“Vivian” romanzo di Christina Hesselholdt: Vivian Maier, una fotografa da celebrare

“Recandomi in stazione per andare a prenderla ero tornato col pensiero alle bambinaie della mia infanzia: avvertivo in corpo la piacevole sensazione di braccia e seni che mi avviluppavano, una figura intera che si piegava su di me per sollevarmi e stringermi e desiderava soltanto il mio bene…”

Vivian romanzo di Christina Hesselholdt
Vivian romanzo di Christina Hesselholdt

Chi era Vivian Maier, figura di donna poco conosciuta e vissuta negli anni del secondo Novecento?

A rispondere al quesito e a tracciarne un interessante profilo è la scrittrice Christina Hesselholdt, attraverso la biografia a lei dedicata, e sviluppata nel romanzo Vivian. Uscito nelle librerie nel 2018 e pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere, nella collana dedicata alla narrativa, Vivian è romanzo evocativo.

Riconosciuta e apprezzata come valida fotografa soltanto dopo la sua morte, è il suo nome a dare il titolo ad un testo realizzato con un acuto lavoro di scandaglio, il quale offre al lettore il ritratto di una donna diventata nel tempo modello di libertà creativa e di intraprendenza.

“Vivian era lì immobile con quello strano sorriso che non sono mai riuscita a decifrare, Maria aveva già voltato i tacchi. Poco dopo Vivian la seguì, io presi Joseph sottobraccio e restammo lì a guardarle svanire, due donne che sembravano uscite da un’altra epoca; anche Joseph pensava che non le avremmo più riviste…”

Christina Hesselholdt è una scrittrice danese nata a Copenaghen nel 1962. Affermata come una delle maggiori autrici della letteratura nordica, i suoi romanzi sono stati tradotti in numerose lingue e pubblicati in diversi paesi.

La Hesselhloldt ha ricevuto numerosi riconoscimenti; ma è soprattutto il romanzo Vivian ad aver attirato l’attenzione di pubblico e di critica, tale da essere incluso fra i finalisti del Premio del Consiglio nordico.

“A partire dagli anni Quaranta Vivian fotografa incessantemente, ovunque, portandosi dietro prima la sua Brownie, poi la Rolleiflex prima versione, dopo ancora la seconda versione e così via, e in breve diverse macchine al collo tutte insieme e poi altri modelli…”

Il romanzo Vivian nasce in maniera del tutto casuale, in seguito al fortuito ritrovamento di fotografie, realizzate da Vivian Maier, durante un’asta di Chicago. Ed è proprio a Chicago che la Maier lavora quale bambinaia presso una famiglia della buona borghesia cittadina. Anche se soltanto dopo la sua morte l’artista viene celebrata come una delle fotografe più acute non solo del suo tempo, ma anche di quelli a venire.

Volti, paesaggi, luoghi, istantanee tutte che fanno parte di scatti ‘rubati’, i quali mostrano al lettore uno spaccato dell’America del secondo Novecento. E che raggiungono il pubblico e si traducono in pensieri e ricordi di Vivian che, grazie ad un lavoro preciso e puntuale dell’autrice danno risalto al suo talento. E che dicono molto di Vivian, se non tutto, permettendo attraverso le immagini di delineare, della donna e dell’artista, un quadro fedele alla realtà che le appartenne.

“Quando qualche tempo fa ho letto un articolo su Josè Mujica, presidente dell’Uruguay ora a riposo, il presidente della sobrietà, che tuonava parole dure contro il consumismo, ho pensato a tuo padre, Sarah, perché i due si somigliano: Josè Mujica, ritratto in maglione con un vecchio thermos in mano davanti all’umile dimora in cui vive…”

Anche se poco è stato detto e scritto di lei, fin quasi a rendere la sua figura invisibile, a testimoniare di Vivian sono la madre, il padre, i membri di una famiglia presso cui ha lavorato, oltre che la stessa protagonista.

Vivian Maier – Collezione Association Vivian Maier et le Champsaur Fondo John Maloof
Vivian Maier – Collezione Association Vivian Maier et le Champsaur Fondo John Maloof

E ciò, grazie ad un escamotage narrativo interessante: una voce narrante che tiene le fila del racconto ed è perciò tramite delle dichiarazioni riferite.

