Diario di Søren Kierkegaard: il Singolo e la Folla

Qui ritorna il male della storia universale. Si è stabilito di nuovo il principio della Folla (e questo concetto avrà ora, dopo il sopravvento della cultura e con l’aiuto della stampa, un potere ben più nefasto che nell’antichità). La Folla è l’istanza, la Folla è Dio, la Folla è la verità, la Folla è il potere e l’onore. Ora non si pensa che a giocare con questa Folla. Come si gioca al denaro, così la Folla è tutto; e si tratta solamente e unicamente d’impossessarsi di essa e di averla dalla propria parte. Davanti a questa forza tutto si piega.” – Søren Kierkegaard

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Il filosofo e teologo Søren Aabye Kierkegaard (Copenaghen, 5 maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre 1855) visse la quasi totalità della sua vita a Copenaghen avendo ricevuto come educazione l’ossessione del peccato da un padre ormai anziano convinto di essersi macchiato di una grande colpa. Sin da giovane, Søren nonostante la rigida educazione sviluppò un grande senso dell’ironia che portò al rifiuto della filosofia hegeliana e dalla Chiesa danese. Nonché un rifiuto dell’amore di una donna, infatti lasciò – senza dare una precisa spiegazione – la fidanzata Regine Olsen (Frederiksberg, 23 gennaio 1822 – Frederiksberg, 18 marzo 1904), pur restandole fedele per tutto il corso della vita tanto da nominarla ereditiera del suo patrimonio malgrado il matrimonio di lei con l’avvocato e dipendente pubblico Johan Frederik Schlegel.

Søren ha dedicato la vita allo studio ed alla scrittura senza lasciarsi abbindolare dai bagliori fittizi dei salotti e delle strade principali delle grandi città. Abbiamo, dunque, una vastità di scritti tra opere, diari, lettere, antologie; citando le più conosciute “Aut-Aut” (Enten-Eller), “Timore e tremore”, “Il concetto dell’angoscia”, “La malattia mortale”.

Un uomo che, con occhio infallibile, ha avvertito i segni del suo tempo e con coscienza profetica ci ha narrato il presente, un uomo che accostiamo al filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) ed è anche per questo motivo che si è deciso di raccontarlo con alcune pagine estrapolate dal suo Diario.

“Johannes Climacus o De omnibus dubitandum est” è il titolo di un’opera incompiuta di Kierkegaard risalente al 1943 ma pubblicata postuma, la prima edizione italiana è del 1996 (Edizioni ETS a cura di Simonella Davini). Nel breve scritto il filosofo danese si interroga sulla fede ossia sul come sia impossibile continuare a vivere dubitando di tutto. Il metodo di investigazione è quello del finto racconto con domande e risposte. Il libro si apre con due citazioni di Baruch Spinoza ed una dalla Prima lettera a Timoteo.

Di seguito è riportata una selezione di alcune pagine tratte dal Diario di Kierkegaard che riguardano il problema della Folla e nelle quali si manifesta la fuoriuscita per l’affermazione del Singolo. Di grande rilievo l’interpretazione del male della Folla, la si potrebbe definire preveggenza o più correttamente come “interpretazione dei fatti del presente per individuarne il possibile futuro”.

Ma in un governo di popolo chi comanda? Un X ovvero le eterne chiacchiere, ciò che in ogni momento è o ha per sé la maggioranza, la più pazzesca di tutte le categorie. Quando si sa come vanno le cose per ottenere la maggioranza, e come la faccenda può fluttuare, che sia poi questo assurdo ad andare al governo?

È conclamata e già citata, invece, la poca stima che il nostro filosofo nutriva nei confronti di Georg Wilhelm Friedrich Hegel ed anche in queste riflessioni si ripresenta: “Questa irreligiosità (l’abolire il rapporto di coscienza) è il danno fondamentale della filosofia hegeliana. E la filosofia hegeliana è divenuta ora così popolare che alla fine i facchini saranno lo Spirito oggettivo.”

Essendo questa sottostante una selezione soggettiva si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia (od in alternativa dell’edizione del 1962 edita da Morcelliana) per potersi abbeverare in modo più approfondito.

