“Il verde e il blu” di Luciano Floridi: idee ingenue per migliorare la politica

Un’opera filosofica è ricerca pura, oppure comunicazione, oppure un misto delle due cose.

Il verde e il blu di Luciano Floridi
Il verde e il blu di Luciano Floridi

In apertura della sua opera, Luciano Floridi afferma che “… un granello sulla spiaggia, uno non conta niente, due ancora niente, ma milioni di granelli possono fare una differenza significativa”. Floridi intende smuovere, informandoli, gli altri granelli.

È una versione soft della frase marxiana secondo cui non basta interpretare il mondo, ma bisogna sommuoverlo, cambiarlo, indirizzarlo. Questo fa sì che il lettore decida di armarsi di diffidenza. Chi è costui che vuole mutare la mia opinione, spingendomi da una qualche parte di cui al momento ignoro la direzione e il verso?

Guardo su Wikipedia: censito. Guardo su Facebook: 5000 amici, di cui alcuni in comune. Tento l’impossibile, chiederne l’amicizia. 5000 è il numero massimo di amici. Il sistema non mi ha rifiutato. Chissà… Intanto, seguo già

Le idee proposte in questo libro si possono definire idee traslazionali.” Traduco: correlanti in italiano, entangling in inglese. Un mozzicone di frase mi colpisce: “legate da una continuità determinata dall’interesse per il miglioramento della salute del paziente.”

La politica come attività relazionale. Si è sociali, in ossequio ad Aristotele, ma qualcosa cerca di insinuarsi nella nostra privacy, per cui “nessuno può ritagliarsi uno spazio privato nella società civile senza ritagliarsi anche uno spazio pubblico nella società politica, e viceversa.”

Il consiglio che l’autore dà al lettore è di privilegiare la sostanza del libro, più che la forma; e di esercitare la propria strategia interpretativa, mirata al “giusto progetto umano”. Non parla di interpretazione, ma spero lo sottintenda.

L’autore chiede di partire dall’ingenuità, per poi ritornarvi. Il concetto mi piace, ma crea ulteriore diffidenza.

Continuo a leggere anche perché, come mi pare di intravedere sia anche per lui, sono inquietato dalle facce di quei politici che, uniti anche dal nome di battesimo, si presentano, dopo sconfitte e cadute politiche e morali, con lo sguardo di chi vuol far credere di saper ogni cosa, mentre in realtà sanno soltanto esibire qualsiasi cosa, senza possederla. Non affermano, come già altri nel passato, che hanno concluso atrocemente la loro avventura politica: ho sempre ragione!, ma te lo fanno trapelare, ammiccandoti.

Finisco di leggere il capitolo 2 (La rivoluzione digitale) e mi accorgo che non ho sottolineato, come mia costumanza, alcunché. O significa che tutte quello che dice è risaputo, e non può essere; oppure che tutto è innovativo, e manco può essere. Allora dev’essere una via di mezzo.

Alcuni miei conoscenti rifiutano in parte i social. C’è chi mi disse che WhatsApp gli bastava e superava, anzi. Io invece sono caduto nella rete tesa da Facebook, Twitter e Instagram, oltre naturalmente WhatsApp, che è un must, parola inglese che rende meglio di obbligo, che prevedrebbe il disobbligarsi, mentre non credo esista l’unmust; quasi un must, in quanto, forse non pare verosimile, ma conosco un uomo d’età inferiore agli 80, che ne è sprovvisto (pare che la moglie l’abbia sconsigliato).

Dal capitolo si arguisce che il controllo sulla persona da parte dei social non sia inferiore al servizio a lei reso.

Vado dal calzolaio, lascio da risuolare due scarpe, chiedo quando saranno pronte. Domani, ma per maggior sicurezza, mi dice, questo è il mio numero, che memorizzo. Poco dopo Facebook me lo propone come amico.

Cerco di andare a memoria nel descrivere il capitolo. La rete ha creato una differenziazione fra luogo fisico e quello operativo, fra localizzazione e presenza. Lo smartworking, che sto praticando da marzo ne è un esempio. Io sono qui in un senso, e là in un altro.

L’intelligenza artificiale è un’idiozia funzionale. La lavastoviglie lava i piatti meglio di me (e in questo non le esce l’ernia che non ha), ma non le affiderei la vita di mia figlia. È limitata.

Un’anziana oppressa dai primi segni dell’Alzheimer può lavare i piatti e controllare per qualche minuto un minore. Poi entrambi, ad un certo punto, si rompono (lo prevede il secondo principio della termodinamica) e diventano entrambi inaffidabili al 100%. Per entrambi vale il detto: ognuno ha il suo percorso. Queste sono le idee che mi sono rimaste impresse.

Ah, vero, parla anche del taglia e incolla informatico. Il digitale permette un lavoro di trasmissione di dati privi di coscienza. Questo crea comodità e disagi. Poniamo che un ispettore stia redigendo un verbale, se taglia e incolla rischia di inviare a Tizio un documento che, nella versione primitiva, era indirizzato a Sempronio.

Non è forse accaduto che si invii un messaggio WhatsApp a Caio, il quale risponde con un ?, poiché era diretto a Publio, per cui si deve giustificare il malinteso e si spera di fare in tempo a cancellarlo (opzione: per tutti). Ormai i destinatari sono così assimilabili che tali errori diventano comuni. Prima non capitava quasi mai di dire a qualcuno quel che spettava a qualcun altro. Ora il rischio incombe quotidianamente. 

Esiste il problema dei contrasti possibili fra legge e territorialità, per cui se pubblico un commento qua, potrei offendere là, è serio. Pinocchio era malvisto, se non vietato, in Giappone, perché ironizzava su due diversamente abili, il gatto e la volpe. Similmente, pare che un personaggio dei cartoon sia vietato in un immenso paese orientale, in quanto troppo somigliante al loro leader. Ognuno di noi è quel produmer (termine coniato dall’autore) capace di ricevere e di emettere, di ferire o di risentirsi dei messaggi altrui.

Si differenzia fra invenzione (ruota), scoperta (America) e design, creazione di forme funzionali. Ormai c’è poco da inventare e da scoprire, ma rimane molto da fare per quanto riguarda la manipolazione delle forme. Questo vale per tutto, anche per l’arte e la scrittura.

Il digitale muta l’ambiente in cui viviamo, e lo controlla. Siamo utenti utilizzati ai fini dell’utenza. Il come e il perché derivano dal fatto che si è creato un allontanamento fisico fra l’uomo e la macchina finale che realizza il servizio: fra i due esistenti se ne pongono altri, sia uomini che macchine, che rendono problematico il rapporto fra i due.

Nel capitolo 3 si esamina il passaggio dalle cose alle relazioni. Non è primario parlare di cose, ma di relazioni fra cose, non di neuroni, ma di sinapsi, non di particelle atomiche, ma di interazioni. Non conta la sostanza, ma la sua funzione relazionale, fra causa (input) ed effetto (output).

In realtà è la funzione che fa l’oggetto.” Una macchina, dotata di motore funzionante, d’impianto elettrico, di pneumatici gonfi e con un po’ di benzina, va per la sua strada. Un’altra, magari fiammante, che pecca in uno di queste sue sotto-sostanze, non esplica la sua funzione ed è un oggetto inanimato.

Ogni filosofia umana è relazionale, basata su una dialettica simile a quella suggerita da Marx ed Engels. È un campo di forze, una rete relazionale. Le relata possono essere umane e non, organiche e non, enormi o microscopiche. Quello che conta è la solidità e la resilienza, cioè la capacità di elasticità nelle relazioni. Un fatto importante è la temporalità: l’ordine temporale dei collegamenti, che deve seguire una logica conveniente.

I capitoli 4 e 5 riguardano l’infosfera, che è lo spazio-tempo dove virtualmente abitano alcuni miliardi di individui e le falsità che vi regnano, insieme alle loro informazioni. Nulla che non si sappia, nulla che non si sappia come combattere. L’unica arma è un controllo etico, ma da parte di chi?

Il capitolo 6 parla del tempo e della temporalità. Fisicamente il tempo è una componente del fenomeno spazio-temporale, anche se nemmeno i fisici si sono messi d’accordo sulla loro realtà (Barbour, Rovelli lo negano). La temporalità è un dato di fatto, che misura gli eventi materiali, collegati alla nostra storia, con alcune avvertenze: tutto è relativo, tranne che la velocità della luce nel vuoto, che è un valore assoluto.

