chiunque voi siate) a mente questo particolare: Elena aveva portato il suo amante in Umbria a mangiare in un agriturismo sperduto gestito da dei suoi parenti, che a differenza di Elena sapevano che Leo era uno scrittore spesso alla ribalta televisiva.

Un particolare angosciante: Elena era stata a suo tempo tradita dal suo uomo, padre di Asia, la loro bambina. Lo scopre per caso, quando Asia fa vedere alla mamma l’immagine del papà che sbaciucchia una donna piacente, “era un autoscatto allegato a un sms inviato da lei”, dall’amante. Quest’errore (si trattava certamente di un mms, a pagamento, antenato del gratuito whatsapp) permette di datare la storia a prima del gennaio del 2009.

Intanto Leo è perseguitato dal suo editore, che pretende al più presto un secondo romanzo (motivo per cui i nuovi autori in genere non pubblicano, ostinandosi a cominciare dal primo). Durante una sessione che avviene con lui presso la redazione, Leo che non ha nuove idee a riguardo, finisce per addormentarsi. Questa è una sua frequente costumanza, che avviene regolarmente quando la sua attenzione cala vertiginosamente.

Leo incontra Barbara, a cui confessa che: “era da quando avevo diciotto anni che volevo scrivere un libro di successo, con l’aggravante di non avere abbastanza talento, ma solo ambizione. Mi sentivo un frustrato, se avevo un’idea scoprivo che qualcun altro l’aveva già avuta e realizzata meglio di me.” Pertanto, aveva deciso di sfruttare Barbara, facendosi dare da lei quel che lui non possedeva: il talento letterario riversato in quei messaggini.

Barbara lo ama ancora, ma lo lascia, quando capisce che lui è ancora sfacciatamente preso da Elena: “Un po’ gli faceva paura, questa nuova Elena, un po’ le piaceva. Perché ora che si era sporcata le mani aveva anche capito che se non si vuole essere schiacciati dal rullo compressore della vita, quella vita bisogna che la si azzanni.” Elena si era sporcata le mani? Elena aveva capito? Penso di sì.

A Pagina 139 del capitolo 11, Leo cerca disperatamente il locale dei parenti di Elena, nella campagna umbra, e lo trova per caso (non avendo, immagino, un navigatore). Il primo navigatore è datato 1930, ma io ne ebbi uno intorno al 2008, più o meno all’epoca dei fatti.

A pagina 170 del capitolo 17, una ritrovata Elena chiede a Leo: “Ce l’hai il navigatore?”,Certo.” è la sua franca e lapalissiana risposta.

Durante una gara di ballo di ragazzine (a cui partecipa la classe di Asia, senza però vincere), Leo si addormenta di botto (come già gli capitò nell’ufficio dell’editore). Del genio ha solo questo: la sua attenzione recede quando non sta perseguendo un suo fine.

Leo scopre che i suoi sogni sono quelli che preconfezionano la vita del piccolo-medio borghese, fatta di brevi vacanze brutalmente interrotte da lunghi periodi di lavoro, e un’esistenza da trascorrere con una tipa abbastanza carina, a cui si deve cercare di voler un bene dell’animo, che poi, se non ti ama alla follia, basta farsene una ragione.

E qui termina il romanzo. Ah, dimenticavo, ora Leo, abbandonati i suoi conati letterari, finalmente intende soddisfare le aspettative della famiglia: entrerà presto a lavorare nell’azienda paterna. Qualsiasi mansione andrà bene, purché possa guadagnarsi onestamente la vita.

Di essere uno scrittore non gliene fregava più nulla, finalmente poteva gridarlo.” Soprattutto a sé.

Cos’è in fondo l’amore?si chiede infine lo scrittore Filippo Roma, a pagina 203 dell’ultimo capitolo.

Spesso quel sogno che chiamiamo amore è un inganno. E ci cascano tutti, uomini e donne. Pensiamo di incontrare…” etc etc. Per sapere il seguito occorrerà leggere il prossimo romanzo di Roma, che forse tratterà di una nuova aspirante scrittrice, magari proprio quella Barbara, i cui messaggini avevano tessuto gran parte del primo e ultimo romanzo di Leo.

Morale della storia: Leo è stato un vorace lettore, ma un assai stitico scrittore, che a un certo punto ha il buon senso di decidere di rinunciare alla gloria letteraria. Del resto, lo dice anche Murakami Haruki, ne Il mestiere dello scrittore (2015), che non occorre essere troppo intelligenti, né avere tanta cultura, per scrivere un romanzo. Tutti possono esserne capaci. Chiunque può scriverne uno, a volte anche due. Ma, per scriverne tre, si deve essere un romanziere, al quale basta un’intelligenza media, ma molta pazienza. Esattamente quel che manca a Leo.

E… Filippo Roma?

Nonostante certe piccole incongruenze, che ho avuto la malizia di sottolineare, Filippo sa catturare l’attenzione del lettore. Può fare di più, se s’impegna. Anch’egli, come Leo e come il sottoscritto, ha avuto la sua parte di sofferenza, di suo travaglio bestiale, perché diversamente non avrebbe forse scritto questo romanzo, da cui emerge un mondo maleodorante, simile a quello in cui viviamo: furbetti del cartellino, giudici di gara di ballo venduti, uomini e donne che si ingannano senza troppo rimorso.

Ma alla fine qualcuno che impara ad amare, pur con un certo, notevole forzo. Buon per lui, e per lei.

 

Written by Stefano Pioli

 

 

Bibliografia

Filippo Roma, Boomerang, Salani editore, 2020

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *