“Il culto del feto”, un saggio di Alessandra Piontelli: come è cambiata l’immagine della maternità
“Mai due estranei legati allo stesso destino furono più estranei di noi. Mai due sconosciuti uniti nello stesso corpo furono più sconosciuti, più lontani di noi.” – Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato
Nell’apprezzabile saggio “Il culto del feto” scritto da Alessandra Piontelli, psichiatra, neurologa e psicanalista, e pubblicato da Raffaello Cortina Editore nel 2020, leggerete il termine feto, distinto da bambino, per rigore scientifico e precisione.
Le argomentazioni sono addotte con competenza e chiarezza espositiva. I feti sono esaminati da tre punti di vista: la prospettiva sociale dagli anni Sessanta fino ad oggi; lo sviluppo nell’utero materno; la percezione del feto in diversi contesti culturali.
Il tema è di estrema attualità perché parlare di feti implica prendere posizioni sui diritti di questi ultimi – e delle donne che li portano in grembo – che diventano creature stereotipate in cui proiettare desideri, sogni e paure sul futuro e sull’umanità nel suo complesso.
Dopo la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, le donne, grazie ai contraccettivi, hanno potuto vivere l’amplesso come piacere, senza il timore di una gravidanza indesiderata. A tracciare una linea di demarcazione fra un prima e dopo, nella storia del feto, sono, però, gli anni Ottanta, decennio in cui vennero introdotti in ostetricia gli ultrasuoni e si sperimentarono le prime tecniche per la cura dell’infertilità.
E, man mano, il progresso tecnologico ha permesso di avere, grazie alle ecografie, immagini della vita intrauterina sempre più chiare e distinguibili che hanno contribuito alla partecipazione dei futuri padri all’esperienza della gravidanza della propria compagna e alla costruzione di un feto consumatore che campeggia sui cartelloni pubblicitari.
Anche la gravidanza è diventata un momento pubblico che le celebrità annunciano sui rotocalchi con foto del pancione, a partire da Demi Moore nel 1991: questo comporterà una evoluzione sociale nella divulgazione e esibizione della attesa e del parto anche presso le donne comuni.
Nella prima decade del nuovo millennio, il feto non smette di essere protagonista; i progressi nelle tecniche della fecondazione assistita, la crioconservazione di embrioni e il ricorso alla maternità surrogata pongono problemi etici circa la genitorialità da parte di single e di coppie in età avanzata o omosessuali.
L’utero è diventato “trasparente” e la crescente consapevolezza dell’entità/ essenza del feto ha portato le donne, in seguito a un aborto spontaneo, ad affermare di aver perso un “bambino” e, di conseguenza, all’acuirsi di campagne antiabortiste. Nonostante le preoccupazioni della Chiesa, dopo il referendum del 1978 le donne italiane abortiscono sempre meno, a differenza delle immigrate.
Queste ultime vivono la gravidanza in modo diverso, considerano i feti non come bambini e soffrono meno il senso di colpa: non sono cattive madri, ma spesso temono di perdere il lavoro, hanno già altri figli in un paese lontano e dispongono di poche risorse economiche.
Di contro, se infertili, le donne dei paesi non occidentalizzati si sottopongono a cure per l’infertilità anche contesti di degrado in ambito sanitario, poiché la realizzazione femminile si compie, nel dominio patriarcale, solo attraverso la generazione di figli.
“Essere mamma non è un mestiere; non è nemmeno un dovere: è solo un diritto tra tanti diritti.” – Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato
Written by Emma Fenu