Il 25 aprile, Festa della Liberazione, non è festeggiato fuori dal nostro paese, certamente non in Germania. L’autore cita la festa di Sant’Agnello a Guercino, l’ultima domenica di agosto. La stessa festa occorre l’8 agosto a Rodìo, il 10 a Pisciotta. Quando mi permisi di chiedere al barbiere di Rodìo perché nel suo paese si festeggiasse il santo due giorni prima, egli rispose, icastico: “U nostru è cchiù miracolosu!”. Sant’Agnello storicamente morì il 14 dicembre, giorno in cui viene ufficialmente festeggiato dalla Chiesa. Le tre feste spurie sono di origine turistica.

Si tratta di fake funzionali di tipo economico: chi si troverebbe in quei tre paesi alla fine dell’autunno?

Lo stesso capita a Sant’Andrea ad Amalfi: festeggiato il 27 giugno e il 30 novembre, con la differenza che, nella perla della costiera, in assenza di coronavirus, ogni giorno è festa. Anche per i santi il tempo è una caratteristica collegata al punto in cui è l’osservatore.

Si arriva al concetto di storia come ricordo di un evento trascritto. Dall’homo aferensis a quello dialettico, dalle prime scritture alla moderna memorizzazione di dati. Ognuna di queste tecniche ha dei pregi e dei difetti. L’attuale è la più conveniente, nonché quella più a rischio.

Antichissimi codici possono essere letti 4000 anni dopo essere stati memorizzati. Qualsiasi memoria di massa può andare perduta (il termine tecnico usato in questi casi è sputtanarsi) anche subito. Se butti per terra un tomo del ‘600, dopo averlo raccolto, lo puoi interpretare tranquillamente. Lo puoi pure lordare di Nutella e poi riesci a decifrarlo. Non sempre lo stesso capita a un hard disk o a una chiavetta USB.

I rischi sono diversi e non sempre pronosticabili. Un mio collega più anziano, alla fine degli anni ’80, mi credeva una specie di Steve Job (e lo ero, se confrontato a lui) e, per ogni dubbio operativo, mi diceva: guarda su quel lavoro (in reggiano lavoro è un po’ tutto, ma soprattutto aggeggio, in questo caso computer): aveva una fiducia religiosa nelle potenzialità dell’informatica, lui che non ne sapeva mezza.

Oggi, un atteggiamento simile al suo è diffuso a tutti i livelli. Si guarda continuamente su Google o Wikipedia e le notizie sono sempre giudicate certe (a meno che non siano contrarie alla propria etica, tipo il credere, da parte di una persona originaria dell’Aquila, che l’Abruzzo faccia parte del Sud Italia). Non c’è ancora un’informazione del tipo: dove ho messo le chiavi del garage, ma sono fiducioso per l’immediato futuro.

Ricordo un’altra collega che un giorno di primavera del 1991 non toccò il computer tutto il giorno (evitando di lavorare, quindi) in quanto temeva di essere infettata dal virus Michelangelo. Quando cercai di tranquillizzarla, mi disse che certe cose le si sanno sempre dopo. Può darsi che non ieri, né oggi, ma domani un comportamento simile potrebbe diventare ragionevole.

Ho tradotto con miei ricordi i ragionamenti proposti dell’autore, così come me li ha stimolati.

Questo è un libro di etica politica, se non erro. Eppure, da vari capitoli non si fa che parlare di informatica e di telematica. Questo è un dato sorprendente.

Il Capitolo 7 si occupa dello stato delle cose dei servizi umani. L’acqua potabile è un dato acquisito per il turista, come la presenza del wifi. Non lo è forse nel Burkina.

Il giovane dà per scontato lo smartphone e il suo touch. Quando mio figlio Michelangelo nacque, avevo in casa un 486. Quando nacque mia figlia Anna, ero collegato a Internet da 8 anni. Nessuno di loro due ha mai visto un telefono col disco selettore, ma soltanto il cordless a tasti. Per alcuni aspetti sono molto più avanzati del sottoscritto, il quale però ha una memoria storica dei vari stadi dell’evoluzione dell’aggeggio.

Tutto è relativo. A volte m’immagino un abitante dell’Oregon a cui qualcuno chieda di preparare un caffè con la moka. Probabilmente avrebbe qualche difficoltà. Io credo di essere un buon caffetero, ma la mia opinione non è condivisa da un amico di Santa Anastasia, che critica il mio modo di caricare la macchinetta. A suo parere, il quantitativo di caffè deve assomigliare al Monte Somma (presso cui nacque), mentre io, da buon padano, tengo a scarseggiare nella carica. A pensare che mia mamma usava il macinino per ridurre in polvere i chicchi di caffè. Quanti ricordi del tempo che fu e che non tornerà!