Costruiamo la scala per l’ascesa.Niccolò Cusano – “Deus absconditus

 

Il Singolo e la Folla

Quel ch’è eccellente nella Repubblica di Platone è precisamente il fatto ch’egli non fa lo Stato superiore al Singolo, meno di tutto nello stile parolaio di Hegel. Per descrivere il Singolo, Platone descrive lo Stato: descrive un democratico, e lo fa descrivendo la democrazia; egli costruisce uno Stato per il Singolo: “unum noris omnes”. Questa è la vera idealità umana; altrimenti si cade in quella confusione, di pensare che i molti, per il fatto di essere molti, fanno uscire forse qualcosa di tutt’altro da quel che è ogni Singolo.

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Annotazioni da Berlino – 1846 (5-13 maggio)

La Provvidenza non è più comprensibile della Redenzione, ambedue si possono soltanto credere.

Il concetto di Provvidenza è che Dio si preoccupa del singolo e delle sue cose personali, ciò che al massimo fantasticamente (nella astrazione) si può affermare come una incongruenza eterna nell’immanenza fra il finito e l’infinito – ma non come processo nel divenire.

La Redenzione è la Provvidenza continuata: Dio si preoccuperà del Singolo e delle sue più piccole cose, benché egli abbia sprecato tutto. Comporta un passaggio εἰς ἄλλο γένος[1], in questo senso la Redenzione è anche dialettica per il segno in cui è riconoscibile; poiché la Provvidenza non si conosce da un segno, come è un segno la morte di Cristo (il segno della Croce).

Provvidenza e Redenzione sono categorie della disperazione. Cioè io avrei dovuto disperare se non avessi potuto, sì, anzi dovuto credere. Dunque esse non sono ciò che fa disperare, ma ciò che allontana la disperazione.

Il lato storico della redenzione deve star saldo ed essere certo come un qualsiasi avvenimento storico, ma non di più: perché allora le sfere si confondono. La cosiddetta certezza storica effettiva sarebbe o l’autopsia di un contemporaneo o per i posteri l’attestazione di uno che vien dopo, che avesse la testimonianza di un uomo fidato; ma se queste due cose si sopravvalutano, si snerva la natura della Fede. In rapporto alla Provvidenza, io non ho in questo modo (qualcosa di sensibile a cui attenermi) neppure un altro uomo a cui appoggiarmi; per di più ho contro di me tutta la preoccupante considerazione dell’esistenza, con tutto quello spettacolo della sua miseria.

Così io credo in una Provvidenza. Il presupposto storico effettivo della Redenzione deve essere mantenuto soltanto come ogni realtà storica; ma deve sempre la passione della Fede decidere del tutto, come per la Provvidenza.

La Fede della Redenzione nella remissione dei peccati toglie al contrito quella determinazione intermedia dell’angoscia di pensare che tutto il suo rapporto a Dio debba andare attraverso la determinazione intermedia della pena.

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Diario di Søren Kierkegaard - il Singolo e la Folla
Diario di Søren Kierkegaard – il Singolo e la Folla

Si può benissimo mangiare l’insalata prima che abbia fatto il cuore: però il suo delizioso arricciarsi è tutt’altra cosa dalle foglie.

Così succede anche nel mondo dello spirito. L’indaffararsi fa sì che raramente una individualità riesce a fare il cuore e dall’altra parte il poeta, l’uomo religioso, il pensatore che veramente ha fatto il cuore, non sarà mai popolare; non perché egli sia difficile, ma perché occorrono riflessioni silenziose e lunghe, intimità con se stessi e solitudine.

Anche se io, mettendomi a gridare, potessi dire qualcosa di gradito a tutti: io, se si trattasse di materia religiosa, non lo direi, perché è già una specie di indecenza per la religione che si debba dar importanza allo strillare invece di parlare a mezza voce con se stessi come vuole la religiosità.

Ahimè, tanto le cose stanno alla rovescia! Mentre alla religiosità importa che ogni Singolo vada solo o entri nella sua cella per parlare sottovoce con se stesso, taluni credono che l’importanza stia nel gridare a squarciagola.

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Ciò che rende soprattutto difficile la mia posizione nella vita pubblica, è che gli uomini non possono capire contro che cosa io propriamente combatta. Mettersi contro la Folla è sempre, per la maggioranza, un nonsenso; perché la Folla e la pluralità e il pubblico sono appunto le forze della salvezza, quelle riunioni amanti della libertà da cui deve uscire la salvezza – contro i Re e i Papi e i funzionari che ci vogliono tiranneggiare! Ahimè! o piuttosto poveri noi!

