“Universi paralleli” di Valentino Bellucci: Leibniz è uno degli ultimi, grandi, filosofi iniziati
Di certo non pecca di spontaneità, l’autore, quando nella premessa al libro, definisce Comte come facente parte della categoria dei “filosofi ciarlatani” e Nietzsche di quella degli “angeli tragicamente devastati”. Egli mostra di preferire a questi, senz’ombra di dubbio, Leibniz, “uno degli ultimi, grandi, filosofi iniziati.”
Dio “coincide con tutti gli Infiniti, rappresentando l’Infinito Supremo, ma nello stesso tempo li trascende.”
Non sarebbe infinito e dinamico senza “infinite relazioni con infinite anime-coscienze”. Le monadi di Leibniz corrispondono a queste infinite anime in relazioni infinite fra loro.
Un’allegoria potrebbe essere quella dei neuroni collegati fra loro da innumerevoli sinapsi. L’insieme, la mente, è una specie di dio. L’insieme delle menti costituisce l’umanità, e così via. Pare un gioco di frattali.
“In ogni Monade si trova, ripiegato, un infinito“.
L’autore paragona tale cosmo leibniziano all’inconscio di Freud, “che altro non è se non l’infinità che è ripiegata in ogni coscienza e che rimane oscura.”
Il tratto che più apprezzo della scrittura di Bellucci è la sua capacità di accostamento di filosofie lontane anni luce, essendo appunto la luce quel che le assimila. “Leibniz, da vero esoterista, mostra l’anima come un punto metafisico di pura coscienza ed energia, esattamente come fanno le Upanişad.”
La differenza fra l’anima e Dio appare come qualcosa che non ha a che fare con la qualità e la quantità, intesa come dimensione, bensì come parte. Le anime sono infinitesime parti di quel Dio, con cui condividono la medesima scintilla. La fiamma di Dio è infinitamente più grande, ma quella dell’anima è una delle sue infinite forme.
“L’anima trascende spazio-tempo, è la sorgente della coscienza e dà vita ad ogni corpo.”
L’analogia, che Bellucci deriva dal fisico Bohm, è con l’ologramma, in cui ogni frammento “ha in sé l’intero.” A me verrebbe di pensare ancora alla teoria dei frattali. Ma è cosa analoga.
Nella realtà fisica “tutto implica tutto.” Similmente, ogni monade “rispecchia a suo modo il tutto.”
Per Leibniz “… è soltanto il tutto ad essere armonico, e l’armonia sussiste soltanto come configurazione del tutto…”
Quando il filosofo parla di peccato inteso come dissonanza che dovrà essere compensata, intende una specie di karma, cioè un’azione che “non può che rientrare sempre nell’armonia universale “.
La monade ha il compito “di raggiungere lo stato puro, luminoso, libera da ogni ombra corporale.”
Interessanti appaiono gli agganci con la mistica ebraica, ma soprattutto quelli, più arditi, con quella vedica, che Leibniz sicuramente ignorava. Significativa, eccitante, ma non so quanto appropriata è l’analogia con la fisica delle stringhe. Quest’ultima, inventata e mai galileianamente comprovata, è una teoria come un’altra, forse anch’essa un sogno. Questo ci è permesso, sognare.
E questo deve essere il mondo della monade: un quid onirico che è in grado di “liberare la propria natura divina.”
“La nostra realtà cambia solo quando cambiano i nostri desideri.”
Un mezzo perché questo accada è procedere con lo studio, la discussione, l’interazione fra gli eletti, dimenticando ogni appartenenza alla massa informe degli uomini, la cui grossolanità impedisce il risveglio dell’anima.
Mi meraviglia che Bellucci non citi Giordano Bruno (un giorno gliene chiederò il motivo), bensì lo scienziato Everett III, quando dice che per Leibniz “ogni universo possibile esiste già virtualmente nella mente divina.” E che i mondi sono necessariamente multipli e paralleli.
Altra analogia quantistica: l’elettrone salta da un livello all’altro.
“Così l’anima può saltare le varianti e cambiare la propria vita, scegliendo un altro film.” Vorrei far notare che, ad ogni suo balzo, l’elettrone causa la liberazione o l’assorbimento di un quanto di luce. Ignoro cosa succeda durante il salto dell’anima. E se vi sia un durante.
Mi accontento del consiglio che viene elargito: “lasciare al Divino la manifestazione del film più bello per noi.”
Interessante è la rappresentazione di Leibniz, in cui “l’universo è teatro dove corpi e anime sognano di essere realmente collegati.”
Dio permette ad ogni anima di scegliere “se svegliarsi o continuare a dormire nel teatro delle armonie prestabilite.”
Il libro termina con l’assicurazione (desunta dalla Bhakti) che il divino non possa rifiutarsi di accogliere la richiesta che gli viene rivolta da un’anima sincera e seria.
Vorrei finire questa disamina del tuo libro, caro Valentino, proponendoti un mio pensiero, sorto poco fa, durante la lettura.
La contrapposizione fra anima e corpo, sempre uniti e sempre assenti l’uno dall’altro, mi ricorda il mito dei Dioscuri, ma ancor di più l’apparente eterogeneità che esiste fra massa ed energia. La teoria einsteniana ha fissato per sempre la misura di tale confronto/conflitto: E=mc al quadrato. Tutto ciò che esiste, è esistito ed esisterà, rientra in questa formula magica.
Ogni massa fu energia, e viceversa.
Anche l’anima e il corpo ubbidiscono a tale inappellabile (e karmica) legge?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Valentino Bellucci, Universi paralleli, Fontana editore, 2019