Tutto è relativo e in continua trasformazione. L’informazione essenziale di stasera rischia di diventare obsoleta domattina. L’informatica è come la gastronomia, si misura non in stadi di sapienza, ma d’ignoranza. Alcuni sono più scarsi di me, io sono più indietro di altri.

Anche per l’hacker più informatizzato del mondo, sono più le cose che egli ignora di quelle che sa. A pensarci bene, la cosa vale per ogni tipo di cultura. Più uno legge e più comprende quanto sia incolto. L’importante sarebbe ogni volta porsi nella condizione del discente. Sarebbe, in quanto ognuno di noi è limitato intellettualmente, fisicamente e storicamente.

Il capitolo 8 introduce il concetto di un progetto umano che sia in grado di conciliare l’esigenza individuale con quella collettiva, la libertà del singolo con il benessere della collettività.

Padre Aldo Bergamaschi
Padre Aldo Bergamaschi

Vorrei citare il mio Maestro Spirituale, l’unico che ho avuto, Padre Aldo Bergamaschi, il teologo cappuccino che mi costrinse alla messa per anni, nonostante la mia fede quasi impalpabile, ridotta a una quantistica Speranza.

Egli confidava nella costruzione di un’Eu-topia, un bel luogo che dovrà esistere prima o poi, in cui cessino tutte le alienazioni dell’uomo, sia quelle religiose che quelle socio-economiche, in cui sarà risolto il conflitto fra padrone e operaio, fra stato e cittadino, fra donna (e uomo) e uomo (e donna). E in cui si assisterà a una (con)divisione delle etiche, cioè a una loro convivenza, purché ognuna di esse sia conciliante, nel rispetto e nella solidarietà, con tutte le altre.

Il suo discorso era micidiale e sgradito alle autorità religiose, specie quando, il giorno delle Missioni, egli diceva che i soldi raccolti sarebbero serviti per ricreare Altrove le contraddizioni presenti Qui e Ora. Il suo era un messaggio di fede e di speranza, mai compreso del tutto da nessuno e mai andato in porto.

Quello che si augura l’autore non è molto dissimile.

Nel capitolo 9, egli descrive il trust universale, dove vi sono collegamenti fra chi dona, chi amministra e chi usufruisce delle risorse. Ogni essere umano da neonato riceve, da adulto amministra, da deceduto dona. Non sempre tutto è così scorrevole. Ci sono umani che restano neonati tutta la vita e per come vivono non trasmettono nulla a nessuno. Altri che fin da piccoli sono abituati a dare quello che hanno e che lo faranno finché vivono. Ci sono poi certi amministratori che donano principalmente a sé e in misura ridotta agli altri. Il discorso quindi presuppone onestà e accettazione del proprio ruolo.

E funziona se riguarda tutti gli enti, le risorse, umane e non, anche ad esempio l’ambiente.

Ogni nodo dovrebbe prendersi cura di tutta la rete.” Tutte le azioni devono essere “imparziali, universali e dotate di cura nei confronti del mondo.” Tutti i collegamenti devono essere finalizzati al medesimo bene.

Nel capitolo 10 si parla di infra-etica. Un esempio riportato dall’autore: in un regno di angeli non c’è bisogno di polizia stradale, ma di segnaletica sì, cioè d’infra-etica. Quest’ultima è l’infrastruttura che regge l’etica. Potrebbe essere un’etica cattiva, oppure buona. Questo è un discorso successivo. Ma “nessuna persona dovrebbe essere mai sfruttata solo come un mezzo, ma essere sempre trattata come fine.”

Raffaello Cortina Editore
Raffaello Cortina Editore

Molto interessante il capitolo 11 che tratta delle interfacce umane. Poniamo che il signor L.F., dopo aver scritto un libro, voglia pubblicarlo. Si reca pertanto da un addetto di Raffaello Cortina Editore (virtualmente, via mail), cioè si interfaccia con lui. Il loro collegamento prevede uno scambio di informazioni. Dopo vari altri passaggi in cui subentrano altre interfacce umane, il libro è pronto. L’editore si interfaccia con varie altre interfacce umane, tra cui un responsabile della rivista on line Oubliette Magazine, il quale (o la quale: le interfacce possono esser di vari generi) s’interfaccia con me, offrendomi l’opportunità di leggerlo e di (eventualmente) reagire per iscritto, cosa che sto facendo. In seguito non è improbabile che, dopo aver utilizzato altre due o tre interfacce umane, la mia reazione torni al capo della cordata, il signor L.F., che magari rileggendo si domanderà: Io ho scritto questo?