Ecco la conseguenza dell’aver per secoli combattuto contro Papi e Re e potenti e di aver considerato la Folla come la cosa sacra. Nessuno sospetta che le categorie della storia umana s’invertono, e che la Folla è diventata l’unico tiranno e la perdizione fondamentale. Ma naturalmente ciò è per la Folla la cosa più incomprensibile.

Avida di dominio è la Folla ed essa si crede assicurata contro ogni rappresaglia: perché, come riuscire ad afferrare la Folla?

Ciò che qui da noi si chiama l’opposizione, vive ancora nel solito luogo comune che si debba combattere la tirannia di governo. Quando un poliziotto commette un errore, il più insignificante, ecco che il superiore lo punisce, subito si fa un chiasso del diavolo. Ma se la Folla, il pubblico, la plebaglia, ecc., di anno in anno si rendono colpevoli dei delitti e degli abusi di potere più abominevoli, l’opposizione non fiata.

O non riesce a capire che sono delitti (poiché è l’idolo dell’opposizione a far questo); o non sa denunziarli, perché è vigliacca. Quando un uomo è vittima di una piccola ingiustizia (ma, notate bene, da parte del Re, di un altolocato, ecc.), ecco che tutti provano simpatia per lui: ne fanno un martire. Ma quando un uomo, in senso spirituale, tutti i giorni è schernito, perseguitato, maltrattato dall’insolenza, dalla curiosità e sfrontatezza della Folla, del pubblico, della plebaglia; allora è una cosa perfettamente normale, non è niente…!

Nessun dubbio quindi che a questo proposito occorrono delle vittime. La situazione è così grave ch’è necessario un manipolo di vittime per mettere gli uomini sull’avviso che non si tratta di far riforme contro un Papa, un Re, od un commissario generale di guerra.

Soprattutto è indizio di una limitatezza enorme e fa poco onore allo judicium dei signori Riformatori, il credere che la Riforma possa consistere nell’abbattere un uomo solo – perché così il mondo sarebbe un mondo gentile!

No, l’antichità allora comprese meglio la faccenda, cioè che la Folla è il pericolo N.1. Ed è alle formazioni dell’antichità che la storia torna un’altra volta. L’Europa non avrà guerra[2], ma una continua rivoluzione interna (plebei – patrizi).

Se gli uomini, con una corsa di diversi secoli e con la passione dell’abitudine, non si fossero incaponiti nell’idea che il tiranno è un uomo singolo, si potrebbe anche riuscire a vedere facilmente che l’esser perseguitati dalla Folla è la cosa più gravosa di tutte; perché la Folla è la somma dei Singoli, così che ogni Singolo vi porta la sua piccola parte; mentre il Singolo non pensa quanto grande sarà la somma finale, quando tutti i Singoli lo facciano.

Non ci ha ora la filosofia insegnato abbastanza che il mondo è entrato nella riflessione? Quest’è vero; proprio per questo non può mai essere un Singolo (Re, Papa, ecc.) a diventare tiranno. La tirannide diventerà per forza un rapporto di riflessione. Eccoci di nuovo alla categoria di Folla, opinione pubblica.

Ma, come s’è detto, ci vuole molto tempo prima che colui, il quale dovrà combattere contro la Folla, ottenga un po’ di pathos dalla sua parte, cioè prima che qualcuno possa capire la realtà di questa lotta.

Socrate è e rimane per me l’unico riformatore ch’io conosca. Gli altri, per quanto sappia, possono essere stati entusiasti o ben intenzionati, ma erano nello stesso tempo notevolmente limitati.

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E per qual ragione io tanto conto della categoria del Singolo? Semplicemente perché essa e con essa si regge la causa del Cristianesimo. Quelli che difendono la Bibbia e quelli che l’attaccano, vedano poi di che son capaci senza di essa e contro di essa! Tanto potere esercita ancora il Cristianesimo sugli uomini che basta mettersi sotto la responsabilità eterna del Singolo, perché ognuno possa diventare cristiano. Tutto il resto non son che impiastri che fomentano la malattia. Una volta che il dubbio è penetrato, si annida come il colera: ogni difesa scientifica non fa che alimentare il dubbio. Solo Iddio e l’eternità son forti abbastanza per dominare il dubbio (perché il dubbio è appunto la forza dell’uomo che di ribella contro Dio). Ma perché Dio e l’eternità lo dominino, l’uomo deve entrare sotto la pompa aspirante del Singolo.

Ecco, se io volessi mettermi ad insegnare questo, forse molti mi verrebbero dietro: ma venirmi dietro così, sarebbe mai un mettersi sotto la pompa aspirante del Singolo?

