“Schiavo d’amore” di William Somerset Maugham: un piede anomalo che sogna la libertà
“E colui il quale ha così poca coscienza di sé così come l’ape dell’alveare, è il più fortunato perché ha più possibilità di essere felice. la sua attività è condivisa dagli altri e i suoi piaceri sono tali perché sono goduti in comune.”
“L’allusione al libero arbitrio è talmente radicata in noi che io sono pronto ad accettarla. Agisco come se fossi libero di agire. Ma quando un’azione è compiuta è chiaro che tutte le forze dell’universo hanno eternamente cospirato per farla compiere e nulla avrebbe potuto impedirla. Era inevitabile. Se era buona non ne ho alcun merito, se è cattiva non posso esserne biasimato.”
“Da una parte avete la società e dall’altra l’individuo: ciascuno è un organismo che lotta per la propria conservazione. Potenza contro potenza. Io sono solo, costretto ad accettare la società…”
Filippo rimane orfano di entrambi i genitori quando è ancora molto piccolo. Ha un piccolo, enorme handicap fisico: un piede cavallino che lo costringe a zoppicare e che ogni tanto gli viene fatto notare da chi, in quel momento, lo vuole ferire.
Dopo alcuni anni passati in collegio, decide di andare in Germania a imparare la lingua. Poi si reca in Francia, dove frequenta una scuola per diventare un pittore. Quando gli viene detto dal suo maestro che potrebbe diventare un ordinario e buon pittore, abbandona ogni sogno di gloria e se ne torna a Londra, dove s’iscrive all’università per diventare medico, come fu il padre.
Mentre frequenta tale facoltà, incontra una cameriera che si chiama Mildred Rogers, volgare e ignorante, di cui si innamora perdutamente, senza però provare alcuna stima per lei.
Le chiede addirittura di sposarla, ma questa rifiuta quando capisce che col matrimonio resterebbe la disgraziata che è già. Quando lei comunica a Filippo la sua intenzione di sposare un tedesco molto più gioviale e abbiente, egli ne soffre terribilmente, molto, abbastanza, appena un poco. Ma sempre meno.
Anche lui aveva fatto innamorare di sé un paio di povere femmine, a cui aveva dato poca importanza, una delle quali addirittura finisce per impiccarsi. Lui invece supera la delusione, in virtù del suo grande amore per la vita.
Sono circa a metà del libro, quando una frase di un mio consanguineo giunge ad hoc per farmi capire il primo insegnamento che mi ha donato l’autore del romanzo.
“- Sei appena tornato, ma mi pare che stai uscendo di nuovo…
– Papà, la Effe schiavizza!
Come se non lo sapessi! M’era solo passato di mente.”
Mildred Rogers aveva schiavizzato Filippo, che non confidava per nulla in lei, poiché si avvedeva di tutti i suoi difetti: la trovava insopportabile, malevola e neanche bella, col suo pallore da anemica. Eppure non riusciva a levarsela dalla mente, fino a che, finalmente, lei decide di scappare con il tedesco e di togliersi dai piedi.
Stanotte ho fatto vari sogni, di cui non importa parlare. Verso le 4, in un dormiveglia durato qualche decina di minuti, ho pensato al Tempo. Nulla, si sa, può andare più veloce della luce, quasi 300.000 km/sec. Se qualcosa o qualcuno ci andasse (ad esempio un tachione), quell’originale tornerebbe indietro nel tempo.
Einstein disse che spazio e tempo sono connaturati, e che a questo insieme quadridimensionale è collegata anche l’accelerazione e la gravità. Il tutto forma un tutto unico. Lo spazio è uno, il tempo è uno, la gravità è una, la luce è una: e tutti questi gradi di libertà sono Uno.
Uno è assoluto, tutto il resto è relativo.
Uno in questo caso significa destinato all’Unicità: non potrà mai diventare uno e un po’ e, mai che mai, due.