L’uso degli esseri umani come semplici interfacce non è necessariamente fatto per scopi malvagi.”

Il capitolo 12 parla di eccentricità dell’uomo, che è un valore eccezionale, anche se naturale. L’autore lo definisce Polytropon, che indica una sua poliedricità variegata che rendono un individuo unico e irripetibile. Che è un valore immenso, purché non prevalga sulle relazioni. Se due tipi sgomitano per entrare per primi, oppure si attardono ad libitum, o ad nauseam, per lasciare passare l’amico, il fatto diventa problematico. La soluzione c’è: entrare come coppia relazionata.

Keynes previde l’attuale disoccupazione tecnologica. Molti mestieri manuali sono sostituiti da produzioni industriali, a volte robotiche, con conseguente diminuzione della necessità di braccia da adibire al lavoro.

Questo di per sé non è un male, se a ogni essere umano è concessa la libertà di esistere senza la preoccupazione di mantenersi economicamente. Luciano Floridi propone una più equa distribuzione della ricchezza, che secondo me non basterebbe, se non fosse collegata alla solidarietà.

Poniamo il caso di una famiglia di sei persone: una sola lavora, le altre attendono alla casa, quindi va da sé che o solo qualcuno di loro lavora, oppure tutti. L’unico produttore esterno (autonomo o dipendente poco importa), si sacrificherebbe per amore e volentieri. Ed è questa la soluzione: creare o favorire piccoli gruppi umani fra loro collegati da un sentimento positivo, capace di annullare le eventuali invidie o gelosie.

Cosa capita, invece, nella realtà? Vi sono delle famiglie composte da varie persone, tutte inserite nel mondo occupazionale. Altre, invece, in cui nessuno lavora, per cui vive tra gli stenti e nella rabbia sociale, sempre pronta a esplodere. Sono d’accordo nel credere che sia auspicabile una società dove sia diffusa l’economia del tempo libero, ma è una situazione ben lontana dall’essere attuale.

La meccanizzazione e la robotizzazione hanno inoltre creato un appiattimento su larga scala di mansioni ancora a disposizione degli umani, che aumenta l’ingiustizia.

Il lavoratore deve perciò abbassare la cresta e sorvolare su alcuni suoi diritti contrattuali, poiché sa che ove la sua presenza diventasse fastidiosa, egli potrebbe essere prontamente sostituito da qualcun altro, che è in attesa e che scalpita per essere al suo posto.

Il problema successivo ad un’economia del tempo libero è, come sottolineato dall’autore, che la mancanza d’attività non sempre produce ozio intellettuale o edonistico, ma noia e malessere.

Il capitolo 14, dedicato ai proxy, m’inquieta. Avevo prenotato una vacanzina a Londra con la mia famiglia (con tre magnifici tour), poi la pandemia ha fatto saltare tutto. Tutto restituito, tranne € 83,25. Al momento della prenotazione con una celebre università che d’estate fitta stanze a turisti, non m’ero accorto del proxy. S’era insinuato come un serpente, infido come un ofido. Secondo me c’era un proxy anche per i tre tour ma, se c’era, non m’ha recato danni patrimoniali. Al momento della disdetta, ingenuamente m’ero rapportato con l’università, dato che la prenotazione on line era avvenuta nel corso di un un accesso al suo sito, dove potei rinvenire la sua mail.

Mi si rispose che loro non c’entravano affatto con la prenotazione, ma che dovevo rivolgermi al proxy, che era un Speedyequalcos’altro. Cosa che feci senza risultato, il proxy stava sonnecchiando, evidentemente. Finalmente, dopo enne tentativi presso l’università, che si professava sempre ignara delle modalità di annullamento della prenotazione (poiché limitava il suo intervento al mero servizio di alloggio), riuscii a telefonare allo Speedy, al quale spiegai l’intera faccenda, lentamente, com’è mia costumanza quando discorro in una lingua ostile. Lei recepì il problema e dopo un tremebondo spelling della mia mail, ricevetti le istruzioni necessarie e il link di riferimento. Riottenni i soldi, a parte € 83,25 di cui sopra, probabile costo del servizio ammucciato (da mucher, che nel francese antico significa nascondere), come dicono a Pixuntum.