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Nei tempi passati si esprimeva l’essere cristiani con l’andare in convento (categoria del Singolo); ora per diventare cristiani si deve usare la categoria del Singolo in modo inverso.

– La cosa omeopatica che c’è qui.

La categoria del Singolo è proprio, nella riflessione, il convento, vale a dire ciò che il convento era nello stadio dell’immediatezza.

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Il rapporto del Singolo a Dio è in sostanza considerato dal mondo come egoismo. Siccome il mondo in fin dei conti non crede in Dio, anche l’uomo religioso in ultima istanza deve secondo il mondo amare se stesso – che l’uomo religioso non ama ciò che il mondo ama; ma allora cosa rimane? Dio e se stesso. Ora il mondo abolisce Dio: ergo, per esso l’uomo religioso non ama che se stesso. Il mondo considera il timor di Dio come egoismo. È quindi anche egoismo il non voler idolatrare il giudizio del mondo e dei contemporanei, il voler riservarsi di avere davanti a Dio il proprio giudizio e la propria responsabilità in ultima istanza!

Questa irreligiosità (l’abolire il rapporto di coscienza) è il danno fondamentale della filosofia hegeliana.

E la filosofia hegeliana è divenuta ora così popolare che alla fine i facchini saranno lo Spirito oggettivo. Questo poi non piacerà per es. ad Heiberg[3]; non perché egli non veda il sofisma, ma perché sono lui ed i suoi consorti che pretendono d’essere lo Spirito oggettivo!

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Il Singolo – un cenno[4]

Il Singolo è la categoria attraverso la quale devono passare – dal punto di vista religioso – il tempo, la storia, l’umanità. E colui che non cedette e cadde alle Termopili, non era così assicurato come lo sono io in questo passo: Il Singolo. Egli doveva infatti impedire alle orde di attraversare quel passo: se fossero penetrati, avrebbero perduto. Il mio còmpito è, almeno a prima vista, molto più facile; mi espone molto meno al pericolo di essere calpestato, poiché è quello di umile servitore che cerca, se possibile, di aiutare le folle ad attraversare questo passo del Singolo, attraverso il quale, però, si badi bene, nessuno in eterno penetra senza diventare il Singolo.

Eppure se io dovessi domandare un epitaffio per la mia tomba, non chiederei che “Quel Singolo” – anche se ora questa categoria non è capita. Lo sarà in seguito.

Con questa categoria “il Singolo”, quando qui tutto era sistema su sistema, io presi polemicamente di mira il sistema, ed ora di sistema non si parla più. A questa categoria è legata assolutamente la mia possibile importanza storica. I miei scritti saranno forse presto dimenticati, come quelli di molti altri. Ma se questa categoria era giusta, se questa categoria era al suo posto, se io qui ho colpito nel segno, se ho capito bene che questo era il mio còmpito, tutt’altro che allegro e comodo ed incoraggiante: se mi sarà concesso questo, anche a prezzo di inenarrabili sofferenze interiori, anche a prezzo di indicibili sacrifici esteriori: allora io rimango e i miei scritti con me. […]

Per ogni uomo ch’io possa attirare sotto questa categoria del Singolo, mi impegno di farlo diventare cristiano; o meglio, siccome l’uno non può fare questo per l’altro, gli garantisco che lo sarà. Come Singolo, egli è solo: solo in tutto il mondo, solo – al cospetto di Dio – e certamente allora non gli costerà l’ubbidire. Ogni dubbio in fin dei conti ha il suo punto d’intersezione in quest’illusione della temporalità, di essere quella tale combriccola, quella tale umanità intera che alla fine potrà impressionare Dio (come il Popolo impressiona il Re, ed il Pubblico i consiglieri di Stato), che alla fine impressionano Dio per diventare essi il Cristo. Il panteismo è una illusione ottica, una fata morgana prodotta dalle nebbie della temporalità od un miraggio creato dal suo riflesso, un miraggio che si vuol erigere in eternità.

Ma la realtà è che questa categoria non è affare di docenti; il servirsene è un’arte, un còmpito etico; è un’arte il cui esercizio è sempre pericoloso e qualche volta potrebbe costare la vita a chi la usa. Perché ciò che è divinamente inteso è la cosa più alta, l’umanità insofferente di disciplina ed il gregge degli storditi lo terranno per delitto di lesa maestà contro l’Umanità, la Folla, il Pubblico, ecc.

