Calcio: quando lo sport diventa fenomeno sociale
Sin dall’epoca dell’Antica Grecia, lo sport non si identifica con la semplice competizione, ma rappresenta un vero e proprio fenomeno culturale.
Basti pensare che all’epoca, nell’anno olimpico, anche le guerre venivano interrotte per permettere agli atleti di gareggiare in quel di Olimpia.
Con il passare degli anni, e dei secoli, lo sport ha continuato a rivestire un’importanza fondamentale all’interno della società e quest’oggi si soffermeremo sul calcio che, con ogni probabilità, oggi è lo sport più seguito e praticato al mondo.
L’importanza del calcio nella cultura di massa
Da sempre, lo sport, e in particolare il calcio, hanno rivestito un ruolo fondamentale all’interno della cultura di massa, in ogni parte del mondo.
Sono diverse le storie che ci raccontano di un calcio capace di aiutare le persone a emanciparsi e a dimenticare le difficoltà della vita quotidiana, nonché capace di contribuire in modo significato alla destituzione di regimi dittatoriali.
Ne è un esempio il Corinthians di Sócrates che, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, diede vita a quella che ancora oggi è ricordata come una delle più incredibili e affascinanti esperienze di autogestione autarchica dello sport.
Stiamo parlando della Democracia Corinthiana che, con il suo sistema democratico ed egalitario, contribuì a porre fine all’esperienza dittatoriale di quel Brasile.
Ci sono poi esperienze come quelle di Barcellona, con la squadra catalana che da sempre è simbolo di un popolo che rivendica la propria indipendenza, innanzitutto sul rettangolo verde. Poco importa se la squadra di un Leo Messi abbia recentemente perso per 2-8 contro il Bayern Monaco che al 17 di agosto, secondo le scommesse online di Betway, a quota 1,50, è la favorita per il passaggio del turno contro la rivelazione Lione.
In un simile contesto, il risultato sportivo lascia il tempo che trova, ciò che conta realmente è il senso di appartenenza, la profonda identificazione di un intero popolo in una squadra che, come scritto a caratteri cubitali allo stesso Camp Nou, è “Més que un club”.
Senso di appartenenza che troviamo sia in Europa che in Italia, partendo dalla Serie A sino ad arrivare alla terza categoria, e che è uno dei motivi per cui il calcio è seguito da un numero così elevato di fan in ogni angolo del globo.
Il calcio in Italia: da strumento di propaganda a fenomeno sociale
Nato in Gran Bretagna e diffusosi in Italia negli due decenni del 1800, il calcio è per distacco lo sport più diffuso e praticato del Bel Paese. Il bacino d’utenza immenso, fa sì che questo sport ogni anno riesca a generare un indotto di decine di miliardi di euro.
Ma come è cambiato il calcio italiano nel corso degli anni? Che importanza riveste tutt’oggi all’interno della nostra società?
Il calcio, così com’è riuscito forse solo al Giro d’Italia, è da sempre in grado di attirare l’attenzione della stragrande maggioranza della popolazione, anche di coloro i quali non lo praticano o non sono tifosi.
Come raccontato anche nel libro “Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini” in vendita su Amazon, l’affermazione del calcio quale sport di Stato, si ebbe sicuramente nel ventennio fascista, quando Mussolini comprese l’importanza “sociale” del calcio e decise di investire in modo massiccio sulle infrastrutture e sulla figura del “calciatore super uomo”.
Sebbene l’esperienza del fascismo sia finita come tutti sappiamo, il calcio ha proseguito per la sua strada e, da strumento di propaganda, si è ben presto trasformato in strumento di libertà. A partire dagli anni ’60, sino ad arrivare ai giorni nostri, il calcio è stato capace di unire intere città, partendo dall’alta borghesia sino ad arrivare a quello che una volta sarebbe stato chiamato proletariato.
La funzione “educativa” e culturale della curva è stata fondamentale nella formazione di intere generazioni di ragazzi che, soprattutto negli anni ’70 e ’80, si avvicinavano agli stadi anche e soprattutto per la connotazione politica che gli stessi avevano assunto nel corso tempo.
Col tempo, tuttavia, le cose sono cambiate e le curve, da strumento di aggregazione, sono state identificate come covo di teppisti. Sulla scia di quanto avveniva nel frattempo in Gran Bretagna, gli appassionati cessavano di essere semplici tifosi per indossare le vesti di hooligan.
Ciò ha portato l’opinione pubblica ad associare la figura del tifoso a quella di delinquente, dimenticando però quanto importante sia stato lo stadio per la formazione, sì anche culturale, di intere generazioni.