Poco dopo è apparso al mio spirito semicosciente il concetto espresso dal secondo principio della termodinamica, che prevede l’aumento nel tempo dell’entropia, il disordine cosmico. E questa demoniaca creazione del caos pare stia sempre più incrementando la sua attività fin dal primo Fiat Lux.
Poi ho pensato ai buchi neri, che sono il prototipo dell’ordine assoluto. Secondo Smolin un cosmo ha maggiori possibilità di reincarnarsi, allorché produce un numero maggiore di uova, cioè di singolarità aspiratutto, che diverranno un bel giorno dei buchi bianchi che creeranno nuovi universi. Fiat Lux Again! Nei secoli dei secoli!
Secondo altri studiosi, però, i buchi neri prima o poi inghiottiranno tutta la materia e la luce esistente. E finiranno per divorarsi l’un l’altro. Dopo di cui, morranno, non avendo più nulla di cui nutrirsi. E, a un certo punto, finalmente… Boh, non lo so… Chiedetelo a Rovelli. E nemmeno lui forse vi risponderà. E qui mi fermo, essendo solo a metà libro. Vi dirò forse qualcos’altro in seguito. Se potrò.
Quando una particella-autore nasce riceve energia, che poi si disperde nell’ambiente, e talvolta diventa un libro. E poi ne riceve dell’altra, che si trasformerà in qualcos’altro. Capita che una particella-lettore, in un punto xyzt della storia del mondo, sfili un volume (proprio questo qui!) dalla mensola e che ne sia catturata, cioè deviata, poiché tutta l’energia non può che scaturire da qualche parte e partecipare al nuovo fenomeno transeunte.
Quando la particella emette una radiazione, detta anche reazione, il gioco continua, sia in forma mentale che scritta. Se tu leggi questo, anche tu subirai l’interazione e così il mondo, fino a quando ci sarà, andrà avanti, trascinando il suo piede equino.
Si viene al mondo per ricevere tutto e subito, per poi consegnarlo a poco a poco, e improvvisamente.
Quando leggo un libro non vedo l’ora di sapere come andrà a finire, non tanto per lui, quanto per me. Lo dice anche la particella-autore, cioè una sua ipostasi, il suo stato di nome Filippo:
“… mi pare di leggerlo solo con gli occhi; ma a quando a quando mi capita un brano, magari una semplice frase che ha un significato per me, e che diventa parte di me. Ho tratto allora dal libro tutto ciò che può darmi, e non ne potrei trarne di più se lo rileggessi dieci volte. A me pare, vedete, che noi siamo come tanti boccioli chiusi; la maggior parte di ciò che si legge non ha alcun effetto su di noi, ma vi sono alcune cose che hanno un particolare significato e che fanno aprire un petalo. Ad uno ad uno si aprono tutti e finalmente il fiore è sbocciato.”
Tu, William, sei un grande scienziato e io ora ti falsifico (ma di poco): tutto quello che si legge (e si vive) ha effetto su di noi, come succede alle particelle virtuali che non bastano di per sé a esistere, ma sono essenziali per far aprire il petalo e a donare la vita al fiore.
“La visita di Hayward fece molto bene a Filippo. Ogni giorno più i suoi pensieri si allontanavano da Mildred.”
Lo dice anche Venditti: ci vorrebbe un amico per poterti dimenticare, ci vorrebbe un amico per dimenticare il male. L’amicizia cos’è? Chissà chi indovina? È kam’a, passione. Chiodo batte chiodo, purché non sia storto o arrugginito.
La F schiavizza, ma quando Fugge, ti senti libero (e desolato). Se c’è un amico, la cosa cambia un po’.
“Gli si stringeva il cuore…” pensando a tutta l’energia sprecata per Mildred. Cerca una risposta, ne trova una mezza che al momento basta:
“Schiavo perché non posso farne a meno – rise Filippo – ma senza esserne contento.”
E del libero arbitrio, dell’imperativo categorico kantiano, che ne facciamo?