Il Singolo: questa categoria è stata finora usata dialetticamente in modo decisivo solo una volta, da Socrate, per dissolvere il Paganesimo. Nella Cristianità si dovrà usare, proprio in senso contrario, una seconda volta, per rendere i cristiani Cristiani. Non è la categoria del missionario rispetto ai pagani, a cui egli predica il Cristianesimo, ma la categoria del missionario nella Cristianità stessa, per interiorizzare l’essere e diventare cristiani. Quando il missionario verrà, si servirà di questa categoria. Perché se il tempo aspetta un eroe, aspetterà invano. Verrà piuttosto uno che in divina debolezza insegnerà agli uomini l’ubbidienza… – Per questo, essi con ribellione empia ammazzeranno lui, l’obbediente a Dio.

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Qui ritorna il male della storia universale. Si è stabilito di nuovo il principio della Folla (e questo concetto avrà ora, dopo il sopravvento della cultura e con l’aiuto della stampa, un potere ben più nefasto che nell’antichità). La Folla è l’istanza, la Folla è Dio, la Folla è la verità, la Folla è il potere e l’onore. Ora non si pensa che a giocare con questa Folla. Come si gioca al denaro, così la Folla è tutto; e si tratta solamente e unicamente d’impossessarsi di essa e di averla dalla propria parte. Davanti a questa forza tutto si piega.

E poi non poter prestare attenzione alla mia dottrina del Singolo – e, appunto perché le cose stanno così, che meraviglia che non si possa prestarvi attenzione.

D’ora in poi ogni testimonio della verità deve volgersi contro la Folla, ogni vero martire cadrà per mano della Folla. Cioè, proprio il voler stare soli nel nome di Dio, per testimoniare che esiste un Dio, proprio – come gli si rinfaccerà – il non voler avere alcuno per aiuto, questo sarà il suo còmpito.

Ma non mi si vuol capire; per far questo non si ha né coraggio né timore di Dio. La mia azione esercita una tremenda violenza… Siano rese grazie a quel Dio che mi aiuta.

I più stanno ancora nel vecchio fronte, contro il Re, l’Imperatore e i consiglieri di Stato, invece di volgersi contro la Folla. Tutto ciò che fa la Folla, la crudeltà più orrenda, è bene, è volontà di Dio. Mai nessun despota orientale è stato servito così servilmente e lusingato da simili rettili di cortigiani, come lo è la Folla dai giornalisti, da tutti gli uomini del momento.

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[…] Il popolo, l’impetus della storia. Il popolo è la forza che ha travolto Re e Imperatori; i Re e gli Imperatori si sono poi serviti del popolo per abbattere la nobiltà e clero. Il popolo ha finito per travolgere nobiltà e clero. Il clero si è servito del popolo per abbattere la nobiltà, e la nobiltà si è servita del popolo per abbattere il clero. Sempre popolo.

Eccoci all’ultima fase: lo stesso concetto di popolo sta diventando dialettico. È il popolo che ora deve essere abbattuto. In che modo? Qui interviene la categoria: il Singolo.

Il processo di educazione del genere umano è un processo di individualizzazione. Perciò l’umanità deve essere prima divisa in tre ceti (nobiltà, clero, borghesia); bisogna spezzare quell’enorme astratto, ch’è il popolo, con il Singolo.

Ognuno che sia in grado di pensare, può intenderlo. Ma i più non riescono a pensare: per ritenere un’idea devono riunirsi in cricche dove si confermano a vicenda e asseriscono che quel che pensano è giusto, altrimenti non oserebbero pensarlo. Stando così le cose è impossibile concepire il singolo: perché il Singolo è impossibile pensarlo en masse, per la ragione che lo si pensa appunto per disperdere la massa.

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Passerà ancora del tempo prima che la storia del mondo arrivi davvero a possedere il concetto di Singolo. Prima bisognerà frantumare gli Stati; più grande è il progresso, più piccolo sarà lo Stato. Se tutti avranno da partecipare al governo, lo Stato dovrà essere piccolissimo.

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[…] Perché la Folla è falsità. Perciò Cristo fu crocifisso, perché Egli, sebbene si rivolgesse a tutti, non volle avere a che fare con la Folla, non volle fondare partiti e allestire ballottazioni, ma essere ciò che era: la verità, la quale si rapporta al Singolo.

