“Solo i mandala riflettono l’acqua” di Stefano Raspa: la realtà è l’ultima pietosa illusione
Esistono libri in cui l’autore discorre di sé, altri in cui descrive gli altri, altri in cui tratta dei rapporti che si stabiliscono con gli altri. Altri ancora in cui egli salta, come un elettrone, da un livello all’altro, liberando o risucchiando un quanto di luce.
L’uomo sta solo sul cuor della terra ma, prima che venga sera, non può evitare il confronto con l’Altro.
Quello, di frequente, cova dei pregiudizi su di te, e tu su di lui. Perciò l’io narrante dice che gli uomini tendono sempre a disprezzare le proprie origini. Sempre. Si tratta di un pregiudizio che coglie nel segno, ma quell’avverbio di tempo, del tipo assurdamente eterno, testimonia di come si giudichi il prossimo, oltre che se stessi. E la cosa spiega il perché si tema molto l’opinione altrui, perché porterebbe a variare l’immagine che di te ha il mondo.
“Solo i mandala riflettono l’acqua”: il discorso verte sulle sembianze, quel che si manifesta ai nostri occhi, in modo simile a quel che appare quando si sale su al Lago di Carezza. Chi venisse da tutt’altro mondo stenterebbe a individuare il dritto e il rovescio di quella mirabile pozza d’acqua, non riuscendo a capire quale sia il cielo, con le nubi e quale il lago, con le medesime. L’illusoria immagine (e tale è ogni sorta di visione) riflette se stessa in ogni suo particolare. Quale sarà la meno reale?
“Il problema è che la gente oggi va troppo in fretta.” – Questo vale anche per me? Oppure no? Io sono io? Non sono forse una particella di quel fenomeno relativistico che è la gente? Ognuno con la sua verità, ognuno differente? Sono io l’immagine della gente? O è la gente la mia?
“I clienti al ristorante chiedono sempre patate come contorno”: ecco un’altra frase assoluta che non ammette contraddittorio.
“Voi Europei credete sempre di primeggiare quando si parla di vino.” Questo è grave, se a dirlo è un Argentino, che qualche rancore verso qualche Europeo potrebbe pur averlo.
Del resto “L’Argentino sembrava conoscermi più delle mie stesse tasche.” Il confronto pare inevitabile. L’io narrante, il conflitto, se lo anticipa dentro di sé, in attesa di affrontare l’esterno. Egli giudica gli Altri come dei mentitori, creatori di “bugie sinistre”, per cui gli Altri sono troppo normali, perché possano essere sinceri. Sono ipocriti interpreti della realtà, in modo che essa si adatti ai loro fini sociali.
“Qualsiasi cristiano, isolato o prigioniero di una città a tempo indeterminato, soffrirebbe di gravi scompensi di personalità, nonché di una forma ossessiva e paranoica di solitudine.”
Ad un’anima contraddittoria come l’io narrante, l’Argentino appare come persona diversa dalla moltitudine, capace “di scovare sorprese in ogni battito di ciglia.” Ispirandosi a quell’inaspettato prossimo, l’io raggiunge una zona di Amsterdam in cui si scopre “per un istante libero dal mio carcere urbano.” In quel magico luogo, egli consiglia il prossimo (e se stesso) di non pensare agli Altri, se vuol cominciare a vivere davvero. Ci riuscirà?
“Che poi gli uomini sono esattamente dei mandala, dei microcosmi che racchiudono insieme la totalità dell’universo e il suo completo annientamento.” Semplici e al contempo complessi, desiderosi di catene ma non di sacrifici, e vogliosi di amore, ma anche di libertà, di fughe e di riavvicinamenti improvvisi, questo è l’Altro. Questo anch’io sono? Sono io a riflettere l’Altro, o è l’Altro a riflettere me?
Le droghe? “Non c’è niente di male a consumarne…”, poiché aiutano “a farsi traghettare meglio lungo l’esistenza.” Sono come “la distrazione e l’illusione.” La realtà appare come l’ultima pietosa illusione che è rimasta disponibile nella rete dell’esistenza.
“Dal portiere al centralinista, dall’operaio all’imbianchino. Sono tutti uguali, cambiano soltanto le frequenze la loro arroganza affiora in superficie.”
Il romanzo ricorda, sia nelle situazioni irreali, che nella scrittura mai ridondante, lo stile metafisico di Kafka. Ogni tanto l’autore esce da quella sua scrittura bigia, creando tranquille allegorie che vorrei definire sublimi, senza temere di esagerare: “erano tenuti insieme da qualcosa di meno energico, ma più solido, l’affetto che sopraggiunge quando la polpa rovente della passione è finita, e resta solo il tuorlo intorno al quale germogliava.”