“Kant pensava certe cose non perché fossero vere ma perché era Kant.”
Kant era Kant, Filippo era Filippo.
“Prima di agire sento che posso scegliere, e questo influisce sulla mia decisione; ma quando una cosa è fatta sono convinto che era inevitabile fin dall’eternità.”
Uno è uno, non due, semmai Uno meno Uno è Zero. Chissà!
La Effe è la consonante che meglio zufola in bocca.
Un gradino di sotto c’è la Esse, che invece sibila.
Ffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff!
Ssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssss!
Mildred è tornata incinta (del tedesco), abbandonata (dallo stesso), sempre più patita e senza un penny. Filippo ne è ancora (irragionevolmente) innamorato. Lo scopre appena la vede, non meno cerea di prima, e molto sofferente. Eppure era davvero convinto di avere seppellito il ricordo della sua miseranda mediocrità.
Ffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff!
Ssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssss!
Una donna di nome Nora si era intanto innamorata di Filippo, che le vuole tanto bene, ma che abbandona al suo destino per il ritorno del suo Centro di Gravità Assoluto: Mildred.
Nora è sgomenta (è la terza che giunge a tanta disperazione per lo zoppino):
“Sapevo che tu non mi hai amato come ti amavo io” – disse.
“Temo che sarà sempre così. Ci sarà sempre uno che ama e uno che si lascia amare.”
Capita a tanti altri, ad esempio alle stelle doppie.
“Non sapeva quale fluido passasse in realtà da un uomo a una donna o da una donna ad un uomo per rendere i due esseri schiavi l’uno dell’altro.”
La fisica è attualmente impossibilitata a rispondere a tale domanda. La questione fa parte di quei Z-misteri di cui parla Penrose. Sono ammissibili a riguardo soltanto teorie religiose, purché fantasiose.
Filippo presenta Mildred al più vanesio dei suoi amici, l’eternamente sorridente e brillante Harry, che se ne incapriccia per qualche giorno, facendola innamorare follemente di sé. La passione di Mildred per quello scapestrato è terribile, e for ever; quella di Harry finisce (seppure sia mai nata) in un paio di giorni. Mildred è ora sola e infelice.
Anche Filippo lo è, ma la nuova professione di medico sembra colmare di novità la sua tristezza. Ora pare sereno, è meglio aspettare gli eventi, però.
Ogni tanto mi viene in mente il titolo del romanzo e… “Ripensò per un attimo all’amore che lo aveva consumato, ma quel sentimento gli parve volgare a paragone dell’eccitazione che in quel momento…”
Il riferimento-antagonista è con Tristano e la sua amante illecita Isotta, dove quel patetico eroe suole mettere una spada tra di loro, mentre dormono insieme. Egli ardentemente la brama quando lei è lontana, rinchiusa nel talamo regale. E la distanzia da sé, quando è vicina, come se fosse infetta.
Qui la situazione è capovolta: quando lei è vicina, lui ne subisce la terribile e umiliante attrazione gravitazionale; quando è lontana, non può che sentirsi libero di vivere appieno la vita. Che dovrebbe essere lo scopo principale di qualsiasi vivente, innamorato o no che sia. Ma che non è sempre così.
“A un tratto il suo cuore cessò di battere. Aveva visto Mildred. Da diverse settimane non pensava più a lei”. Era uscito dalla sua orbita, ma ora…
Ora scopre di non desiderarla più, ma il destino infame di lei lo commuove e decide generosamente di ospitarla, lei e la sua povera bambina.
Il fatto provoca un caos terribile nella sua vita, ma poi, come tutte le cause d’entropia, la spinta distruttiva cessa e il nostro caro zoppino può rimanere solo e tranquillo, per un po’.
Scusa, Filippo, se anch’io t’ho chiamato zoppino. Mi è scappato. Ma sono più di 600 pagine che sto trascinando la tua zampa anomala!