E perciò ognuno che in verità vuol servire alla verità, è eo ipso martire; […]. Poiché guadagnare la Folla non è difficile, basta avere falsità, vaniloqui, e conoscere un poco le umani passioni. Ma nessun testimonio della verità deve mettersi con la Folla; egli deve cercar di mettersi possibilmente con tutti, ma sempre come Singoli; deve conversare con ognuno per istrada – per disperdere; od anche arringare la Folla, non per richiamare la Folla, ma per disperderla, così che qualche Singolo possa, tornato a casa, diventare il Singolo […]

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Di tutte le tirannidi, un governo di popolo è la più tormentante, la più insulsa, assolutamente il tramonto di ogni cosa grande e sublime.

Un tiranno, dopo tutto, è un uomo, un uomo singolo. Come uomo di solito egli ha sempre un’idea, sia pure la più assurda. Si può ora riflettere se valga la pena di lasciarsi uccidere per quell’idea, se è talmente in contrasto con le nostre idee, o se non ne valga la pena. E poi, ci si regola di conseguenza. – Ma in un governo di popolo chi comanda? Un X ovvero le eterne chiacchiere, ciò che in ogni momento è o ha per sé la maggioranza, la più pazzesca di tutte le categorie. Quando si sa come vanno le cose per ottenere la maggioranza, e come la faccenda può fluttuare, che sia poi questo assurdo ad andare al governo?

Un tiranno non è che uno: si può dunque, se piace, organizzarsi per schivarlo e vivere lontani da lui. Ma come posso io in un governo di popolo evitare il tiranno? Ogni uomo, in un certo senso, è un tiranno; basta che provochi un comizio, una maggioranza.

Un tiranno, come uomo singolo, sta talmente in alto e così distante, che si può riuscire a vivere senza di lui come pare e piace. Non può mai venire in mente a un imperatore di curarsi di me, né di sapere come vivo, a che ora mi alzo, cosa leggo, ecc. – di solito non sa neppure che esisto.

Ma in un governo di popolo chi governa è l’uguale. A lui sì che interessa se la mia barba è come la sua, se vado a passeggiare pel bosco quando ci va lui, se sono in tutto come lui e come gli altri. Se le cose non vanno così, ecco il delitto: un delitto politico, un delitto di Stato. […]

Vivere sotto un governo simile è la cosa che forma di più per l’eternità, ma è la più grande pensa finché dura. Solo una nostalgia si può avere, la nostalgia socratica di morire e essere morti. Perché Socrate ha dovuto sopportare questa mancanza di spirito, di avere il Numero al governo, di non essere tutti noi uguali davanti a Dio (perché cosa importa di Dio a un governo popolare?) ma tutti uguali davanti al Numero. Ed il numero è appunto quel male che è indicato nell’Apocalisse[5] in modo così pregnante.

 

Note

[1] μετάβασις εἰς ἄλλο γένος – Un principio del linguaggio aristotelico che sosteneva, per esempio, che non è possibile dimostrare proposizioni geometriche mediante l’aritmetica o viceversa.

[2] In questo passaggio, Kierkegaard si sbagliava, gli Stati europei hanno attraversato la Prima e la Seconda guerra mondiale.

[3] Johan Ludvig Heiberg (Copenaghen, 14 dicembre 1791 – Ringsted, 25 agosto 1860) è stato un poeta danese. Figlio di Thomasine Gyllembourg e Peter Andreas Heiberg, fu prolifico autore di vaudevilles, di drammi romantici e direttore del Teatro di Copenaghen dal 1849 al 1856, oltreché saggista di letteratura classica europea e profondo sostenitore del movimento artistico denominato Biedermeier. Non aderì alle correnti drammaturgiche moderne, capitanate da quelle ibseniane e di Bjornson. Marito di una rinomata attrice e drammaturga, Johanne Luise, insegnò a lungo a Kiel e poi a Berlino, dove strinse rapporti con Hegel. Fonte biografia Wikipedia.

[4] Testo celeberrimo che Kierkegaard ha rielaborato per farne una delle “Due note concernenti la mia attività di scrittore”.

[5] Apocalisse 13, 18: “Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi.”

Apocalisse 15, 2: “Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco e coloro che avevano vinto la bestia e la sua immagine e il numero del suo nome, stavano ritti sul mare di cristallo.”

 

 

Bibliografia

Søren Kierkegaard, Diario, a cura di Cornelio Fabro, Fabbri Editori, 1997

 

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Rubrica Diario di Søren Kierkegaard

 

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