Escamotage che concorre a partecipare il lettore di ciò che Vivian è stata ed ha rappresentato, in virtù del quale la sua inesauribile creatività è ben esplicitata. Immagini salvaguardate in una raccolta di istantanee che raccontano la vita di Vivian tramite una polifonia d’insieme.

Per questo, si può definire Vivian un romanzo corale. Un racconto sviluppato attraverso voci e prospettive diverse, le quali fanno sì che l’autrice abbia potuto tracciare un profilo quanto mai autentico di una donna enigmatica, oltremodo di sicura qualità artistica.

È un disegno intimo quello proposto da Christina Hesselholdt che dà la cifra della personalità di Vivian, anche in virtù delle affermazioni delle persone che l’hanno conosciuta e ne hanno apprezzato la discrezione. Un ritratto evocativo, quindi, che si fa strumento affinché il lettore entri in sintonia con la protagonista. Esclusivo e sfaccettato, lo si può definire, che parte dalla sua infanzia prima, e dalla sua vita consumata poi nei sobborghi di una Chicago benestante, città che è stata protagonista di fermenti sociali e politici che prendevano vita in quegli anni.

Il tutto, seguendo fin dai suoi primi scatti la passione di Vivian per la fotografia, grazie a un interessante espediente, cioè quello di riprendere a loro insaputa i passanti al fine di coglierne la vera essenza.

“Tuttavia, allo stesso tempo, ogni volto esprime forse la condizione umana, il suo stato, che è però mutevole. Ecco il progetto di Montaigne: scrivere di sé riuscendo a dire ‘tutto’ dell’uomo…”

Testo che non è di impatto immediato, ma ricco di suggestioni, il romanzo Vivian è sviluppato con una scrittura affatto banale. Inoltre, è testo che apre alcune riflessioni sulla figura misteriosa e inquieta di una donna che volontariamente si è sempre nascosta dietro alla sua passione per la fotografia.

Forse, che il mezzo fotografico fosse un mezzo per elaborare il suo difficile vissuto?

E, al contempo, custodire i momenti salienti incontrati durante il suo percorso di vita, attraverso scatti colmi e intrisi di un’umanità anche dolente? E poi estrapolati da una realtà illustrata e rappresentata anche in modo scarno e minimalista?

Certo è, che Vivian non immaginava, nel momento in cui ha scelto di fare la bambinaia, che all’indomani della sua morte il suo nome salisse alla ribalta della cronaca.

Da più parti, la figura di quella che viene definita una fotografa di strada è stata accostata a Emily Dickinson, altra figura di donna enigmatica la cui profondità interiore è ancora oggetto di studio.

Ad unire queste due donne è soprattutto la singolarità del loro comportamento e la solitudine di cui entrambe hanno fatto uno scudo contro il disagio emotivo che abitava le loro anime.

Legate, inoltre, da quella similitudine che durante la loro esistenza non le ha viste fare coppia con alcuno. Nessun partner ad accompagnare le due donne nel loro percorso terreno.

Christina Hesselholdt
Christina Hesselholdt

Romanzo stimato e apprezzato da coloro che amano la fotografia, quale strumento espressivo di comunicazione, Vivian è romanzo originale, il quale racconta della Maier attraverso il suo sguardo, oltre che tramite l’obiettivo della sua macchina. Sguardo senza dubbio animato da una timidezza di fondo che ha fatto sì che il suo nome salisse alla ribalta soltanto dopo la sua morte avvenuta nel 2009.

“Fermarsi davanti alla gente e guardarla non la metteva in imbarazzo, perché aveva uno scopo: scattare fotografie. Non era imbarazzante sedersi a tavola da sola in un ristorante, se sulla tovaglia, accanto a lei, c’era la macchina fotografica, perché poteva afferrarla al bisogno”.

Dunque, un grazie all’autrice che messo insieme un’insolita biografia che, seppur in parte romanzata, ha dato spazio ad un personaggio ricco emotivamente, e di così ampie vedute come è stata Vivian. E dall’indubbia ed eccellente capacità creativa.

“Nel 1959 Vivian viaggiò per il mondo scattando fotografie… Le sue foto mostrano che a Hong Kong ci sono i cinesi, al Cairo gli egiziani, in India gli indiani e così via… La macchina fotografica le rese più semplice viaggiare da sola, era davvero come avere una guida. Le fornì un progetto, uno scopo…”

 

Written by Carolina Colombi

 

 

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