Nulla è gratuito ‘n coppa a ‘sta terra. Per completezza riferisco che inviai una mail di richiesta di chiarimenti all’università che, in modo molto anglosassone, fece spallucce: Unfortunately we don’t deal with refunds or fees. That is all dealt with Speedy. I am really sorry that I can’t help with this.

L’autore differenza fra proxy genuini e proxy degenerati: i primi sono i delegati, i secondi sostituiscono ma non rappresentano. Il caffè di cicoria è un sostituto fittizio del caffè di caffeina, quindi degenerato. L’ostia consacrata è, per transustanziazione, un proxy del sangue e del corpo di Cristo. Forse, il fatto non è certo però.

Una parola sul simbolo, che mi viene suggerito dalla frase che colgo nel medesimo capitolo: “siamo una specie simbolica”. Simbolo deriva dall’union delle parole greche σύμ (insieme) e βάλλω (getto), ammucchio insieme, ammuccio. Io credo che in ogni simbolo e in ogni proxy si celi un’ipotesi di fregatura di tipo economico/psicologico, poiché si cerca di armonizzare due enti diversi. quel che ne esce è altro. Quindi, se ho ben ragionato, non esistono proxy non degenerati.

Mi viene in mente Krishnamurti, che credeva che per cogliere la realtà bisognasse affrontarla come si fa con un cobra: senza pensare a quale specie appartenga, a quale genere, o ai pericoli che comporterebbe l’incontro con quel rettile. Bisogna usare il bastone per difendersi e basta. La realtà va colta al volo, senza sovrastrutture o pregiudizi, senza proxy. Cito ora mia mamma, saggia come quel Jiddu, che cercava di evitare ogni possibilità di fraintendimenti, forieri di successive recriminazioni, e diceva me a sun ciera ciera cme la pessa dla Ruspagera. Color paglierino.

Nel capitolo 15 si parla della Politica come marketing. Definizione esemplare: “Il marketing è platonico per necessità – perché non riesce a non trattare larghi segmenti della popolazione raggruppati in tipologie – ma è nominalista per ambizione – perché vorrebbe trattare ogni individuo e ciascun individuo in modo unicamente personalizzato.

Poche pagine dopo si indicano le tre strategie del marketing politico:

  1. “identificando tra le interfacce umane i punti di interesse condiviso”;
  2. “creando punti di paura comune”;
  3. “alimentando antagonismi condivisi”.

Tutto ciò accade giornalmente, basta ascoltare le dichiarazioni dei politici più in auge. Si indica infine l’esistenza dell’effetto Matteo, desunto da una frase del vangelo dell’apostolo omonimo, secondo cui a chi ha molto già verrà dato molto, a chi ha poco verrà dato meno, se non addirittura tolto.

Aldous Huxley
Aldous Huxley

Il potere grigio digitale è l’argomento del capitolo 16. Riporto perché è sfiziosa la spiegazione da parte dell’autore dell’origine dell’espressione eminenza grigia. Nel 1941, Aldous Huxley, pubblicò L’eminenza grigia, biografia di Françoise Leclerc du Tremblay, conosciuto come l’éminence grise, che portava il saio di quel colore, consigliere ammucciato di Richelieu.

In Italia si potrebbe definire ombra occulta del potere. Ora il potere grigio è soprattutto di tipo informatico. L’autore suggerisce di andare in profondità, per evitare forse sia i barbagli del sole, sia l’ombra che dissimula gli oggetti. Molto meglio esaminare la faccenda in fondo all’oceano, dove l’unica luce possibile è artificiale e determinata dal bisogno di vedere e capire.

Il potere grigio della comunicazione informatica regala risposte dopo aver gestito e condizionato le domande. E rese vane le domande non consentite. “La morfologia del potere grigio è la morfologia dell’incertezza”, in quanto provoca instabilità a chi continua a gestire in proprio le domande che non ricevono le risposte. Quindi, il sentirsi titubante è una prova che si è ancora, almeno parzialmente, avulsi dal controllo del sesto potere: quello grigio digitale.

Il capitolo 17 cerca di definire il termine di democrazia strutturale. Chi detiene il potere (il popolo) non lo esercita. Chi lo esercita, per citare una parola cara all’autore è un proxy: lo esercita, ma non lo detiene. Richiama ancora di più il senso del trust: gestisco una risorsa per conto di chi non sa o non può. Il problema è che trust in inglese significa fiducia, in italiano trusto vuol dire inganno.

