“Canto di Saffo” di Alberto Borgogno: quei sette frammenti salvati dal naufragio dell’opera della poetessa
La prima poetessa che incontriamo percorrendo la storia letteraria della Grecia antica, Saffo, nata nell’isola di Lesbo tra il 640 e il 630 avanti Cristo, era la «sacerdotessa» di un tiaso, ossia di una società a sfondo religioso e culturale di donne che trovavano un’identificazione collettiva nel culto di una divinità.

Nel tiaso di Saffo, legato al culto della dea Afrodite in Lesbo, soggiornavano ragazze di famiglie aristocratiche residenti in città anche lontane come Salamina, Mileto, Colofone, o in regioni come la Lidia, per ricevere un’istruzione in vista del matrimonio (erano praticati il canto, la danza, gli esercizi ginnici, lo studio dell’epos e della poesia del passato: tutta l’educazione tendeva a sviluppare nelle allieve una raffinatezza estrema).
Probabilmente un aspetto di questa vita comunitaria era rappresentato dall’iniziazione erotica e dalla pratica omosessuale: da quanto ci resta della produzione poetica di Saffo si può dedurre che lei stessa intrecciò relazioni amorose con le proprie allieve, forse in modo simile a quanto avveniva nei gruppi maschili.
Per le ragazze si trattava di una preparazione alla vita coniugale e familiare: quando giungeva lo sposo abbandonavano il tiaso, come era previsto, ma Saffo ci fa capire che per lei questi addii non sempre avevano i caratteri di indolori partenze programmate.
Ho costruito il testo della mia canzone utilizzando brani di ben sette frammenti fra quelli che si sono salvati nel naufragio dell’opera di Saffo (nn. 1-2-16-31-34-94-168b nella benemerita edizione di Eva Maria Voigt): tutte le parole che ho affidato al canto sono traduzioni di altrettante parole greche che si trovano nei frammenti, però il collocarsi di queste parole in un ordine che crea una narrazione, il loro disegnare in qualche modo una fabula, sia pure di breve respiro, è dipeso esclusivamente da me, io me ne assumo la piena responsabilità!
In cosa consiste il mio racconto?
All’inizio vediamo Saffo nel giardino del suo tiaso, probabilmente nel tardo pomeriggio, quando ancora fumano gli altari dei sacrifici (fr. 2): invoca la grande dea di cui è sacerdotessa, Afrodite, e la prega di starle accanto, di esserle alleata nel suo prossimo tentativo di rendere più amorosa una delle sue ragazze (fr. 1), e ha anche modo di esporre la sua idea – che diventerà famosa nei secoli – riguardo alla bellezza e all’amore («la cosa più bella è ciò che si ama», fr. 16).
Dopo la pausa strumentale ho collocato il frammento 31: Saffo improvvisamente vede una sua allieva seduta accanto a uno splendido giovane, lì nel giardino; la vede felice e accondiscendente, e allora esplode in quella serie di manifestazioni affettive e fisiche che hanno affascinato tanti lettori, a partire dall’Anonimo del Sublime, che ci ha trasmesso il frammento, e da Catullo, che ce ne ha lasciato una magistrale traduzione nel metro preciso dell’ode saffica (seguiranno in epoca moderna le due traduzioni del Foscolo, 1790 e 1821, e quelle di Racine e di Tennyson, entrambe del 1832).
Si tratta di una delle ragazze da lei amate: è giunto da lontano il bellissimo pretendente, forse ha già stipulato il contratto di matrimonio col padre di lei, e lei gli rivolge un dolce sorriso: dunque Saffo la perderà.

Troppo semplicistico battezzare con lo sbrigativo nome di «Ode della gelosia» – come spesso è stato fatto – questo immortale frammento 31 Voigt, che nasce da un inestricabile intreccio di situazioni e di sentimenti!
Esso termina con alcune parole che, pur prive ormai del contesto originario, forniscono un indizio prezioso per la prosecuzione della nostra storia. Si tratta dell’affermazione «ma tutto si può sopportare» (allà pàn tólmaton): Saffo dovrà sopportare la separazione perché è giusto che questa avvenga, perché così vuole l’istituzione che la vede sacerdotessa di un tiaso famoso in tutto il Mediterraneo orientale.
E allora, quando la notte sarà sopraggiunta e la luna avrà prepotentemente cancellato tutte le stelle (fr. 34), Saffo, sola nel suo letto, lenirà il suo dolore coi ricordi struggenti del tempo passato: le splendide espressioni che il lacunoso frammento 94 lascia intravvedere, con l’aggiunta di qualche altra notazione pur sempre desunta dal lessico per la poesia femminile creato dalla nostra poetessa, mi hanno fornito le parole della chiusa del pezzo.
Ho costruito la melodia sull’antico modo greco eolio, lo stesso di cui probabilmente si serviva Saffo, impresa non troppo complicata perché l’antico modo greco eolio coincide col nostro modo minore naturale; il canto è di Silvia Nencetti, ora dolce ora graffiante come il personaggio che ha interpretato.
Written by Alberto Borgogno
Sono stato alunno del prof. Borgogno negli anni ’90 all’università di Siena e ne ricordo ancora con gratitudine le sollecitazioni culturali e le riflessioni che scaturivano dalle sue lezioni di letteratura greca. Oggi lo scopro sensibilissimo “poeta” di testi e musiche veramente apprezzabili. Gli auguro di proseguire ancora a lungo nell’assecondare questa sua ispirata inclinazione.
Alessandro concordiamo con il sensibilissimo poeta e ti ringraziamo per il commento.