Ha ragione chi ti conosce, sei “un buon ragazzo, sempre pronto a far dei piaceri, sempre gentile ed educato.” Qualcuno ti ha spiegato che Kant racconta fesserie quando insiste col suo imperativo categorico, e che la morale assoluta non esiste affatto. E forse nemmeno quella relativa. Sogni! La tua misera condizione ti fa ogni volta pentire delle tue scelte e delle cose che dici a qualche amico, e a te stesso: “si sentiva il cuore pesante, e – secondo il solito – cominciò a rimproverarsi il suo modo d’agire.”
Che brutto difetto possedere un’eccessiva onestà intellettuale! Perché quest’alternarsi di momenti tanto belli con altri così infelici? Perché, ti rispondi, “la vita non aveva alcun significato.” Nulla ce l’aveva, ce l’ha e ce l’avrà mai! O se ce l’ha, lo tiene ammucciato.
“L’uomo, non più significante di quanto lo siano le altre forme di vita, non era nato come apogeo della creazione, ma come creazione fisica all’ambiente.”
E questo pensiero ti fa strillare, quasi inebriato da tanta sublimità: “Oh, vita! Dov’è il tuo aculeo?” I tuoi sogni, pur sopiti, di diventare pittore ti aiutano a raffigurare la condizione umana: “Qualunque cosa fosse accaduta ormai sarebbe stata soltanto un motivo di più da aggiungere alla complessità del disegno; al momento della fine egli avrebbe provato letizia nel vederlo completo. Un’opera d’arte quel disegno, non meno bella per il fatto che egli solo ne conosceva l’esistenza; e con la sua morte avrebbe cessato di essere. Filippo era felice.”
Incontri di nuovo quella disgraziata, verso cui non senti più nulla che non sia disgusto, sempre più infame, entropica e auto-distruttiva. Eppure, decidi di aiutarla, per pura pietà umana, quella che non serve nella vita, né per essere felici, né per non esserlo. La togli dalla strada, dove si sta vendendo al peggior offerente.
Quando vai a trovare l’anziano zio taccagno, non riesci a non desiderare di vederlo morto. Accarezzi per un attimo l’idea di somministragli una dose doppia di farmaci, per ereditare, ora che la miseria sembra non volerti più abbandonare. Conosco il tuo desiderio, per averlo anch’io provato un giorno: anche per me si trattò di un attimo doloroso.
Ma non fai nulla, perché ne temi il rammarico eterno, o almeno finché camperai. Questo zio, tanto egocentrico in vita, soddisfa alla fine i tuoi sogni. E se ne va in pace del suo dio personale, dandoti quella serenità (economica) a cui da tempo anelavi.
Faccio un po’ lo spoiler: prima tu ti fai una bella famiglia e poi forse ti sposi.
Amico caro, lo stile del tuo dio, quel William che anche tu senz’altro conosci, è squisito e terribile. Non so se più squisito o più terribile. È squisibile.
Un raffronto con te lo faccio col mio Myškin, con cui stabilii un patto di sangue il 13 maggio 1984 (era una domenica sera). Quel principe è per me ineguagliabile. Ma tu gli assomigli parecchio.
Caro Filippo, o Fil, come abbrevia il tuo nome la tua traduttrice Ada Salvatore, o Phil, come ti hanno di certo chiamato gli amici che hai avuto, lo sai cosa contraddistingue te da tutti gli altri eroi amati e non amati di cui lessi?
La tua è quell’irreale qualità che il tuo amato dio attribuì a Salvatore, il pescatore siciliano, al termine dell’omonima novella: Goodness, just godness!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
William Somerset Maugham, Schiavo d’amore, Mondadori, 1940
Interessante. Il titolo Schiavo d’amore mi riporta alle letture dei poeti della scuola poetica siciliana dove i nobili cavalieri (gran parte di origine germanica) nelle liriche in volgare siciliano si dichiaravano servo e amante.