Si esaminano le varie incongruenze (ad esempio quelle dovute alla Brexit), e questo reca sconforto all’autore e, conseguentemente, al lettore. Che però è cinico. In Italia l’elettore non può scegliere la persona da votare, ma solo lo schieramento. Le liste sono ordinate dalle formazioni politiche. Questo è un trusto.

Il capitolo precedente mostrava chiaramente che chi decide è un’oligarchia votata al proprio profitto. È questa la struttura attuale, almeno nelle nostre cosiddette democrazie (dove ci è permesso la chiacchiera da bar e poco più): il cittadino vota uno schieramento deciso Altrove. L’eletto obbedisce alla logica del partito grazie al quale deve il suo ruolo di rappresentante, per cinque anni, oppure fino alla propria abiura e il passaggio Altrove.

Tutti gli Altrove sono gestiti da Eminenze Grigie, le quali seguono la logica di un’Unità del privilegio (privus-ligium, svicolo dalla legge). Quindi: non democrazia, nemmeno politeia, nemmeno infondo oligarchia, né va ipotizzata un’aristocrazia, o una monarchia illuminata.

Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

È un It stephenkinghiano, che regge la baracca servendosi di complici maligni, standosene comodamente ammucciato su un sofà. L’unico vero essere libero e indipendente. Al che devo per forza citare Pasolini: nulla è più anarchico del potere.

È in questa trasformazione con necessario annichilimento della condizione pregressa che quel mostro plutocratico ci sta governando. Col nostro assurdo e tacito consenso.

Parto dalla fine del capitolo 18:I cattivi in genere si organizzano perché condividono un interesse chiaro e forte e la mancanza di scrupolo nel perseguirlo.” Si parla infatti di crimine organizzato.

I buoni invece sono disorganizzati, perché hanno interessi molteplici e spesso conflittuali e sono tolleranti nel rispettarli e criticarli.”

L’autore si chiede come si possa fare con loro, e la risposta è: organizzarli, per cui “serve un’interfaccia che accolga tutte le buone volontà e le tante competenze, per far interagire la società civile con la vita politica e la gestione dello Stato.” Viene auspicata una democrazia furtiva, mediante l’utilizzo di tecniche tanto evidenti quanto ammucciate, quali le Sardine in piazza e Greta Thunberg.

L’ultimo capitolo è destinato alla pubblicazione di 100 tesi, 5 più di Lutero. Cito quelle che mi smuovono le sinapsi in senso critico:

  1. “Una società buona è una società tollerante e giusta, e perciò pacifica e libera.”

Apprezzo le virgolette. Buona secondo l’ottica di mio nonno o di mio nipote? Secondo quella di etnia igbo o quella protestante anglofila? Tollerante? Tollereresti (è ora di dare del tu all’autore) un corrotto che avvilisce ogni aspettativa di democrazia furtiva? Tolleri Trump? Johnson? Matteo I-II?

La tua giustizia arriverebbe a giustiziare?

  1. La forma migliore per creare e mantenere il governo di una polity è una democrazia.”

Se tu ti ritenessi un uomo giusto e ti accorgessi che il popolo è composto per la maggior parte da idioti, da fanatici e da illiberali, cosa faresti?

Se tu abitassi in Pakistan e ti accorgessi che la maggior parte del volgo è incline alla (per te) barbara usanza di far accoppiare bimbette tremolanti di nove anni a maschi tronfi e ben pasciuti di quaranta, come ti comporteresti, avendo la chance di esercitare l’anarchia prevista da Pasolini per il potere?

  1. “La forma migliore di democrazia è quella rappresentativa.”

Quindi basta saper scegliere i rappresentanti del popolo eventualmente idiota. E se la scelta si rivela errata? Se i rappresentanti, appena letti, diventano immorali? Chi decide come neuralizzarli? Il popolo? Solo quando scadrà la delega, dopo cinque anni? Oppure, nel frattempo, occorre un golpe ad hoc? Ovvio, che sto parlando di urgenze cogenti.

  1. “Una società buona richiede una politica buona.”

Posso togliere il primo aggettivo e cambiare il secondo con simile a sé?