E l’arte? È collegata “alla fortuna sfitta”, cioè quella “non sottoposta alle regole di un sistema, libera di scorrere, di esprimersi al suo meglio.” Arte è Libertà. Libertà è Arte. Il resto è meretricio (così sintetizzo in un’unica parola i pensosi ragionamenti espressi nella pagina).
“L’esperienza umana non si falsifica, né si può acquistare al mercato settimanalmente.” La frase mi stupisce, ed è quel verbo, falsifica, che mi fa meditare. Popper afferma che una teoria scientifica è falsificabile, quella religiosa no. Ed è un’atmosfera sacrale quella che trapela ad ogni scena descritta da quell’io narrante.
Basta “una scrosciata di applausi” a spezzare l’incantesimo, in cui egli sta vivendo, e da cui è continuamente, per un motivo o per l’altro, a essere estromesso, come non ancora idoneo a restare in maniera stabile in quel mondo arcano.
Ma “un blues energico” sa ricreare “la sensazione di sospensione nel vuoto, di energia trasmessa alle coscienze.” Ogni musica, per fortuna o disgrazia, prima o poi cesserà di vibrare nell’aria.
La nostra paura si nutre della diffidenza dell’Altro: “Se invece che scannarci gli uni con gli altri ci guardassimo più spesso negli occhi forse riusciremmo ad avere più coraggio.”
E qui viene posto l’indovinello a cui cercherò di rispondere in fondo a questa mia e solo mia reazione al libro: “Quanto veloce deve correre un uomo per impedire a se stesso di farsi raggiungere?”
Rinchiudersi diventa la forma più esecrabile di suicidio: “Il locale divenne una tomba chiusa troppo in fretta, dove, sepolto vivo, attendevo con ansia la mia personale asfissia.”
La presunta, forse improbabile, spontaneità dell’io narrante appare a qualcun altro “la forma di un mondo che non vedo da tempo, e che forse nemmeno esiste più.” Che sia l’ennesima e beffarda illusione? Chi glielo dice vuole penetrare nella sua anima e gestirla (per il suo bene, davvero!). Occhio, caro io narrante! Nessuno regala nulla al mondo d’oggi. Nella nostra deprecabile esistenza vale il detto do ut des.
Una visione. Una donna stupenda ama un uomo gobbo, lo colpisce, lo bacia, lo tortura, lo riama, all’infinito.
L’irrealtà che viene offerta impedirà di vivere per sé, spontaneamente. Però assicura tutta una serie di delizie e di orrori, senza un fine, senza una fine. “In loro il senso di rinuncia è ormai allo stremo”, essendo per sempre connessi alla finzione a loro offerta: “Non sono coscienti più di nulla. Vedono solo quello che vogliono vedere.”
Maya: l’essere femminile che importuna e gratifica l’anima dell’io narrante. Tutto è Maya, è illusione? È fede nella propria visione?
Qualcuno, che di mestiere fa l’Imam, suggerisce che gli unici vincoli giusti sono quelli che recano a un IO superiore, a cui si può aggiungere per comodità una provvidenziale D, che ti salverà dai pensieri sbagliati, e ti indicherà, paterno, quelli corretti, e se sarà intransigente lo farà per il tuo bene. D’accordo? Ti darà anche un aiuto misericordioso per quei due fatterelli che paiono inevitabili: “Venire al mondo ci costa fatica, ma lasciarlo ci costa ancora di più…”
Dio, Quest’Illustre Sconosciuto, è un arcano da non comprendere. Ma niente paura! Basta seguire la massa dei suoi fedeli, teleguidati da un giusto. “L’Imam era per loro il perfetto esempio da seguire, un mito da imitare e, quando serviva, persino da glorificare.”
“Maya credeva molto nella fantasia, nella forza dell’immaginazione, in quella ribellione che…”
Il bello delle relazioni è che finiscono insieme all’energia che le ha fatte nascere, esattamente come succede ai nostri corpi. Sono coinvolgimenti, entanglement, che hanno un inizio e una fine. Guai se non ci fossero. E guai se fossero eterni.
Mentre tu poni mente alle mie parole e a quella Dorata Illusione, rispondo all’enigma del tuo amico. Quanto veloce dovrai correre, se vuoi cessare di temere di farti raggiungere da un te stesso, magari dotato di un nome diverso (Worthynmore, Nightclaw, Stefano Raspa, Stefano Pioli)?
Occorre soltanto fermarsi e aspettare il primo venuto che per caso ti chiede d’essere traghettato dall’altra parte del fiume. E poi attendere seduto la venuta del prossimo, come già l’Altro, a te assai simile e per nulla uguale. In tal modo non sarai mai solo e mai apparterrai ad altri che a te.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Stefano Raspa, Solo i mandala riflettono l’acqua, Lupi editore, 2020