  1. “Le idee sono buone quando forniscono alla politica strategie fattibili (realizzabilità), efficienti (costo), efficaci (risultato), condivisibili (consenso) e auspicabili (etica) per prendersi cura della prosperità individuale, sociale e ambientale.”

Questo risponde alla mia obiezione a 3. Mantiene però il valore etico, che rende positivo il tuo ragionamento, ma sempre relativistico. Quello che era auspicabile per mio nonno potrebbe non essere quello che sarà per il nipote che non ho ancora avuto.

Non cito 28. e 29. perché definiscono la bontà con altre relativizzazioni. No, anzi, ne scelgo una dal mazzo (l’ultimo, non a caso): dialogo costruttivo.

Quando parlano i grandi, diceva il solito nonno (che non ho mai conosciuto, ma di cui ho sentito parlare con ammirazione, tanto era saggio), tu devi stare zitto; quando tacciono anche loro, con che diritto parli? Non c’era democrazia all’interno della famiglia, ma c’era chiarezza nei ruoli. Non ti so rispondere alla domanda se era una famiglia migliore di quella attuale. Mio nonno era più giusto e buono di Trump. Ma soprattutto più ironico.

  1. è notevole: “I due valori fondamentali che qualificano le relazioni sociali e politiche sono la solidarietà e la fiducia.”

Cominciamo da qui?

  1. “Senza solidarietà c’è solo libero mercato ma non una prosperità equa.93. “Lo stato non è imprenditoriale.”
Luciano Floridi
Luciano Floridi

La frase è molto francescana (come lo era padre Aldo Bergamaschi). Mi piace. Non ci credo, ma mi piace. Io partirei da lui, tu non so, ma probabilmente da posizioni analoghe.

Per ultima, esamino la 25: “Una politica buona non usa la coercizione come mezzo, ma mantiene il monopolio sulla violenza per eradicarla del tutto, o sostituirla con una competizione pacifica, equa, sostenibile e produttiva.”.

Si tratta di un punto delicato. Viviamo in un paese dove vige il detto Fatta la legge, scoperto l’inganno, ma anche Passata la festa, gabbato lo santo, tutti i santi, anche i nostri. Significa che il gabbare è un valore che si tramanda a ogni generazione. E lo Stato, che ne è conscio, combatte l’evasione con una normativa che prevede l’irrogazione di sanzioni a volte impietose. D’altra parte, chi non paga correttamente le tasse compie un’ingiustizia e/o una concorrenza sleale nei confronti di chi è, magari obtorto collo, onesto. Il regime sanzionatorio civile, amministrativo e penale è un capitolo tutto da riscrivere, alla luce della tua idea n. 25.

Ti faccio un altro esempio. Artigiani e commercianti pagano 4 rate contributive all’anno, per un totale di circa € 4.000,00 fisse, più uno o due rate a conguaglio, qualora si superi un certo reddito d’impresa. Questo vale sia per il barista che vede mezzo cliente al giorno, che per chi, invece, gode di una clientela ampia e spendereccia.

L’importo elevato dei contributi è giustificato che, in tal modo, anche se l’autonomo non rilascia lo scontrino fiscale ad ogni consumazione, almeno i contributi fissi li deve pagare. Per punire chi evade, si colpisce chi non lo fa. È un’ingiustizia, no? Quale potrebbe essere l’alternativa? Non lo so.

Ti cito a mo’ di provocazione l’insegnamento che mi ha dato il mio maestro elementare Enrico Paoli (cercalo su Wikipedia), a cui promisi di non fumare (impegno che mantenni), che quando sbagliavamo da un punto di vista comportamentale ci donava pacche con la riga di legno sui palmi o sulle dita raccolte a grappolo. In taluni casi più gravi ci mollava dei sonori ceffoni. E noi si doveva dire sempre Grazie!, perché lo faceva per il nostro bene.

Il punto debole della tua disamina è il credere che vi sia un’etica assoluta, quando innumerevoli sono state quelle che hanno preceduto la tua e la mia. Ma è anche la tua forza, dove puoi iniziare la tua lezione successiva.

In attesa di accettare la mia amicizia, ti suggerisco di sottolineare la necessità che ogni formazione politica informi l’elettore su quali siano i principi morali che non dovranno mai essere accantonati o traditi, verificando i quali egli potrà esercitare consapevolmente la sua preziosa scelta.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Luciano Floridi, Il verde e il blu, Raffaello Cortina Editore, 2020

 

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